NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 22 novembre 2020

A poposito di nozze. Euripide, Schopenhauer, Leopardi, Orazio

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Admeto ha avuto un’ottima moglie, amata e amante al punto che ha dato la vita per lui, eppure dice: “zhlw' d j ajgavmou" ajtevknou" te brotw'n :-miva ga;r yuchv, th'" uJperalgei'n - mevtrion a[cqo". - paivdwn de; novsou" kai; numfidivou" - eujna;" qanavtoi" kerai>zomevna"-ouj tlhto;n oJra'n, ejxo;n ajtevknou" - ajgavmou" t j ei\nai dia; pantov"” (Alcesti, vv. 882-888), invidio quelli senza nozze e senza figli tra i mortali: infatti una sola è la vita e l’angoscia per questa è un peso sopportabile. Le malattie dei figli invece e i letti nuziali devastati dalle morti non sono tollerabili da vedere, quando è possibile rimanere del tutto privi di figli e di nozze.

 

L'ostilità nei confronti del matrimonio del tragediografo antico  viene ribadita molti secoli più tardi da Schopenhauer:" Nel nostro continente monogamico, sposare significa dividere a metà i propri diritti e raddoppiare i doveri (...) Nessun continente è così sessualmente corrotto come l'Europa a causa del matrimonio monogamico contro natura"[1].

 

Nel medesimo secolo nemmeno Leopardi considera naturale il matrimonio monogamico solo il periodo necessario alla prima crescita dei figli: "Giacchè la necessità del concubitu prohibere vago, non prova nulla in favore della società, perché anche gli uccelli si fabbricano il talamo espressamente e convivono con legge di matrimonio finché bisogna all'educaz. sufficiente dei prodotti di quel matrimonio, e nulla più; e non per questo hanno società. Né la detta necessità, riguardo all'uomo, si estende più oltre di questo naturalmente, ma artifizialmente, e a posteriori, cioè posta la società, la quale necessita la perpetuità dei matrimoni, e la distinzione delle famiglie e delle possidenze"[2].

 

La citazione latina è tratta dall' Ars Poetica [3] di Orazio; contestualizzata dice:"Fuit haec sapientia quondam,/ publica privatis secernere, sacra profanis,/concubitu prohibere vago, dare iura maritis,/oppida moliri, leges incidere ligno" (vv. 396-399), un tempo la sapienza fu questa: separare la proprietà privata dalla pubblica, il sacro dal profano, impedire gli accoppiamenti sregolati, imporre i doveri ai coniugi, fondare città, incidere le leggi nel legno. 

Per quanto riguarda i doveri imposti agli sposati non dimentichiamo che Orazio asseconda con i suoi versi le leggi augustee tese a incoraggiare il matrimonio, al punto che nella seconda satira[4] del primo libro sconsiglia l'adulterio con le matrone[5] raccomandando piuttosto la "sana" frequentazione delle cortigiane.

 

 giovanni ghiselli

 



[1]Parerga e paralipomena,  Tomo II, p. 832 e ss.

[2] Zibaldone 250.

[3] E' il titolo che Quintiliano diede all' Epistola ai Pisoni composta intorno al 15  a. C.

[4] I due libri di Satire di Orazio uscirono nel 35 e nel 30 a. C.

[5] Ne paeniteat te,/desine matronas sectarier , vv. 77, 78, se non vuoi pentirtene, smetti di cercare le matrone.

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