L’attesa dell’età dell’oro che sta
per tornare rinnovata. Cyril Pedrosa e Roxanne Moreil, tavola da L'età dell'oro
La aspettiamo anche noi
E’ forse la bucolica più nota.
Vengono invocate le Sicelides Musae, quelle di Teocrito,
perché ispirino al poeta un canto più alto dei precedenti: “Sicelides Musae,
paulo maiora canamus (v. 1).
L’ecloga è dedicata ad Asinio
Pollione, console nel 40.
Virgilio annuncia una palingenesi: “magnus
ab integro saeclorum nascitur ordo” (5) Torna l’età dell’oro, quella dell
Giustizie e del regno di Saturno: “Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia
regna”: "Crono-Saturno è, da un lato un benigno dio dell'agricoltura
(…) il signore dell'Età dell'oro, quando gli uomini avevano abbondanza di ogni
cosa (…) il signore delle Isole dei Beati (…) Dall'altro lato, il cupo e
solitario dio detronizzato (…) signore degli dèi inferi (…) prigioniero o
schiavo nel Tartaro (…) l'immagine risultante rimane essenzialmente bipolare.
Saturno è allo stesso tempo immagine archetipica del Vecchio Saggio (…) e anche
del Vecchio Re, l'orco castrato e castrante"[1].
Ricorriamo per un momento di nuovo
all’Eneide: l’età aurea di Saturno secondo la profezia di
Anchise, ritornerà, ovviamente, con Augusto: “ Augustus
Caesar, Divi genus, aurea condet/saecula qui rursus Latio regnata
per arva Saturno quondam" (Eneide VI, vv. 792-793), Cesare
Augusto stirpe divina, che stabilirà di nuovo nel Lazio l'età dell'oro su cui
regnò nei campi arati un tempo Saturno.
Già nel primo libro Giove
profetizza il rinnovamento dei tempi dovuto all’impero e senza fine
e alla pace stabiliti da Augusto: “imperium sine fine dedi. Quin aspera
Iuno…mecum fovebit/Romanos rerum dominos gentemque togatam Aspera tum positis
mitescent saecula bellis,/cana Fides et Vesta, Remo cum fratre Quirinus/iura
dabunt; dirae ferro et compagibus artis/claudentur Belli portae; Furor impius
intus/saeva sedens super arma et centum vinctus aënis/post tergum nodis fremet
horridus ore cruento” (Eneide, I, 279 sgg.), ho assegnato un
impero senza fine. Anzi la dura Giunone con me favorirà i Romani signori del
mondo e la gente vestita di toga[2] (…) allora, deposte le guerre, diventeranno miti
le età feroci, e la Fede veneranda e Vesta, e, con il fratello Remo, Quirino
daranno le leggi; le atroci porte della guerra verranno chiuse con stretti
serrami di ferro; l'empio Furore dentro, seduto sopra le armi crudeli, e legato
dietro la schiena con cento nodi di bronzo, fremerà orribile nel volto
insanguinato.
Abbiamo già visto la previsione di
questo paradiso nel Carmen saeculare [3] dell’altro poeta di corte
Orazio: celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali
ritrovate:"Iam Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et
neglecta redire Virtus/audet, apparetque beata pleno/Copia cornu"[4], già la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore antico e
la Virtù messa da parte osa tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno
pieno.
La IV bucolica pocede
con la profezia di un bambino che sta per nascere puer nasciturus “ quo
ferrea primum-desinet ac toto surget gens aurea mundo” (8-9). L’era felice
entrerà nel mondo sotto il consolato di Pollione, uno dei patroni di Virgilio.
Le tracce dei delitti cancellate libereranno le terre dal continuo timore.
Il puer potrebbe
essere il figlio di Pollione oppure il futuro figlio di Ottaviano e Scribonia
che invece sarà la dissoluta Giulia.
Asinio Gallo nato nel 40 era figlio
di Asinio Pollione il quale ad Augusto che lo voleva ad Azio rispose che era
stato dalla parte di Antonio e voleva tenersi fuori dalla
contesa: itaque discrimini vestro me subtraham et ero preda victoris”
(Velleio Patercolo, II, 86), perciò mi terrò fuori dalla contesa e sarò preda
del vincitore.
Tacito difende Agrippina, la moglie
di Germanico, dalla calunnia di impudicitia. (Ann. VI, 25).
Tiberio la accusò di impudicizia e di adulterio con Asinio Gallo sed
Agrippina aequi impatiens, dominandi avida, virilibus curis
feminarum vitia exuerat”., ma Agrippina incapace di essere messa alla pari
degli altri e avida di dominio per le sue passioni virili si era spogliata
delle debolezze del suo sesso. Questa Agrippina I è la madre di Agrippina II e
la nonna di Nerone.
La terra produrrà doni per il
fanciullo nullo cultu (18) senza che nessuno la coltivi. La
capre riporteranno le mammelle colme di latte e i leoni non faranno più paura
agli armenti.
“occĭdet et serpens et fallax
herba veneni” (24) - le fattucchiere malefiche non potranno più esercitare
la loro stregoneria ndr.-
“molli paulatim flavescet campus
arista” (28) la campagna a poco a poco si imbiondirà di spighe ondeggianti.
Incultisque rubens pendebit sentibus
uva (29) e
da selvaggi roveti penderà rosseggiando l’uva.
“Et durae quercus sudabunt
roscida mella” (30).
La campagna di Virgilio è più
nutritiva dei giardini ameni di Orazio.
In questo nuova età dell’oro "pauca
tamen suberunt priscae vestigia fraudis,/quae temptare Thetin ratibus, quae
cingere muris/oppida, quae iubeant telluri infindere sulcos" (vv.
31-33), tuttavia resteranno sotto poche tracce dell'antica malizia: quelle che
spingono a tentare il mare con le navi, a cingere di mura le fortezze, a
scavare solchi nella terra.
Ricordo le condanne della
navigazione nel secondo e nel terzo coro della Medea di
Seneca.
“Alter erit tum Tiphys, et altera
quae vehat Argo
delectos heroas: erunt etia altera
bella,
atque iterum ad Troiam magnus
mittetur Achilles” 34-36).
Dopo le otto ore di
lezione su Omero e Apollonio Rodio, ho voluto trascrivere questi
versi per indicare i nessi e le corrispondenze, o i contrasti, tra
le opere, e incentivare quelli del nostro cervelli: la suvnesi", la capacità di mettere insieme, l’intelligenza.
Ma quando il puer sarà
cresciuto e divenuto vir, il mercante si ritirerà spontaneamente
dal mare, non nautica pinus- mutabit merces, omnis feret
omnia tellus (38-39) le navi di pino non
scambieranno le merci.
Non sarà più necessario lavorare la
terra, né tingere la lana: “ipse sed in pratis aries iam (…) mutabit vellera (43-44) l’ariete
da sé nei prati già cambierà i colori del vello suave rubenti murice,
con la porpora che rosseggia piacevolmente, con il giallo con il carminio.
: “Talia saecla currite” (46)
affrettate tali secoli, hanno detto ai loro fusi le Parche del
resto concordes stabili fatorum numine, concordi con l’irremovibile
volontà dei fati.
E tu cara Deum suboles,
diletta prole di Dei, guarda come tutto si allieta nel secolo che viene “adspice
venturo laetantur ut omnia saeclo” (52).
Il poeta si augura che gli resti il
tempo e lo spirito e l’ispirazione necessaria per celebrare le gesta del puer divenuto vir:
allora il suo canto non verrà vinto da quelli di Orfeo né da quelli di Lino e
perfino Pan, pur giudicato dall’Arcadia, perderebbe.
L’ecloga termina con l’invito al
sorriso, una chiamata all’ottimismo che dobbiamo accogliere anche noi
attualmente vessati da questa rinnovata età del ferro.
Il puer dovrà
essere sarà accolto dai sorrisi materni: “Incipe parve puer risu cognoscere
matrem[5] / (matri longa decem[6] tulerunt fastidia menses):"incipe, parve puer: cui
non risere parentes,/ nec deus hunc mensa, dea nec dignata cubili est "
(vv. 62-63), comincia bambino a riconoscere la madre dal sorriso, (alla madre
nove mesi hanno procurato lunghi travagli), comincia bambino, quello al quale
non hanno sorriso i genitori, né un dio giudicò degno della mensa né una dea
del suo letto.
L'età del ferro e la
terra ammorbata dai delitti dei capi, sono caratterizzate dalla mancanza di
sorrisi: la Tebe di Edipo è piena di gemiti (Edipo re , v. 5)
e la Scozia è tanto sconciata dai crimini di Macbeth che
sembra una tomba: non si vede sorridere nessuno, se non chi nulla conosce (IV,
3).
E' il mondo nuovo, o
rinnovato, oppure l'umanità non ancora conosciuta che fa sorridere
di speranza: alla fine di La Tempesta, Miranda esclama: oh
meraviglia ! Quante creature ottime ci sono qui! Com'è bella
l'umanità! O prode mondo nuovo (brave new world) con tali persone!.
Ma il padre, Prospero, che il
mondo lo conosce, le fa: ' Tis new to thee , per te
è nuovo (V, 1).
Bologna 19 novembre 2020 ore 10, 50
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] J.
Hillman, Puer aeternus, p. 80.
[2] La toga è la divisa del romano in pace, è
"quell'indumento così fortemente marcato, dal punto di vista dell'identità
e dell' "appartenenza" romana, da costituire una vera e propria
"uniforme de la citoyennetè" (. F. Dupont, La vie
quotidienne du citoyen romain sous la république, Hachette, Paris, 1989, p.
290) .La toga costruisce il corpo del cittadino alla maniera di una veste
rituale…". (M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 345).
[3] Del 17 a. C.
[4] Vv. 57-60. E' una strofe saffica formata da tre
endecasillabi saffici e da un adonio.
[5] È il motto con cui Pascoli inviò il poemetto
Thallusa ad Amsterdam nel 1911.
[6] Alessandro diceva che sua madre Olimpiade
esigeva un affitto pesante (baru;
dh; to; ejnoivkion tw'n devka mhnw'n, Arriano, Anabasi di Alessandro, 7,
12, 6) per i nove mesi nei quali lo aveva tenuto in grembo.
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