sabato 7 novembre 2020

Le catene del destino si possono spezzare o sciogliere, oppure sono sono piuttosto infrangibili e insolubili?

Prendo lo spunto da Esodi di Mezzanotte di Piegiorgio Valente: “Al mito appartengono le catene: costituiscono legami di provenienza, determinazione familiare e sociale, o vincoli di clan, figurano i segni che ci hanno scritto e ci (co) stringono, e che ogni giovane eroe dell’esodo vuole riscrivere per superare la loro cogenza. Sono lì lì per essere troncate” (p. 50).

 

Nella tragedia greca sono insolubili le catene della necessità. Faccio l’esempio più chiaro che è quello dell’Alcesti:

Nel III stasimo della tragedia più antica (è del 438 a.C.) tra le dicias­sette di euripide  a noi pervenute , il coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi (vv. 962-972): “Io attraverso le Muse mi lanciai nelle altezze, e ho toccato moltissimi ragionamenti – πλείστων ψάμενος λόγων – ma non ho trovato niente più forte della Neces­sità né alcun rimedio – κρεσσον οδν νάγκας / ηρον οδέ τι φάρμακον – nelle tavolette tracie che scrisse la voce di Orfeo, né tra quanti rimedi diede agli Asclepiadi Febo dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti per i mortali afflitti dalle malattie”.

Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del λόγος, della poesia, dell’arte medica. E ancora: la Necessità non è meno forte di Zeus (vv. 978-979): κα γρ Ζες τι νεύσηι / σν σο τοτο τελευτι, “e infatti qua­lunque cosa Zeus approvi, con te (Necessità), lo porta a compimento”, aggiunge il coro dei vecchi di Fere.

Una legge già affermata chiaramente da Eschilo:"tevcnh d  j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/" , la  tecnologia è di gran lunga più debole della necessità, afferma lo stesso Prometeo incatenato  (v. 514) che pure si atteggia a "benefattore tecnologico" degli uomini. Allora il Coro domanda chi governi il timone della necessità. Sono le tre Moire e le Erinni che non dimenticano, risponde il Titano. Quindi le Oceanine domandano se Zeus sia più debole di loro, e Prometeo risponde:"ou[koun aj;n ejkfuvgoi ge th;n peprwmevnhn" (v. 518), certo non potrebbe sfuggire al destino.

 

Nell'Edipo re   di Sofocle il coro di vecchi tebani canta che la prepotenza del tiranno piena di orpelli vani," ajkrovtata gei's  j ajnaba's& --ajpovtomon w[rousen eij" ajnavgkan"(876-877), salita su fastigi altissimi, precipita nella necessità scoscesa

 Nella “Prefazione” al romanzo Notre-Dame de Paris, Victor Hugo scrive che «rovistando all’interno di Notre-Dame […] trovò in un recesso oscuro di una delle torri, questa parola incisa a mano sul muro: ΑΝΑΓΚΗ». «Ebbene – conclu­de la prefazione – proprio su quella parola si è fatto questo libro. Marzo 1831»

 

“Parimenti nel mito, la tela di Penelope è archetipo del tempo; il filo (annodato e snodato) rappresenta il suo scorrere , il protendersi sul futuro e il ritrarsi nel passato, il progresso sul nuovo e il regresso nell’antico, l’essere nella sospensione de divenire” (Valente, Esodi di Mezzanotte, p. 50)

 

Infatti nell’epos omerico la necessità non è stringente come nelle successive tragedia.

Nel primo canto dell’Odissea, Zeus afferma il libero arbitrio degli uomini i quali possono andare uJpe;r movron oltre il destino, ossia la parte loro assegnate :"da noi infatti dicono che derivano i mali, ma anzi essi stessi/per la loro stupida scelleratezza hanno dolori oltre il destino" (vv. 33-34)

Dopo la tragedia la via (ojdov") omerica è ripresa metodicamente da

 Platone  nel mito di Er, quando si può scegliere il destino della vita successiva, fa parlare il  portavoce (profhvth~) di Lachesi, il quale dopo avere disposto in fila la folla, e avere  preso dei modelli di vita dalle ginocchia di Lachesi, proclama.

: “Questo è l’inizio di un altro ciclo  di mortalità della razza mortale.

, e non sarà il demone a sorteggiare voi, bensì voi sceglierete il demone 

( “ oujc uJma'" daivmwn lhvxetai, ajll j uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe" (617 e).

Chi è sorteggiato a scegliere per primo, prenda per primo la vita cui sarà congiunto”.

 Lachesi ha detto pure che la virtù è senza padrone (ajreth; de; ajdevspoton, 617e) e ciascuno ne avrà di più o di meno, a seconda che la apprezzi o la disprezzi. Responsabile è chi ha fatto la scelta[1], non la divinità” (aijtiva eJlomevnou: qeo;~ ajnaivtio~ (617 e).

 

Successivamente sarà Menandro ad affermare che "dio è sempre buono e chi si comporta male si crea una vita imbrogliata  per la propria sconsideratezza e guasta tutto, ma, mentre chiama malvagio il demone, il malvagio è lui" fr. 714 K.-Th.

 

  Bologna 7 novembre 2020, ore 12 giovanni ghiselli

 

 

 p. s.

 

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[1] E’ l’afferrmazione della responsabilità degli uomini, già fatta da Zeus nel primo canto dell’Odissea:"Ahimé, come ora davvero i mortali incolpano gli dèi! Da noi infatti dicono che derivano i mali, ma anzi essi stessi per la loro stupida presunzione hanno dolori oltre il destino. Così anche ora Egisto oltre il destino si prese la moglie legittima dell’Atride, e lo ammazzò appena tornato,

pur sapendo della morte scoscesa, poiché gliela predicemmo noi,

mandando Ermes, l’Argifonte dalla vista acuta,

di non ammazzarlo e di non corteggiarne la sposa:

infatti da Oreste ci sarà la vendetta dell’Atride,

quando sia adulto e desideri la sua terra.

Così diceva Ermes, ma non persuadeva la mente

Di Egisto, pur pensando al suo bene; e ora tutto insieme ha pagato” (vv. 32-43).

 

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