Anna cerca di convincere la sorella a liberarsi dagli scrupoli
vedovili:" Anna refert:" O luce magis dilecta sorori,/solane
perpetua maerens carpēre iuventa/nec dulcis natos, Veneris nec praemia noris?/id cinerem aut manis credis curare sepultos?" (vv.
31 - 34), Anna risponde: o tu che alla sorella sei più cara della luce, ti
consumerai da sola piangendo durante tutta la tua gioventù e non conoscerai i
dolci figli, né i doni di Venere? credi tu che di ciò si curino le ceneri o i
mani sepolti? - luce: ablativo di paragone. - carpēre: futuro passivo=carperis.
- perpetua…iuventa: ablativo di tempo. - dulcis= dulces. - Veneris
nec praemia noris (forma sincopata da noveris): ho
tradotto praemia con "doni " ricordando i "dw'r' ejrata; ... crusevh" jAfrodivth"" gli amabili doni dell'aurea
Afrodite che un altro fratello, Paride, chiede al fratello Ettore di non
disprezzare (Iliade, III, 64). - manis=manes. Essi sono le anime dei morti, letteralmente "i buoni". Ma questa
denominazione, osserva G. De Sanctis, deve considerarsi eufemistica
"perché con gli estinti, con qualunque nome si venerino, non si vuol mai
stare troppo a contatto"[1].
-
L'ultimo
verso citato sopra (Eneide, IV, 34) viene riusato in funzione esortativa
e con effetto parodico nella fabula
Milesia[2] del Satyricon dall'ancella
della matrona di Efeso quando vuole abbattere l'ostinazione della padrona che
nelle prime ore della vedovanza si rifiuta di prendere perfino il cibo. L'ancilla dunque
cita Virgilio :" "id
cinerem aut manes credis sentire sepultos?" e seguita:
“vis tu reviviscere? vis discusso muliebri errore, quam diu licuerit, lucis
commodis frui? ipsum te iacentis corpus admonere debet ut vivas" (111, 12), tu credi tu che di ciò si curino il cenere o i mani
sepolti? vuoi tu tornare alla vita? vuoi, dissipato lo smarrimento da femmina,
godere delle gioie della luce il più a lungo possibile? lo stesso corpo del
morto deve avvertirti di vivere.
La signora si lasciò convincere abbastanza presto e anzi si ingozzò di
cibo.
Virgilio
dunque ha dato voce agli scrupoli sessuali che trattengono la regina, e alle
direttive augustee, mentre la sorella Anna mossa dal buon senso le consiglia di
non opporsi anche a un amore gradito ("placitone etiam pugnabis amori? ",
v. 38) e dunque naturale.
Nella fabula
Milesia del Satyricon, dove la bella vedova è corteggiata
da un soldato, la parodia, il controcanto, procede con l'utilizzazione di
quest'altra espressione virgiliana: Nec deformis aut infacundus iuvenis
castae videbatur, conciliante gratiam ancilla ac subinde dicente:"placitone etiam pugnabis amori?” (112,
2), né il giovane appariva brutto o impacciato nell'eloquio alla casta signora,
tanto più che l'ancella conciliava l'inclinazione e sovente diceva:" ti
opporrai persino a un amore gradito? Sicchè:" ne hanc quidem partem
corporis mulier abstinuit, victorque miles utrumque persuasit" (112,
2), neppure questa parte del corpo la donna tenne in astinenza, e il soldato la
persuase, vincitore da una parte e dall'altra.
Simile
a quello di Anna è il consiglio della nutrice alla Fedra[3] di Euripide :" ouj lovgwn
eujschmovnwn - dei' s j, ajlla; tajndrov""[4], tu non hai bisogno di discorsi
speciosi ma di quell'uomo, le dice.
Così il
tenente Mahler del film Senso di Visconti:"è molto meglio prendersi il piacere dove si
trova".
Le proposte
delle nutrici spesso sono convincenti quanto quelle dei maestri:"nutrīcum
et paedagogorum rettulēre mox in adulescentiam mores "[5], ben presto i ragazzi riproducono
nella giovinezza i costumi di nutrici e pedagoghi.
"Dal
teatro attico, più che da Apollonio, proviene il personaggio di Anna, la
sorella della regina, che tiene accanto a lei il posto, press'a poco, di confidente:
più che al personaggio, molto scialbo, di Calciope, la sorella di Medea, in
Apollonio, Anna fa pensare a Ismene, la sorella di Antigone ,
nella tragedia di Sofocle o a Crisotemi, la sorella di Elettra ,
nella tragedia di Euripide: come questi personaggi, ella, pur con tutto il suo
affetto e la sua dedizione, resta in fondo estranea al pathos e ai tormenti
della sorella e si muove, quindi, in un'atmosfera di umanità più comune e
banale che, pur non potendosi dire meschina, resta nettamente al di sotto della
sublimità tragica. E' tuttavia significativo che la parte della confidente sia
affidata alla sorella della regina, non ad una nutrice, personaggio ben noto al
teatro attico"[6].
La
nutrice di Fedra e Anna interpretano eros in maniera metodicamente realistica, un
metodo che del resto viene smontato dal poeta.
Ovidio
rilancia poponendo il libertinaggio. Gli costerà l’esilio.
Negli Amores è la stessa impostazione di giuoco sofistico[7] che tende all'irrisione
della rusticitas. Vediamo per esempio, un passo di l'elegia dove si
vuole dimostrare che è meglio lasciare le puellae senza
sorveglianza: “Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx ,/et
notos mores non satis Urbis habet,/in qua Martigenae non sunt sine crimine
nati,/Romulus Iliades Iliadesque Remus " (III, 4, 37 - 40)
Aggiungo la traduzione
e un poco di commento.
E' davvero rozzo quello che una moglie adultera
offende, e non conosce bene i costumi di Roma nella quale i figli di Marte non
sono nati senza colpa, Romolo figlio di Ilia e il figlio di Ilia Remo.
Insomma il marito che, tradito, si adonta, è un
ignorante integrale.
"Per Ovidio Roma non è la regina delle città che
detta legge al genere umano: è invece principalmente la città dell'amore. Tutto
invita ad amare: strade, piazze, portici offrono mille bellezze giunte dai quattro
punti cardinali per conquistare i loro vincitori…Persino l'antico Foro diventa
luogo di appuntamenti e tende trappole ai giureconsulti:"et fora conveniunt
- quis credere possit - amori"[8]"[9].
Bologna 10 novembre 2020 ore 10
giovanni ghiselli
p.s.
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[1] Storia
Dei Romani, vol. I, p. 303.
[2] La novella licenziosa introdotta nelle
lettere latine in età sillana da Cornelio Sisenna che tradusse i Milhsiakavvv di Aristide di Mileto (II sec.
a. C.). Appartiene a questo genere la storia della "Matrona di Efeso"
( Satyricon, 111 - 112).
[3] Che, con ragioni del resto assai
diverse da quelle della regina vedova, lotta contro la propria passione.
[4] Euripide, Ippolito (del
428 a. C.), vv. 490 - 491.
[5] Seneca, De
ira (del 41 a. C.) II, 21.
[6]A. La Penna - C.
Grassi, op. cit., p. 358.
[7] Il gioco sofistico serve a
coonestare l'adulterio. Vedi Il discorso ingiusto delle Nuvole di
Aristofane. Fedra, Penelope ed Elena nelle Heroides di Ovidio.
Elena nelle Troiane di Euripide. L'audacia e la facondia contro
il rusticus pudor. Il rozzo pudore: Ovidio e Parini. Il marito: ahi
quanto spiace.
[8] Ars amatoria, I, 79. Anche i
fori si confanno all'amore, chi potrebbe crederlo?
[9] P. Grimal, L'amore a Roma, trad. it. Aldo Martello, Milano, 1964, p. 140.
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