La I bucolica è la storia di una raccomandazione e il raccomandato e protetto Virgilio, il cliente, manifesta la propria gratitudine al patrono (probabilmente già Ottaviano) divinizzandolo.
Il fatto è che abbiamo avuto sempre bisogno
di favori e raccomandazioni.
Siamo un popolo di patroni e clienti
legati da rapporti più o meno mafiosi fin dal tempo della 12 tavole, il primo
codice di Roma (451 - 450) che contiene questa legge: “Patronus si clienti
fraudem fecerit, sacer esto " VIII, 2.
La maggior parte delle leggi
dei Decemviri sono diventate lettera morta ma questa che sancisce
il clientelismo è rimasta viva “Il rapporto clientelare si configura come
un’organizzazione mafiosa che garantisce l’omertà, e il successo dei disonesti”.
(L. Perelli, La corruzione politica nell’antica Roma, p. 31).
La prima Bucolica di
Virgilio rappresenta al meglio il sentimento legato alla raccomandazione, una
pratica tanto presente in Italia da essere emblematica del costume degli
Italiani, un proprium et peculiare vitium della nostra gente.
In questa prima ecloga il pastore e
coltivatore Melibeo deve lasciare i campi espropriati da Ottaviano e Antonio
dopo la battaglia di Filippi (42). "Nos
patriae finìs et dulcia linquimus arva,/nos patriam fugimus "(4 - 5).
Titiro invece, il
"raccomandato", può conservare i poderi: "deus nobis haec
otia fecit "(6). Titiro è stato salvato dall’esproprio grazie
all’intervento del suo patrono cui il pastore è sperticatamente grato: “namque
erit ille mihi semper Deus” (8)
Il deus prelude al
culto di Augusto molto diffuso già durante la vita dell’erede di Cesare.
Titiro dunque andò a Roma dove quel
giovane dio, “quotannis –bis senos cui nostra dies altaria fumant” (42 -
43) per il quale ogni anno fumano dodici volte i nostri altari, proferì la
sentenza della salvezza ai suoi protetti: “pascite, ut ante, boves, pueri,
submittite tauros” (45).
Melibeo, lo sprotetto, si
congratula: “fortunate senex, ergo tua rura manebunt!” 469
Anche Virgilio poté conservare le terre
che posssedeva nel mantovano grazie ai suoi amici e protettori, vicini a
Ottaviano.
Melibeo invece dovrà cedere il podere,
che era il suo piccolo paradiso, a un empio soldato: “impius haec tam culta
novalia miles habebit, - barbarus has segetes? En quo discordia cives - produxit miseros: his nos conservavimis agros!” (70 - 72).
L’impius miles sarà stato un soldato di Antonio, non di Ottaviano.
Dunque Melibeo che non ha trovato la protezione di un potente deve salutare le
sue capellae, felix quondam pecus (74).
Titiro però lo invita a rimanere per
la notte che si avvicina: Et iam summa procul villarum culmina fumant -
maioresque cadunt altis de montibus umbrae” (83 - 84). Così finisce
l’ecloga.
Bologna, 18 novembre, 2020 ore 10,
58.
giovanni ghiselli
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