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Con Virgilio
la poesia pastorale di Teocrito acquista un tono di pathos, e trascura invece i
particolari precisi.
Faccio
l’esempio di un ealistico dettaglio teocriteo indicatomi da un collega di
Ragusa.
Nel primo
idillio Tirsi o il canto c’è un’ e[kfravsi~, la descrizione di una profonda
coppa (baqu; kissuvbion) promessa
dal capraio mentre invita il bovaro Tirsi a cantare la morte di Dafni.
Tirsi dunque
descrive le figure in rilievo nel kissuvbion:
Due uomini litigano per una donna. Un vecchio pescatore getta le reti con un vigore degno della giovinezza to; de; sqevno~ a[xion a{ba~, anche se è consunto dal mare. Poi c’è un ragazzetto che sorveglia una vigna seduto su un muretto di pietre a secco ejf j aiJmasiai'si fulavssei h{meno~ (I, Tirsi, vv. 47 - 48).
Il collega e
amico Tano del liceo Umberto I di Ragusa mi fece notare diversi anni or sono
che tali muretti si trovano ancora in Sicilia dove è ambientato l’idillio del
Siracusano Teocrito.
Poi altre
figure sulla coppa: due volpi cercano di rubare: una l’uva, l’altra la
colazione del ragazzo che non se ne cura ma intreccia una gabbia per grilli con
steli d’asfodelo tenuti insieme dal giunco.
Il capraio
regalerà la coppa capace a Tirsi se canterà la seducente canzone.
Tirsi dunque
canta la morte di Dafni, Tirsi dell’Etna.
Virgilio più
di Teocrito apre il suo mondo pastorale idealizzato ai dolori e alle speranze
della storia contemporanea. Resta però il fatto che i personaggi delle Bucoliche non
sono veri pastori.
Il mondo
bucolico è minacciato dalla forza dell’eros che abbiamo visto in Didone.
“Per quanto
Teocrito dipinga realisticamente la vita dei suoi pastori siciliani, essi sono
tutt’altro che rustici nel loro modo di esprimersi, che è altamente letterario
(…) Ma lo fa in forma scherzosa, poiché traspare sempre la dissonanza tra
l'elemento bucolico e quello letterario raffinato, ed è proprio in questo
contrasto che si cela il fascino della sua poesia” [1].
Teocrito fa
enumerare ai suoi pastori montagne come l’Emo, il Rodope, il Caucaso “Non è
linguaggio di pastori ed è press’a poco come quando Menandro mette in bocca non
a persone colte ma agli schiavi, citazioni della tragedia. Con cosciente ironia
egli si prende gioco dei pastori siciliani. Ma quando Virgilio leggeva queste e
simili espressioni in Teocrito, egli le prendeva nel senso che avevano
originariamente, cioè come esopressioni di contenuto patetico, cariche di
sentimento”[2].
“Ma
soprattutto, questi pastori non sono presi veramente sul serio. Così, quando
litigano, la cosa ha sempre del comico. Come è diversa nell’Odissea la lite fra
Eumeo e Melanto![3]
In Teocrito,
in genere, mancano gli scontri violenti (…) e Virgilio attenua ulteriormente le
asprezze. Già Teocrito porta un non so che di aulico e cortese tra i pastori, e
questa sarà poi sempre una caratteristica del genere bucolico. La vita
campestre viene abbellita con usanze cortesi e buon gusto e quel tanto di
spiacevole che rimane non dà più fastidio, in quanto è presentato sotto veste
faceta e messa in burla. Virgilio evita ancora più di Teocrito tutto quanto c’è
di grossolano e d’incivile nella vita dei pastori e non prova più lo stesso
senso di superiorità nei loro confronti; i suoi pastori si distinguono per
garbo e delicatezza di sentimenti, ed acquistano nello stesso tempo un
carattere di maggiore serietà. Ma la loro serietà è ben diversa da quella di
Eumeo: manca in loro ogni interesse vero ed elementare; non conoscono gli aspri
conflitti: la forte passione è estranea ad essi come più tardi agli eroi dell’Eneide
- ed è per questa ragione che nei tempi in cui fiorì la poesia arcadica e
invalsero costumi cortigiani, fu sempre preferita l’Eneide all’Iliade e
all’Odissea.
Se l’Arcadia
di Virgilio è traboccante di sentimento, i suoi pastori sono lontani tanto
dalla vera vita rustica quanto da quella raffinata delle città (…) Tutto ciò si
delinea già in Teocrito, ma Teocrito ha ancora molto il gusto per il
particolare preciso e realistico: Virgilio tende più al sentimentale, cerca ciò
che ha valore interiore. In Arcadia non si fanno calcoli, non si ragiona in
termini precisi e definiti. Tutto vive nella luce del sentimento. Ma il
sentimento stesso non è impetuoso e appassionato, anche l’amore è nostalgia
sentimentale”[4].
“L’Arcadia,
in quanto paese dei simboli, era assai discosta dal traffico della vita reale.
In questo paese l’antico mondo pagano poteva continuare a vivere senza creare
scandalo. L’Arcadia era così lontana che non v’era bisogno che venisse in urto
col Papato o col Sacro Romano Impero più di quel che fosse venuta con l’Impero
romano di Augusto. Fu invece fatale per essa il tempo in cui i popoli europei
non si accontenarono più delle verità loro tramandate e si affidarono al
proprio spirito; e fu del pari quello il tempo in cui si tornò a scoprire la
vera Grecia”[5]
L’Arcadia
sarà un’accademia letteraria italiana fondata nel 1690. Intendeva opporsi al
“cattivo gusto” del barocco attraverso un linguaggio semplice e spontaneo. Il
Gravina voleva tornare ai Greci e a Dante, mentre Crescimbeni, che prevalse,
proponeva Petrarca come modello e l’anacreontismo di Gabriello Chiabrera (1552
- 1638) il quale scrisse odi pindariche e canzonette anacreontiche (Belle rose
porporine).
Bologna 16
novembre 2020 ore 21, 18
giovanni
ghiselli
p. s.
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[1]B. Snell, La
cultura greca e le origini del pensiero europeo , capitolo XVI
L’ARCADIA SCOPERTA DI UN PAESAGGIO SPIRITUALE p. 392
[2] Snell, Op. cit. p. 393
[3] Cfr. Odissea XVII, vv. 230
ss. Ndr.
[4] Snell, Op. cit. pp. 394 - 395
[5] Snell, Op. cit., pp. 417 -
418
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