giovedì 12 novembre 2020

Riflessioni sull'"Eneide". 4. Enea e Virgilio infamati

Enea in fuga da Troia
A ragione o a torto? Scegli tu lettore, mon semblable, mon frère


Alle rivendicazioni dell'amante, Enea risponde che, salvi l'affetto e la gratitudine (ci mancherebbe!), egli ha doveri più forti verso gli dèi, il padre e il figlio. Sono gli argomenti classici degli amanti (uomini e ora anche tante donne) che nemmeno ci pensano a lasciare la famiglia. Apollo attraverso vari oracoli gli ha ordinato di raggiungere l'Italia:"hic amor, haec patria est " (v. 347), questo è l'amore, questa è la patria. Inoltre l'eroe riceve rimproveri  dall'immagine turbata del padre morto, ovviamente in somnis,  nei sogni, in tutti: quotiens  umentibus umbris-nox operit terras, vv. 351-352, ogni volta che la notte con umide ombre copre le terre; poi anche il figlio lo ammonisce,  e  pure Mercurio mandato da Giove per quel suo iniquo procrastinare il compimento del destino. Sicché l'eroe in fuga conclude chiedendo a Didone di risparmiargli  sensi di colpa e seccature :"Desine meque tuis incendere teque querellis:/ Italiam non sponte sequor " (vv. 360-61), smetti di infiammare me e te stessa con i lamenti: non cerco l'Italia di mia volontà.

"Querellis  voce che ci porta di nuovo nel mondo dell'elegia erotica (vedi, per esempio, Catullo, c. 64, v. 130 e v. 195, dove querellae sono i "lamenti" di Arianna abbandonata), è un termine che si presta molto bene a un 'riassunto' del contrasto in atto: da un lato le "lamentele" di una donna innamorata, dall'altro la coercizione del fato, che impone il sacrificio dei propri sentimenti privati. Le ultime parole di Enea, racchiuse in un emistichio ( uno dei numerosi versi incompiuti del poema) esprimono appunto il senso dell'invincibile pressione esercitata su di lui: è contro il suo cuore…che Enea porta avanti la sua missione"[1]. 

Inoltre:"Noi insegniamo che Virgilio…è il poeta dei victi tristes: anche insegniamo come egli abbia rappresentato in Enea il dolore che si accompagna alle vittorie "storiche"[2].

Aggiungo: Il dolore dei vinti e quello dei vincitori (cfr. le Troiane di Euripide e il poema Pharsalia di Lucano: Et ducibus tantum de funere pugna (VI, 811)  ).

Noi però sappiamo bene che quella dell'amore, quando c'è, è la forza massima, ineluttabile; lo sa anche Virgilio (omnia vincit Amor, et nos cedamus amori " Ecloga X, v. 69, tutto vince Amore e noi all'Amore cediamo), e lo sa pure Didone che si dispera siccome capisce che Enea non la ama.

Auerbach trova addirittura grottesco il fatto che Dante nel Convivio interpreti "la separazione di Enea da Didone come allegoria della temperantia"[3]. Sentiamo Dante stesso:"chiamasi quello freno Temperanza…E così infrenato mostra Virgilio, lo maggior nostro poeta, che fosse Enea, ne la parte de lo Eneida ove questa etade si figura; la quale parte comprende lo quarto, lo quinto e lo sesto libro de lo Eneida. E quanto raffrenare fu quello, quando, avendo ricevuto da Dido tanto di piacere…e usando con essa tanto di dilettazione, elli si partio, per seguire onesta e laudabile via e fruttuosa, come nel quarto de l'Eneida scritto è!" (Convivio, IV, 26).

 Il "non sponte " del v. 361, ripreso dall'"invitus regina tuo de litore cessi "[4] del VI canto (v. 460),  rende bene l'idea, anche se non voluta da Virgilio, della vigliaccheria dell'uomo.

 

Leopardi nello Zibaldone manifesta antipatia per Enea, sia pure a causa di una sua presunta perfezione:"Omero ha fatto Achille infinitamente men bello di quello che poteva farlo...e noi proviamo che ci piace più Achille che Enea ec. onde è falso anche che quello di Virgilio sia maggior poema ec." (2)… Troppa virtù morale, poca forza di passione, troppa ragionevolezza, troppa rettitudine, troppo equilibrio e tranquillità d'animo, troppa placidezza, troppa benignità, troppa bontà. Virgilio descrive divinamente l'amor di Didone per lui: da questo, e quasi da questo solo, ci accorgiamo ch'egli è ancor giovane e bello; e sebben questo in lui non ripugna alla (3609) natura e al verisimile naturale, come in Ulisse, pur tanta è la serietà dell'idea che Virgilio ci fa concepir del suo eroe, che la gioventù e la bellezza ci paiono in lui fuor di luogo… E così mentre Virgilio si ferma e si compiace in descrivere la passion di Didone e i suoi vari accidenti, progressi, andamenti, ed effetti…a riguardo d'Enea e della sua passione (3610) parla così coperto, anzi dissimulato…anzi serba quasi un così alto silenzio, che e' non mostra essa passione se non indirettamente e p. accidente, e in quanto ella si congettura e si lascia supporre p. necessità da quel ch'ei narra di Didone, e sempre volgendosi alla sola Didone. E par che volentieri, se si fosse potuto, egli avrebbe fatto che il lettore non istimasse Enea per niun modo tocco dalla passion dell'amore (di donna pur sì alta e sì degna e sì magnanima e sì bella e sì amante e tenera), e giudicasse che Didone avesse ottenuto il piacer suo, senza che quegli avesse conceduto. E chi potesse così stimare seconderebbe il desiderio di Virgilio. Tanto egli ebbe a schivo di far comparire nel suo eroe un errore, una debolezza, laddove non v'è cosa più amabile che la debolezza nella forza, né cosa meno amabile che un carattere e una persona senza debolezza veruna. E tanto egli giudicò che dovesse nuocere (3611) appo i lettori alla stima non solo, ma all'interesse pel suo Eroe (che mal ei confuse colla stima), il concepirlo e il vederlo capace di passione, capace di amore, tenero, sensibile, di cuore".

 

Nemmeno Virgilio piaceva troppo a Leopardi: “Dei poeti, come Virgilio, Orazio, Ovidio non discorro. Adulatori per lo più de’ tiranni presenti, sebbene lodatore degli antichi repubblicani.

Il più libero è Lucano” (Zibaldone 463).

Toglierei Ovidio da questo catalogo però.


A noi di tale "eroe" dà fastidio piuttosto la  doppiezza e ci piace metterlo a confronto con il Prometeo incatenato  di Eschilo che attribuisce dignità al suo peccato:" io sapevo tutto questo:/di mia volontà , di mia volontà ( eJkw;n eJkwvn) ho commesso la trasgressione, non lo negherò"(vv. 265-266).

Si può pensare anche all' Edipo di Sofocle che si punisce da solo colpendosi gli occhi per non vedere gli orrori che  ha commesso, anche se inconsapevolmente:" Apollo, era Apollo o amici/colui che portò a compimento queste cattive cattive mie queste mie sofferenze/Però di sua mano nessuno li[5] colpì/tranne me infelice"

( Edipo re , vv.1329-1332)

 

Bolgna 12 novembre 2020, ore 11, 25 giovanni ghiselli

p. s

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[1] G. B. Conte, Scriptorium Classicum, 3, p 274.

[2] M. Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea, p. 37.

[3] Studi su Dante, p. 73.

[4] Contro la mia volontà, regina, mi allontanai dalla tua spiaggia.

[5] Gli occhi.

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