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Enea viene giustificato da gran parte della critica; bisogna almeno dire che non è necessario essere come lui: Properzio antepone dignitosamente l'amore di Cinzia ai vantaggi che potrebbe ricavare dalla navigazione, e, al contrario dell'eroe virgiliano, non sale sulla nave: "Ah pereat, si quis lentus amare potest!/An mihi sit tanti doctas cognoscere Athenas,/atque Asiae veteres cernere divitias,/ut mihi deducta faciat convicia puppi/Cynthia et insanis ora notet manibus,/osculaque opposito dicat sibi debita vento/et nihil infido durius esse viro? " (I, 6, 12 - 18) ah muoia chiunque può essere insensibile nell'amore! Vale davvero la pena per me conoscere Atene la dotta, e vedere gli antichi tesori dell'Asia, posto che Cinzia mi lanci invettive salpata la nave, e segni le gote con mani furenti, e dica al vento nemico che i baci sono dovuti a lei e che nulla è più duro di un maschio infedele?
Il poeta umbro non si cura della
gloria, né dell'impero né delle armi: egli, semmai, milita nella schiera di
Amore:"Non ego sum laudi, non natus idoneus armis:/hanc me militiam
fata subire volunt " (I, 6, 29 - 30), io non sono nato per la
gloria, non sono adatto alle armi: i fati vogliono che mi sottoponga a questa
milizia.
La navigazione che allontana gli
amanti viene di nuovo esecrata da Properzio in una elegia successiva: “A
pereat quicumque ratis et vela paravit - primus et invito gurgite fecit iter”
(I, 17, 13 - 14)
Invece Enea corre a fondare l'impero
e fugge a tutto spiano lontano dalla donna: estrae dal fodero la spada fulminea
(vaginaque eripit ensem /fulmineum , vv. 579 - 580) e
taglia le gomene. Tale ardore che sostituisce quello amoroso prende
contemporaneamente tutti i Troiani i quali danno di piglio ai remi e fuggono a
precipizio"idem omnis[1] simul ardor habet, rapiuntque
ruuntque " (v. 581).
La spada e il fulmine
dovrebbero essere simboli erotici se non addirittura fallici: il grande
seduttore Alcibiade si era fatto incidere sullo scudo Eros fulminatore[2] invece
degli stemmi gentilizi.
Inserisco una scheda su un personaggio che può costituire l'altra faccia o
la parte in ombra del "pio" Enea[3]: lo
"straordinario" Alcibiade, il grande esteta e seduttore. Quindi
altri personaggi dello stesso stampo (Catilina et ceteri)
Il dandismo
Il grande avventuriero ateniese è inseribile, sostiene Baudelaire[4], nella
breve lista dei rappresentanti del dandismo dell'antichità, "il dandismo è
un'istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima, perché Cesare,
Catilina, Alcibiade ce ne forniscono degli splendidi tipi"[5]. Poco più
avanti il poeta francese dà una definizione del dandismo:" è
l'ultimo raggio di eroismo nei periodi di decadenza (...) è un sole che
tramonta; come l'astro che declina, è superbo, senza calore e pieno di
malinconia".
Vediamo la malinconica fine di questo prototipo del dandy .
Plutarco racconta che dopo la caduta di Atene (404 a. C.) Alcibiade
ebbe paura dei Lacedemoni che dominavano la Grecia e si recò da Farnabazo, in
Frigia, coltivandone l'amicizia e ricevendone onori:"qerapeuvwn a{ma
kai; timwvmeno""[6].
Cornelio Nepote[7] afferma
che Alcibiade con la sua signorilità conquistò Farnabazo a tal punto che
nessuno lo superava nell'intrinsichezza con il satrapo:"quem quidem adeo
sua cepit humanitate, ut eum nemo in amicitia antecederet "[8].
Attraverso tale humanitas riconosciamo in Alcibiade
un altro aspetto del dandy di Baudelaire:"Che questi uomini si facciano
chiamare raffinati, zerbinotti, bellimbusti, lions o dandys, tutti derivano da
una medesima origine; tutti partecipano del medesimo carattere di opposizione e
di rivolta; tutti sono dei rappresentanti di ciò che vi ha di meglio
nell'orgoglio umano, di questo bisogno, troppo raro presso gli uomini di
oggi, di combattere e distruggere la trivialità"[9].
Andrea Sperelli del Piacere[10] di D'Annunzio può
trovare un antenato in Alcibiade, soprattutto in quello della decadenza: "Il
senso estetico aveva sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico
appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli manteneva nello
spirito un certo equilibrio (...) Gli uomini d'intelletto, educati al culto
della Bellezza, conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una
specie di ordine. La concezione della Bellezza è, dirò così, l'asse del
loro essere interiore, intorno al quale tutte le passioni gravitano"[11].
. L'esteta dannunziano pensa di sè:"Io sono camaleontico ,
chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità
riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una
parola: NUNC . Sia fatta la volontà della legge"[12].
Plutarco aveva scritto di Alcibiade che per accalappiare le persone
era capace di imporsi trasformazioni più rapide e radicali del camaleonte
("ojxutevra" (...) tropa;" tou'
camailevonto""), il quale infatti non è creatura altrettanto
versatile in quanto non in grado di assumere il colore bianco, mentre per
quest'uomo, che passava con uguale disinvoltura attraverso il bene e il male,
non c'era niente di inimitabile né di non provato: " jAlkibiavdh/
de; dia; crhstw'n ijovnti kai; ponhrw'n oJmoivw" oujde;n h\n ajmivmhton
oujd j ajnepithvdeuton" : a Sparta viveva da sportivo (gumnastikov"), si comportava da persona semplice e sobria (eujtelhv"), perfino austera (skuqrwpov"); in Ionia
invece appariva raffinato (clidanov"), gaudente (ejpiterphv"), indolente (rJav/qumo"); in Tracia si
ubriacava (mequstikov") e andava a
cavallo ( iJppastikov"); e quando frequentava il satrapo
Tissaferne superava nel fasto e nel lusso la magnificenza persiana ("uJperevballen o[gkw/ kai; poluteleiva th;n Persikh;n megaloprevpeian"[13]). Insomma
assumeva di volta in volta le forme e gli atteggiamenti più consoni a quelli
cui voleva piacere, o per dirla con Cornelio Nepote era "temporibus
callidissime serviens "[14] abilissimo
nell'adattarsi alle circostanze.
giovanni ghiselli
[1] =omnes.
[2] Plutarco (50 ca - 125 ca d. C.), Vita di Alcibiade , 16.
[3] Huysmans lo definisce:"
personaggio indeciso e ondeggiante che si muove come un'ombra
cinese, con mosse da marionetta" (Controcorrente, p. 42)..
[4] 1821 - 1867,
[5]Curiosità
estetiche (uscite postume nel 1869) trad. it. in Il
Sistema Letterario , Ottocento , di
Guglielmino/Grosser, Principato, Milano, 1992, p. 1150.
[6]Plutarco,
Vita di Alcibiade , 37.
[7] 99 ca - 24 ca a. C.
[8]Liber de excellentibus ducibus
exterarum gentium, Alcibiades , 9, 3.
[9]Baudelaire (1821 - 1867), op. cit., p. 1151.
[10] Del 1889.
[11]D'Annunzio, Il
Piacere , pp. 42 - 43.
[12]D'Annunzio, Il
Piacere , p. 278.
[13]Plutarco, Vita
di Alcibiade, 23, 4 - 5.
[14]Op. cit., 1, 4.
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