Virgilio, mosso a compassione della regina cartaginese abbandonata da Enea e non volendo del resto incolpare il suo eroe, ritorce e fa ricadere sull'amore la maledizione indirizzata a Enea dall'amante :"Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis" [1] (v. 412), malvagio Amore, a cosa non costringi i petti mortali!
E' un'apostrofe contro l'amore che viene messo allo stesso livello dell'auri sacra fames , la maledetta fame dell'oro la quale ha spinto il re di Tracia a sgozzare l'ospite Polidoro:"Quid non mortalia pectora cogis,/ auri sacra fames! " (Eneide , III, 56-57).
Svevo risponde a questa identificazione insinuata da Virgilio tra l’improbus Amor e l’auri sacra fames con queste parole di totale chiarezza: “Uno dei pimi effetti della bellezza femminile su di un uomo è quello di levargli l’avarizia” (La coscienza di Zeno, p. 318 Dall’Oglio)
giovanni ghiselli
[1] "Il primo emistichio ripete un motivo dell' VIII Bucolica, v. 47: Saevus amor, e 49/50 Improbus ille puer: la conclusione del verso ripete III, 56". R. Calzecchi Onesti, op. cit., p. 295.
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