sabato 14 novembre 2020

Riflessioni sull'"Eneide". 16. La leggenda di Elissa-Didone

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Gaetano De Sanctis riferisce la leggenda di Elissa elaborata da Timeo[1], lo storiografo dell’Occidente greco

 

Sentiamone i tratti essenziali: "Il re di Tiro Muttone aveva lasciato morendo due figli, Pigmalione che gli succedette nel regno, ed Elissa, vergine d'insigne bellezza che andò sposa allo zio Sicherba (Sicheo), sacerdote di Eracle, possessore di ricchezze favolose. Avido di queste, Pigmalione mette a morte Sicherba, ma non gli vien fatto d'impadronirsi de' suoi tesori accuratamente nascosti. Ed Elissa, ingannato il re mediante l'astuzia, riesce ad imbarcarsi con rematori e popolo, recando seco i "sacra" d'Eracle del marito e le sue ricchezze. Approdata in Cipro, prende in sua compagnia la sacerdotessa di Giunone con la famiglia e rapisce ottanta di quelle vergini che secondo un vecchio uso cipriota erano scese sulla sponda del mare per ottemperare prima delle nozze al rito della prostituzione sacra. Poi giunta in Africa ottiene dagli indigeni, guadagnati con la lustra di scambi commerciali all'amicizia degli emigranti, il dono di tanto terreno quanto potesse coprirsene con una pelle bovina; e tagliando la pelle in minutissime liste, acquista con tale artifizio quel luogo cui rimase il nome di Byrsa, che in greco significa appunto pelle… Frattanto Iarba, re d'una vicina tribù libica, chiede con minaccia di guerra la mano d'Elissa. E la regina, vedendo di non poterne schivare le nozze, dopo avere invocato ripetutamente i mani di Sicherba e offerto copiosi sacrifizi funebri, fatta erigere col pretesto di questi sacrifizi una pira innanzi alla sua reggia, vi si precipita e muore tra le fiamme, ovvero vi sale e si uccide con la spada. Dopo di che essa, che per le sue peregrinazioni ebbe il nome di Didone, venne onorata, mentre Cartagine fu libera, come dea[2].

 E' questa leggenda ricca d'elementi greci. Il nome della rocca di Cartagine Byrsa vuol dire, sembra, fortezza, oppidum; certo nulla ha a fare col significato della parola greca byrsa; e il racconto che muove da quel significato non è se un mito etimologico ellenico. E mito etiologico d'origine greca sembra pur quello che collega la prostituzione sacra di Cartagine col rito affine di Cipro… E v'ha pure contaminazione evidente nella morte di spada d'Elissa: dove alla morte sacrificale per fuoco si sovrappone una forma, più comune e più conforme al sentimento greco, di suicidio. Più antico peraltro e più istruttivo è il rimanente della leggenda: la persona anzitutto d'Elissa, 'Allisat', la "Gioconda", che sembra una ipostasi della dea di Cartagine, Tanit[3]… l'intervento di Iarba, forse una divinità libica; il pianto di Elissa pel marito, in cui certo si rispecchia, come nel pianto d'Iside per Osiride o d'Afrodite per Adone, la triste e desolata vedovanza della natura nell'atto che le muoiano in seno durante il verno i germi vitali… Poi la lunga rivalità con Roma indusse nella leggenda, trasformandola, nuova vita"[4].

 

“La leggenda - continua De Sanctis - si arricchì della storia d'amore di Enea e Didone, un romanzo d'amore immaginato genialmente da un poeta guerriero[5] che di sugli esemplari alessandrini aveva appreso a pregiare la novella erotica e a vivificare d'intuizioni umane il mito, e dalle battaglie, cui aveva partecipato, della prima punica attingeva, non l'odio feroce per Cartagine che ispirarono alle generazioni più giovani le vicende della seconda, ma la fede nei destini di Roma e il rispetto cavalleresco per la sua degna rivale… E le tracce di Nevio seguì poi, rivestendo la nuova favola d'alta poesia, Vergilio; se pure all'abbandono di Elissa per parte d' Enea non seppe neanch'egli trovare una motivazione così umana e chiara come quella che trova Omero dell'abbandono di Calipso e di Circe per parte d'Odisseo. Omero gli aveva fornito lo spunto cantando, d'Odisseo, l'incontro con le dee amorose e lusinghiere e gli aveva insegnato a sovrapporre l'intervento divino liberatore, che compie e che risolve, alle contingenze e alle passioni umane, da cui rampolla per forza intrinseca la catastrofe. Ma non riuscì Virgilio di sostituire con passioni altrettanto umane e vive l'amore alla patria, il ricordo della famiglia, il sentimento del dovere verso i compagni, per cui Odisseo aveva già vinto virtualmente le lusinghe delle due dee incantatrici quando ne conseguì dall'aiuto degli dèi la vittoria attuale. Il mero capriccio del destino costringe Enea ad abbandonare la terra dove aveva trovato ospitalità ed amore, e a quel capriccio l'eroe sacrifica con fredda spietatezza i suoi sentimenti. Gli è che la figura d'Enea, diventata troppo ieratica e rigida nell'entrare tra le figure schematiche della leggenda romana, non comportava quei contrasti di passioni che, dando alla luce uno sfondo cupo d'ombra, giustificano ad esempio in Euripide, artisticamente se non moralmente, il ripudio di Medea per parte di Iasone. Ma in Elissa invece il poeta gentile che aveva formato il gusto sulla letteratura erotica ellenistica… foggiò una immagine viva di donna innamorata e dimentica, per l'amore, di ogni cosa; assai, appunto per questo, lontana dalle maliarde omeriche, il cui segreto spirituale di dee è impenetrabile ad occhio umano, e non degna, per questo, d'essere tradita dall'uomo e dal destino. Con ciò, mentre nelle imprecazioni della moritura Vergilio faceva presentire l'impeto e l'odio di Annibale e nella tragica sorte di lei quella della sua città, era artisticamente giustificato il suicidio di Didone che il mito narrava e il mito stesso, delineato con una delicatezza di sentimento pari alla finezza della espressione, si trasformava in un dramma in un dramma immortale d'amore e di morte, in cui era adombrato il dramma della lotta tra Roma e Cartagine"[6].

 

giovanni ghiselli

 



[1] Storiografo greco (IV-III sec. a. C.). Nacque in Sicilia ma si rifugiò ad Atene a causa del tiranno Agatocle di Siracusa. Scrisse Storie in 38 libri dalle origini della storia siciliana ad Agatocle (289 a. C.). Rimangono pochi frammenti in gran parte tramandati da Polibio che del resto polemizza implacabilmente con lui.

[2] Tim. fr. 23. Iustin. XVIII 4-6.

[3] Meno sicura è l'interpretazione del nome Didone, che, probabilmente per equivoco, Servio spiega come virago (Aen. IV, 36, 674) e forse solo a causa dei sacrifizi umani in uso a Cartagine e altri scrittori tardi con ajndrofovno".  Planh'ti"  (l'errante) invece interpreta l' Etym. Magnum s. v. attenendosi a Timeo.

[4] G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. III parte prima, pp. 21-22.

[5] L'incontro di Enea e Didone era già nel Bellum Poenicum di Nevio (270ca-201ca a. C.). Il Bellum poenicum  in saturni canta la prima guerra punica. Non mancano digressioni sul passato, anche mitico, di Roma e sulle vicende che portarono alla sua fondazione.

[6] G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. III parte prima, pp. 23-24.

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