PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI
Gaetano De Sanctis riferisce la
leggenda di Elissa elaborata da Timeo[1], lo storiografo dell’Occidente greco
Sentiamone i tratti essenziali: "Il
re di Tiro Muttone aveva lasciato morendo due figli, Pigmalione che gli
succedette nel regno, ed Elissa, vergine d'insigne bellezza che andò sposa allo
zio Sicherba (Sicheo), sacerdote di Eracle, possessore di ricchezze favolose.
Avido di queste, Pigmalione mette a morte Sicherba, ma non gli vien fatto
d'impadronirsi de' suoi tesori accuratamente nascosti. Ed Elissa, ingannato il
re mediante l'astuzia, riesce ad imbarcarsi con rematori e popolo, recando seco
i "sacra" d'Eracle del marito e le sue ricchezze. Approdata in
Cipro, prende in sua compagnia la sacerdotessa di Giunone con la famiglia e
rapisce ottanta di quelle vergini che secondo un vecchio uso cipriota erano
scese sulla sponda del mare per ottemperare prima delle nozze al rito della
prostituzione sacra. Poi giunta in Africa ottiene dagli indigeni, guadagnati
con la lustra di scambi commerciali all'amicizia degli emigranti, il dono di
tanto terreno quanto potesse coprirsene con una pelle bovina; e tagliando la
pelle in minutissime liste, acquista con tale artifizio quel luogo cui rimase
il nome di Byrsa, che in greco significa appunto pelle… Frattanto Iarba, re
d'una vicina tribù libica, chiede con minaccia di guerra la mano d'Elissa. E la
regina, vedendo di non poterne schivare le nozze, dopo avere invocato
ripetutamente i mani di Sicherba e offerto copiosi sacrifizi funebri, fatta erigere
col pretesto di questi sacrifizi una pira innanzi alla sua reggia, vi si
precipita e muore tra le fiamme, ovvero vi sale e si uccide con la spada. Dopo
di che essa, che per le sue peregrinazioni ebbe il nome di Didone, venne
onorata, mentre Cartagine fu libera, come dea[2].
E' questa leggenda ricca
d'elementi greci. Il nome della rocca di Cartagine Byrsa vuol dire, sembra,
fortezza, oppidum; certo nulla ha a fare col significato della
parola greca byrsa; e il racconto che muove da quel significato non è se un
mito etimologico ellenico. E mito etiologico d'origine greca sembra pur quello
che collega la prostituzione sacra di Cartagine col rito affine di Cipro… E v'ha
pure contaminazione evidente nella morte di spada d'Elissa: dove alla morte
sacrificale per fuoco si sovrappone una forma, più comune e più conforme al
sentimento greco, di suicidio. Più antico peraltro e più istruttivo è il
rimanente della leggenda: la persona anzitutto d'Elissa, 'Allisat', la
"Gioconda", che sembra una ipostasi della dea di Cartagine, Tanit[3]… l'intervento di Iarba, forse una divinità
libica; il pianto di Elissa pel marito, in cui certo si rispecchia, come nel
pianto d'Iside per Osiride o d'Afrodite per Adone, la triste e desolata
vedovanza della natura nell'atto che le muoiano in seno durante il verno i
germi vitali… Poi la lunga rivalità con Roma indusse nella leggenda,
trasformandola, nuova vita"[4].
“La leggenda - continua De Sanctis -
si arricchì della storia d'amore di Enea e Didone, un romanzo d'amore
immaginato genialmente da un poeta guerriero[5] che di sugli esemplari alessandrini
aveva appreso a pregiare la novella erotica e a vivificare d'intuizioni umane
il mito, e dalle battaglie, cui aveva partecipato, della prima punica
attingeva, non l'odio feroce per Cartagine che ispirarono alle generazioni più
giovani le vicende della seconda, ma la fede nei destini di Roma e il rispetto
cavalleresco per la sua degna rivale… E le tracce di Nevio seguì poi,
rivestendo la nuova favola d'alta poesia, Vergilio; se pure all'abbandono
di Elissa per parte d' Enea non seppe neanch'egli trovare una motivazione così
umana e chiara come quella che trova Omero dell'abbandono di Calipso e di Circe
per parte d'Odisseo. Omero gli aveva fornito lo spunto cantando,
d'Odisseo, l'incontro con le dee amorose e lusinghiere e gli aveva insegnato a
sovrapporre l'intervento divino liberatore, che compie e che risolve, alle
contingenze e alle passioni umane, da cui rampolla per forza intrinseca la
catastrofe. Ma non riuscì Virgilio di sostituire con passioni altrettanto umane
e vive l'amore alla patria, il ricordo della famiglia, il sentimento del dovere
verso i compagni, per cui Odisseo aveva già vinto virtualmente le lusinghe
delle due dee incantatrici quando ne conseguì dall'aiuto degli dèi la vittoria
attuale. Il mero capriccio del destino costringe Enea ad abbandonare la terra
dove aveva trovato ospitalità ed amore, e a quel capriccio l'eroe sacrifica con
fredda spietatezza i suoi sentimenti. Gli è che la figura d'Enea, diventata
troppo ieratica e rigida nell'entrare tra le figure schematiche della
leggenda romana, non comportava quei contrasti di passioni che, dando alla luce
uno sfondo cupo d'ombra, giustificano ad esempio in Euripide,
artisticamente se non moralmente, il ripudio di Medea per parte di Iasone. Ma
in Elissa invece il poeta gentile che aveva formato il gusto sulla letteratura
erotica ellenistica… foggiò una immagine viva di donna innamorata e dimentica,
per l'amore, di ogni cosa; assai, appunto per questo, lontana dalle maliarde
omeriche, il cui segreto spirituale di dee è impenetrabile ad occhio umano, e
non degna, per questo, d'essere tradita dall'uomo e dal destino. Con ciò,
mentre nelle imprecazioni della moritura Vergilio faceva presentire l'impeto e
l'odio di Annibale e nella tragica sorte di lei quella della sua città, era
artisticamente giustificato il suicidio di Didone che il mito narrava e il mito
stesso, delineato con una delicatezza di sentimento pari alla finezza della
espressione, si trasformava in un dramma in un dramma immortale d'amore e di
morte, in cui era adombrato il dramma della lotta tra Roma e Cartagine"[6].
giovanni ghiselli
[1] Storiografo greco (IV-III sec. a. C.).
Nacque in Sicilia ma si rifugiò ad Atene a causa del tiranno Agatocle di
Siracusa. Scrisse Storie in 38 libri dalle origini della
storia siciliana ad Agatocle (289 a. C.). Rimangono pochi frammenti in gran
parte tramandati da Polibio che del resto polemizza implacabilmente con lui.
[2] Tim. fr. 23. Iustin. XVIII 4-6.
[3] Meno sicura è l'interpretazione del
nome Didone, che, probabilmente per equivoco, Servio spiega come virago (Aen.
IV, 36, 674) e forse solo a causa dei sacrifizi umani in uso a Cartagine e
altri scrittori tardi con ajndrofovno". Planh'ti" (l'errante) invece interpreta l' Etym. Magnum s.
v. attenendosi a Timeo.
[4] G. De Sanctis, Storia dei
Romani, vol. III parte prima, pp. 21-22.
[5] L'incontro di Enea e Didone era già
nel Bellum Poenicum di Nevio (270ca-201ca a. C.). Il Bellum
poenicum in saturni canta la prima guerra punica. Non mancano
digressioni sul passato, anche mitico, di Roma e sulle vicende che portarono
alla sua fondazione.
[6] G. De Sanctis, Storia dei
Romani, vol. III parte prima, pp. 23-24.
Nessun commento:
Posta un commento