giovedì 19 novembre 2020

Le "Bucoliche" di Virgilio. 6. Ecloga IV. Conclusione comparativa

Cesare Augusto
Parerga e paralipomena rispetto al commento dell’Ecloga IV di Virgilio

 

Ricordo, per contrasto con quello di Virgilio, il puer di Lucrezio già rattristato dalla vita: "ut saevis proiectus ab undis/navĭta, come un marinaio gettato a riva dalle onde infuriate, nudus humi iacet, infans, indigus omni/vitali auxilio , giace nudo sul suolo, incapace di parlare, bisognoso di ogni assistenza per vivere, cum primum in luminis oras/nixibus ex alvo matris natura profudit, appena la natura lo ha versato sulle rive della luce con travaglio dal ventre della madre, vagituque locum lugubri complet, ut aequumst/cui tantum in vita restet transire malorum" (De rerum natura V, 222 - 227), e riempie lo spazio con un vagito di pianto, come è giusto per uno cui in vita è riservato di passare per tante disgrazie.

 

Con questo puer di solito si confronta il neonato di Leopardi: "Nasce l'uomo a fatica,/ed è rischio di morte il nascimento./Prova pena e tormento/per prima cosa; e in sul principio stesso/la madre e il genitore/il prende a consolare dell'esser nato"[1].

 

Nell'Eneide la decadenza delle età è collegata alla guerra e alla volontà di impossessarsi delle ricchezze: "Aurea quae perhibent illo sub rege fuere/saecula: sic placida populos in pace regebat,/deterior donec paulatim ac decŏlor[2] aetas/et belli rabies et amor successit habendi". (VIII, 324 - 327), i secoli d'oro di cui si narra furono sotto quel re[3]: così reggeva i popoli in placida pace, finché un poco alla volta succedette l'età scolorita e la furia di guerra, e l'amore del possesso.

L'età dell'oro secondo la profezia di Anchise, ritornerà, ovviamente, con Augusto: “Augustus Caesar, Divi genus, aurea condet/saecula qui rursus Latio regnata per arva Saturno quondam" (Eneide VI, vv. 792 - 793), Cesare Augusto stirpe divina, che stabilirà di nuovo nel Lazio l'età dell'oro su cui regnò nei campi arati un tempo Saturno.

 

Torno a Leopardi che, nella Storia del genere umano del 1824, dice che Giove per salvare la nostra specie annoiata deliberò di mescere la vita troppo facile di mali veri e di implicarla in mille negozi e fatiche, per sviare gli uomini dal conversare con il proprio animo. Voleva crescere il pregio dei beni con la opposizione dei mali.

 

Concludo con Leopardi che nella Palinodia al marchese Gino Capponi (1835), scrive ironicamente:"E tu comincia a salutar col riso/gl'ispidi genitori, o prole infante,/eletta agli aurei dì"(271 - 273).

 

19 novembre ore 11 giovanni ghiselli

 



[1] Canto notturno di un pastore errante dell'Asia (del 1829), vv. 39 - 44).

[2] Nell’Oedipus di Seneca la Tebe ammorbata dagli scelera del re è colpita dall’aridità, dalla siccità e pure dallo scolorimento che significano sterilità e morte: "Deseruit amnes humor atque herbas color,/aretque Dirces; tenuis Ismenos fluit,/et tingit inǒpi nuda vix undā vada "(Oedipus, vv.41 - 43), l'acqua ha lasciato i fiumi e il colore le erbe, è disseccata Dirce; l'Ismeno scorre vuoto, e con la povera onda bagna a stento i guadi nudi. La malattia toglie umore e colore alla vita prima di annientarla: "Il sole della peste stingeva tutti i colori e fugava ogni gioia" A. Camus, La peste, p. 87.

[3] Saturno (cfr. redeunt Saturnia regna di Bucolica IV, v. 6) che diede alla terra dove si era rifugiato il nome di Latium , "his quoniam latuisset tutus in oris " (Eneide, 8, v. 323), poiché era rimasto latitante sicuro in queste contrade.

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