NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 9 novembre 2020

Valutazioni contrastanti dell’amore

Veronese, Venere e Marte legati da Amore
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Per Lucrezio è una ferita - vulnus - una piaga - ulcus - prodotta dall’irrazionalità, dalla follia della passione angosciosa; per Ovidio viceversa è un elemento della ragione che potenzia l’intelligenza e dà gioia. Platone e Plauto.

 

Dopo l’Inno a Venere nel primo canto del poema, nel seguito del De rerum natura l'amore è pena, dolore e angoscia.

La personificazione del tormento amoroso dei mortali è costituita da Tizio:"Sed Tityos nobis hic est, in amore iacentem/quem volucres lacerant atque exest anxius angor " (De rerum natura, III, 992 - 993), ma Tizio è qui in noi, quello che, prostrato nell'amore, gli uccelli dilaniano e un angoscioso affanno divora. "La pena di Tizio - il gigante ucciso da Apollo per aver insidiato Latona, e disteso nel Tartaro col fegato continuamente roso dagli avvoltoi - è per Lucrezio, come sarà pure per Orazio (carm. 3, 4, 77 - 79; cfr. Servio, ad Aen. 6, 596), allegoria dell'angosciosa passione amorosa, la cupido"[1].

 

Nel quarto libro la voluptas è admixta , mescolata di dolore, e la cuppedo, dira, fa bruciare il petto in modo distruttivo :"Sed leviter poenas frangit Venus inter amorem/blandaque refrenat morsus admixta voluptas./Namque in eo spes est, unde est ardoris origo,/restingui quoque posse ab eodem corpore flammam./ Quod fieri contra totum natura repugnat;/unaque res haec est, cuius quam plurima habemus,/tam magis ardescit dira cuppedine pectus" (De rerum natura, IV, 1084 - 1090), ma un poco spezza i tormenti Venere in mezzo all'amore, e il piacere carezzevole, pur mescolato, doma i morsi. Infatti in questo si spera, che da dove scaturisce l'ardore, dal medesimo corpo possa anche spengersi la fiamma. Ma la natura ribatte che avviene tutto il contrario, e questa è la sola cosa di cui, quanto più ne abbiamo, tanto più il petto arde di una brama tremenda.

Il piacere, vanificato, si muta in angoscia:” "Eximia veste et victu convivia, ludi, /pocula crebra, unguenta coronae serta parantur, /nequiquam, quoniam medio de fonte leporum/surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat ..." (vv. 1131 - 1134):"si preparano conviti con apparato e portate sfarzose, giochi, tazze fitte, profumi, corone. ghirlande, invano poiché dal mezzo della sorgente dei piaceri sgorga qualche cosa di amaro che angoscia persino in mezzo ai fiori

 

Viceversa in Ovidio la cupido è un elemento della ragione e la rafforza: il maestro del lusus erotico consiglia al corteggiatore di potenziare la facondia con la forza del desiderio: è il "rem tene verba sequentur " di Catone trasferito in campo amoroso:"fac tantum cupias, sponte disertus eris " (Ars amatoria[2], I, 608), pensa solo a desiderarla, e sarai facondo senza sforzo. Tereo che arde di passione per la cognata Filomela è reso eloquente dallo stesso ardore amoroso:"Facundum faciebat amor " (Metamorfosi [3], VI, 469).

 

La cupido del poeta peligno dunque stimola l'eloquenza ed è produttiva tanto di persuasione quanto di successo erotico.

 

 Invece Lucrezio è inesorabile nel denunciare le sofferenze amorose, nel quarto libro del De rerum natura, ill termine vulnus, ferita, non basta più: la ferita lasciata dall'ansia erotica diventa una piaga (ulcus) che può incancrenirsi se non viene curata:"Ulcus enim vivescit et inveterascit alendo/inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit,/si non prima novis conturbes vulnera plagis/vulgivagāque vagus Venere[4] ante recentia cures /aut alio possis animi traducere motus " (IV, 1068 - 1072), la piaga infatti si ravviva e si incancrenisce a nutrirla, la smania cresce di giorno in giorno, e l'angoscia si aggrava, se non confondi le antiche ferite con nuovi colpi, e le recenti non curi prima, vagando con una Venere vagabonda, o ad altro oggetto tu non possa drizzare i moti dell'animo. 

Nei primi due versi "le due coppie allitteranti di incoativi, qui più che mai progressivi, si succedono in crescendo ... simbolo fonico dell'inarrestabile crescere della passione" (Traina 1979, 279 - 25). Il linguaggio erotico lucreziano oscilla tra il tovpo" dell'amore - ferita (il peggiorativo e prosastico ulcus sostituisce il nobile ed epico vulnus ; cfr. vv. 1048 - 1055) e il tovpo" dell'amore - follia"[5].

Ulcus è la parola chiave[6]. E' legata etimologicamente a ulcero , procuro una piaga, a ulciscor , vendico, mi vendico, e imparentata con il greco e{lko" che ha il medesimo significato[7].

 Ammesso che Amore infligga delle ferite, bisogna pure dire che queste, se comprese, possono diventare un bene: "una ferita è un'apertura. Una ferita è anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti" siano una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la nostra vita. Tutti le sentiamo. E se non le sentiamo, siamo solo bambini, solo innocenza. Si tratta piuttosto di rendersi conto che la vita è una serie di iniziazioni, e questa è un'iniziazione in più. Un'altra apertura a qualcosa che mette alla prova la nostra vitalità. Che sonda la nostra capacità di comprensione. Che espande la nostra intelligenza"[8].

Insomma è il tw/' pavqei mavqo" di Eschilo[9]attraverso la sofferenza, la comprensione, che H. Hesse esprime così:"Profondamente sentì in cuore l'amore per il figlio fuggito, come una ferita, e sentì insieme che la ferita non gli era stata data per rovistarci dentro e dilaniarla, ma perché fiorisse in tanta luce"[10].

Voglio mostrare una riabilitazione di Amore dalle calunnie attraverso alcune parole di Agatone nel Simposio platonico: Eros è il più felice, il più bello e il più nobile fra tutti gli dèi. Ed è anche il più giovane, sicché non derivano da Eros le mutilazioni dei tempi primordiali di cui parlano Esiodo e Parmenide, anzi , se ci fosse stato lui, non sarebbero avvenute quelle castrazioni vere e proprie (ejktomaiv), né incatenamenti reciproci ( desmoi; ajllhvlwn) e molte altre prevaricazioni anche violente (kai; a[lla polla; kai; bivaia,195c), ma solo amicizia e pace come ai tempi nostri, da quando Amore regna tra i numi. Inoltre Eros è delicato (aJpalov"), tant'è vero che cammina e dimora sulle entità più tenere: infatti ha fondato la sua dimora nei caratteri e nelle anime degli dèi e degli uomini. Anzi ripudia i caratteri duri e rozzi. Inoltre possiede tutte le virtù, compreso il coraggio: infatti neppure Ares tiene testa a Eros (196d) che viceversa ha in pugno il dio della guerra: ebbene questo fatto toglie, non infligge ferite agli uomini. 

 E' quanto sostiene anche l'inno a Venere di Lucrezio, "che in un certo senso è fuoritesto"[11], ed è comunque in contraddizione con il IV libro .

Un elogio dell'amore si trova anche nella Casina, l'ultima commedia[12] di Plauto. Il vecchio Lisidamo, cana culex v. 238, zanzara dal pelo bianco, così lo apostrofa la moglie gelosa, è risibilmente innamorato della fanciulla del caso, eppure l'entusiamo gli fa pronunciare un elogio pieno di verità:"Omnibus rebus ego amorem credo et nitoribus nitidis antevenire (Fel quod amarumst, id mel faciet, hominem ex tristi lepidum et lenem " (217 e 223), io credo che l'amore venga prima di tutto anche degli splendori brillanti…Il fiele che è amaro lo renderà miele, l'uomo, da lugubre, piacevole e dolce.

 

Bologna 9 novembre 2020, ore 10

giovanni ghiselli

 

p. s.

presenterò questa scheda con i dovuti ampliamenti martedì 10 nel mio corso della Primo Levi

 

p. s.

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[1] Lucrezio, La Natura Delle Cose, testo e commento di Ivano Dionigi, p. 320.

[2] L'Ars amatoria (in distici elegiaci) costituisce una precettistica erotica in tre libri: nei primi due il poeta fa il maestro d'amore agli uomini, nel terzo alle donne. Questa raccolta a sfondo didascalico fu completata nell'1 o nel 2 d. C, come i Remedia amoris e i Medicamina faciei femineae. Ovidio, nato a Sulmona, e morto in esilio a Tomi sul Mar Nero, visse tra il 43 a. C. e il 17/18 d. C.

[3] Poema epico di quindici libri in esametri. Narra la storia del mondo dall'origine all'età contemporanea attraverso racconti che hanno in comune il tema della metamorfosi. Fu composto fra l'1 e l'8 d. C.

[4] L'allitterazione in "v" suggerisce il suono di un soffio che passa sulle ferite asciugandole.

[5]Lucrezio, La Natura Delle Cose , commento di I. Dionigi, p. 408.

[6] E' da notare che tanto il termine ulcus quanto il nesso anxius angor di III 993 tornano alla fine del poema lucreziano nella descrizione della peste di Atene del 430 (VI, v.1148 e v. 1158). 

[7] Questo termine viene usato da Creonte per distogliere il figlio Emone dall'amore di Antigone:":"dunque, figlio, non buttar via l'intelligenza/per il piacere a causa di una donna, sapendo che/gelido abbraccio diventa questo/ una donna cattiva compagna di letto nella casa. Quale piaga (e{lko" ) infatti/potrebbe essere maggiore di un caro cattivo?" vv. 648 - 652.

[8] J. Hillman, Il piacere di pensare. conversazione con Silvia Ronchey, pp. 66 - 67.

[9] Agamennone, 177.

[10]Siddharta , p.135.

[11]G. B. Conte, Introduzione a Lucrezio, La Natura Delle Cose , p. 7.

[12] Del 185 a. C. 

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