PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIVeronese, Venere e Marte legati da Amore
Per Lucrezio è una ferita - vulnus
- una piaga - ulcus - prodotta dall’irrazionalità, dalla follia della
passione angosciosa; per Ovidio viceversa
è un elemento della ragione che potenzia l’intelligenza e dà gioia. Platone e
Plauto.
Dopo l’Inno
a Venere nel primo canto del poema, nel seguito del De rerum natura
l'amore è pena, dolore e angoscia.
La
personificazione del tormento amoroso dei mortali è costituita da Tizio:"Sed
Tityos nobis hic est, in amore iacentem/quem volucres lacerant atque exest
anxius angor " (De rerum natura, III, 992 - 993), ma Tizio
è qui in noi, quello che, prostrato nell'amore, gli uccelli dilaniano e un
angoscioso affanno divora. "La pena di Tizio - il gigante ucciso da Apollo
per aver insidiato Latona, e disteso nel Tartaro col fegato continuamente roso
dagli avvoltoi - è per Lucrezio, come sarà pure per Orazio (carm. 3, 4,
77 - 79; cfr. Servio, ad Aen. 6, 596), allegoria
dell'angosciosa passione amorosa, la cupido"[1].
Nel quarto
libro la voluptas è admixta , mescolata di
dolore, e la cuppedo, dira, fa bruciare il petto in modo
distruttivo :"Sed leviter poenas frangit Venus inter amorem/blandaque
refrenat morsus admixta voluptas./Namque
in eo spes est, unde est ardoris origo,/restingui quoque posse ab eodem corpore
flammam./ Quod fieri contra totum natura repugnat;/unaque res haec est, cuius
quam plurima habemus,/tam magis ardescit dira cuppedine pectus" (De rerum natura,
IV, 1084 - 1090), ma un poco spezza i tormenti Venere in mezzo all'amore, e il
piacere carezzevole, pur mescolato, doma i morsi. Infatti in questo si spera,
che da dove scaturisce l'ardore, dal medesimo corpo possa anche spengersi la
fiamma. Ma la natura ribatte che avviene tutto il contrario, e questa è la sola
cosa di cui, quanto più ne abbiamo, tanto più il petto arde di una brama
tremenda.
Il piacere, vanificato, si muta in angoscia:” "Eximia veste et
victu convivia, ludi, /pocula crebra, unguenta coronae serta parantur,
/nequiquam, quoniam medio de fonte leporum/surgit amari aliquid quod in ipsis
floribus angat ..." (vv. 1131 - 1134):"si preparano conviti
con apparato e portate sfarzose, giochi, tazze fitte, profumi, corone.
ghirlande, invano poiché dal mezzo della sorgente dei piaceri sgorga qualche
cosa di amaro che angoscia persino in mezzo ai fiori
Viceversa
in Ovidio la cupido è un elemento della
ragione e la rafforza: il maestro del lusus erotico consiglia
al corteggiatore di potenziare la facondia con la forza del desiderio: è il
"rem tene verba sequentur " di Catone
trasferito in campo amoroso:"fac tantum cupias, sponte disertus eris "
(Ars amatoria[2],
I, 608), pensa solo a desiderarla, e sarai facondo senza sforzo. Tereo che arde
di passione per la cognata Filomela è reso eloquente dallo stesso ardore
amoroso:"Facundum faciebat amor " (Metamorfosi [3],
VI, 469).
La cupido del
poeta peligno dunque stimola l'eloquenza ed è produttiva tanto di persuasione
quanto di successo erotico.
Invece
Lucrezio è inesorabile nel denunciare le sofferenze amorose, nel quarto libro del De rerum
natura, ill termine vulnus, ferita, non basta più: la
ferita lasciata dall'ansia erotica diventa una piaga (ulcus) che può incancrenirsi
se non viene curata:"Ulcus enim vivescit et inveterascit alendo/inque
dies gliscit furor atque aerumna gravescit,/si non prima novis conturbes
vulnera plagis/vulgivagāque vagus Venere[4] ante
recentia cures /aut alio possis animi traducere motus " (IV, 1068
- 1072), la piaga infatti si ravviva e si incancrenisce a nutrirla, la smania
cresce di giorno in giorno, e l'angoscia si aggrava, se non confondi le antiche
ferite con nuovi colpi, e le recenti non curi prima, vagando con una Venere
vagabonda, o ad altro oggetto tu non possa drizzare i moti dell'animo.
Nei primi
due versi "le due coppie allitteranti di incoativi, qui più che mai
progressivi, si succedono in crescendo ... simbolo fonico dell'inarrestabile
crescere della passione" (Traina 1979, 279 - 25). Il linguaggio erotico
lucreziano oscilla tra il tovpo" dell'amore - ferita (il peggiorativo e prosastico ulcus sostituisce il nobile
ed epico vulnus ; cfr. vv. 1048 - 1055) e il tovpo" dell'amore - follia"[5].
Ulcus è la parola chiave[6]. E' legata etimologicamente a ulcero ,
procuro una piaga, a ulciscor , vendico, mi vendico, e
imparentata con il greco e{lko" che ha il medesimo significato[7].
Ammesso
che Amore infligga delle ferite, bisogna pure dire che queste, se comprese,
possono diventare un bene: "una ferita è un'apertura. Una ferita è anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire
qualcosa. Se potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste
"intensità sconvolgenti" siano una sorta di messaggio: sono
"cicatrici", ferite, che segnano la nostra vita. Tutti le sentiamo. E
se non le sentiamo, siamo solo bambini, solo innocenza. Si tratta piuttosto di rendersi
conto che la vita è una serie di iniziazioni, e questa è un'iniziazione in
più. Un'altra apertura a qualcosa
che mette alla prova la nostra vitalità. Che sonda la nostra
capacità di comprensione. Che espande la nostra intelligenza"[8].
Insomma è il tw/' pavqei mavqo" di Eschilo[9], attraverso la sofferenza, la comprensione, che H. Hesse esprime così:"Profondamente sentì in cuore l'amore
per il figlio fuggito, come una ferita, e sentì insieme che la ferita non gli
era stata data per rovistarci dentro e dilaniarla, ma perché fiorisse in tanta
luce"[10].
Voglio
mostrare una riabilitazione di
Amore dalle calunnie attraverso alcune parole di Agatone nel Simposio platonico: Eros
è il più felice, il più bello e il più nobile fra tutti gli dèi. Ed è anche il
più giovane, sicché non derivano da Eros le mutilazioni dei tempi primordiali
di cui parlano Esiodo e Parmenide, anzi , se ci fosse stato lui, non sarebbero
avvenute quelle castrazioni vere e proprie (ejktomaiv), né incatenamenti reciproci
( desmoi; ajllhvlwn) e molte
altre prevaricazioni anche violente (kai; a[lla polla; kai; bivaia,195c), ma solo amicizia e pace come
ai tempi nostri, da quando Amore regna tra i numi. Inoltre Eros è delicato (aJpalov"), tant'è vero che cammina e dimora
sulle entità più tenere: infatti ha fondato la sua dimora nei caratteri e nelle
anime degli dèi e degli uomini. Anzi ripudia i caratteri duri e rozzi. Inoltre
possiede tutte le virtù, compreso il coraggio: infatti neppure Ares tiene testa a Eros (196d) che viceversa
ha in pugno il dio della guerra: ebbene questo fatto toglie, non infligge
ferite agli uomini.
E'
quanto sostiene anche l'inno a
Venere di Lucrezio, "che in un certo senso è fuoritesto"[11], ed è comunque in contraddizione con il IV
libro .
Un elogio
dell'amore si trova anche nella Casina, l'ultima commedia[12] di Plauto. Il vecchio Lisidamo, cana culex v.
238, zanzara dal pelo bianco, così lo apostrofa la moglie gelosa, è
risibilmente innamorato della fanciulla del caso, eppure l'entusiamo gli fa
pronunciare un elogio pieno di verità:"Omnibus rebus ego amorem credo
et nitoribus nitidis antevenire (…) Fel quod amarumst,
id mel faciet, hominem ex tristi lepidum et lenem " (217 e 223),
io credo che l'amore venga prima di tutto anche degli splendori brillanti…Il
fiele che è amaro lo renderà miele, l'uomo, da lugubre, piacevole e dolce.
Bologna 9
novembre 2020, ore 10
giovanni
ghiselli
p. s.
presenterò
questa scheda con i dovuti ampliamenti martedì 10 nel mio corso della Primo
Levi
p. s.
Sempre 1050693
Oggi 70
Ieri 383
Questo mese 3512
Il mese scorso 10742
[1] Lucrezio, La Natura Delle Cose, testo e commento di Ivano
Dionigi, p. 320.
[2] L'Ars amatoria (in distici
elegiaci) costituisce una precettistica erotica in tre libri: nei primi due il
poeta fa il maestro d'amore agli uomini, nel terzo alle donne. Questa raccolta
a sfondo didascalico fu completata nell'1 o nel 2 d. C, come i Remedia
amoris e i Medicamina faciei femineae. Ovidio, nato a
Sulmona, e morto in esilio a Tomi sul Mar Nero, visse tra il 43 a. C. e il
17/18 d. C.
[3] Poema epico di quindici libri in
esametri. Narra la storia del mondo dall'origine all'età contemporanea
attraverso racconti che hanno in comune il tema della metamorfosi. Fu composto
fra l'1 e l'8 d. C.
[4] L'allitterazione in "v" suggerisce
il suono di un soffio che passa sulle ferite asciugandole.
[5]Lucrezio, La Natura Delle Cose , commento di I.
Dionigi, p. 408.
[6] E' da notare che tanto il
termine ulcus quanto il nesso anxius angor di III 993
tornano alla fine del poema lucreziano nella descrizione della peste di Atene
del 430 (VI, v.1148 e v. 1158).
[7] Questo termine viene usato da Creonte
per distogliere il figlio Emone dall'amore di Antigone:":"dunque,
figlio, non buttar via l'intelligenza/per il piacere a causa di una donna,
sapendo che/gelido abbraccio diventa questo/ una donna cattiva compagna di
letto nella casa. Quale piaga (e{lko" ) infatti/potrebbe essere maggiore di un caro
cattivo?" vv. 648 - 652.
[8] J. Hillman, Il piacere di pensare. conversazione con
Silvia Ronchey, pp. 66 - 67.
[9] Agamennone, 177.
[10]Siddharta , p.135.
[11]G. B. Conte, Introduzione a Lucrezio, La Natura
Delle Cose , p. 7.
[12] Del 185 a. C.
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