'Nuovo' è un aggettivo inquietante nella letteratura antica, soprattutto nel filone tradizionalista; è quasi un eufemismo per dissimulare[1] il male della novità.
Nel Filottete (v.784) di Sofocle, il protagonista malato, vedendo il sangue gocciare dalla piaga, si aspetta qualche novità, certamente non buona: "kai; ti prosdokw' nevon", e mi aspetto qualche nuova disgrazia.
Velleio Patercolo dando principio al secondo libro delle Storie, quasi epigraficamente sentenziava: “Potentiae Romanorum prior Scipio viam aperuerat, luxuriae posterior aperuit”, il primo Scipione aveva aperto la strada alla potenza romana, il secondo l’aprì alla mollezza, quippe remoto Carthaginis metu sublataque imperii aemula, non gradu sed praecipiti cursu a virtute descitum, ad vitia transcursum; vetus disciplina deserta, nova inducta: in somnum a vigiliis, ab armis ad voluptates, a negotiis in otium conversa civitas” Velleio, II, 1), infatti rimossa la paura di Cartagine e tolta di mezzo la potenza rivale, ci si allontanò dalla virtù non a passo, ma a corsa precipitosa, si passò rapidamente ai vizi; la vecchia disciplina venne abbandonata, se ne importò una nuova ; la cittadinanza si volse dalle veglie al sonno, dalle armi ai piaceri, dalle faccende all’ozio.
Tacito detesta i turbidos eoque nova cupientis (Ann. II, 39) gli agitatori turbolenti e perciò bramosi di rivoluzione. Questa avversione fa parte del suo sentimento aristocratico e conservatore.
E’ ostile alle res novae cui tendono le forze popolari.
Lo storiografo nel Dialogus de oratoribus scrive che la grande e sublime eloquenza è alunna della licenza che gli stolti chiamano libertà (sed est illa magna et notabilis eloquentia alumna licentiae, quam stulti libertatem vocant , Dialogus, 40).
Una licenza che non alligna negli Stati bene ordinati. A Sparta, a Creta, tra i Macedoni e i Persiani non ci fu licenza né eloquenza.
Atene ebbe molti oratori “apud quos omnia populus, omnia imperiti, omnia, ut sic dixerim, omnes poterant” .
Anche a Roma l’eloquenza fiorì nel disordine “sicut indomitus ager habet quasdam herbas laetiores” (40) come un campo non coltivato produce a volte erbe più rigogliose.
Ma l’oratoria dei Gracchi non era così preziosa per la Repubblica da sopportarne anche le leggi. “Sed nec tanti rei publicae Gracchorum eloquentia fuit ut pateretur et leges”. Erano leggi agrarie nuove, cioè eversive.
Anche homo novus nell’immaginario della maggior parte dei nobili di antica famiglia ha un significato negativo contestato del resto da molti plebei che divennero pure consoli come Terenzio Varrone o Mario, il quale, nel Bellum Iugurthinum di Sallustio dice che non può ostentare i ritratti degli antenati, bensì trofèi di guerra “praeterea cicatrices advorso corpore” (85) e in più le cicatrici sul petto.
Comunque nell’aggettivo nuovo e nella maggior parte delle novità prevale un significato negativo
Si pensi anche a Dante: “La gente nova e’subiti guadagni/orgoglio e dismisura han generata,/Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni” (Inferno, XVI, 73-75).
Poi nel Paradiso ,: "Sempre la confusion delle persone/principio fu del mal della cittade" (XVI, 67-68).
Tuttavia vorrei proporre una novità come risposta al titolo di un articolo della prima tra le pagine che il quotidiano “la Repubblica dedica allo sport in data 10 novembre :
“Il calcio sull’orlo del baratro cerca i soldi per gli stipendi”.
La mia proposta nuovissima e modestissima è: “pagate i calciatori quanto i professori”.
Sarebbe comunque troppo.
Bologna 11 novembre 0re 11, 19 giovanni ghiselli
p.s
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[1] Leopardi nello Zibaldone (44) scrive:"Del resto è cosa pur troppo evidente che l'uomo inclina a dissimularsi il male, e a nasconderlo a sé stesso come può meglio, onde è nota l'eujfhmiva degli antichi greci che nominavano le cose dispiacevoli ta; deinav con nomi atti a nascondere o dissimulare questo dispiacevole".
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