E’ vietato, giustamente, infamare gli omosessuali. Gli eterosessuali invece faranno bene a non rivelarsi tali.
Vorrei poter dire “carina! “ a una donna, se mi sorride, e magari porgerle un fiore, senza subire sanzioni. Come succedeva una volta quando il corteggiamento era considerato un omaggio, non un'insolenza o anche peggio.
La culpa della regina eterosessuale nell’Eneide e l’anticipazione del gay pride nel Satyricon
L'amore dell’infelice Didone è vissuto da lei stessa come una malattia, e pure una colpa: all'alba la regina che, già innamorat di Enea, non sta bene (male sana, Eneide, IV, 8), parla con Anna, la sorella unanima, unita negli affetti:"Anna soror, quae me suspensam insomnia terrent!/quis novos hic nostris successit sedibus hospes,/quem sese ore ferens, quam forti pectore et armis!/Credo equidem, nec vana fides, genus esse deorum./Degeneres animos timor arguit. Heu quibus ille/iactatus fatis! quae bella exhausta canebat! Si mihi non animo fixum immotumque sederet,/ne cui me vinclo vellem sociare iugali,/postquam primus amor deceptam morte fefellit;/si non pertaesum thalami taedaeque fuisset,/huic uni forsan potui succumbere culpae" (vv. 9-19), Anna, sorella, quali sogni tremendi mi tengono sospesa! Quale ospite straordinario è questo che entrò nelle nostre dimore, quale si presenta nel volto, quanto forte nel petto e nell' armi ! Credo davvero, e non è fede vana, che sia stirpe di dèi.
La paura denuncia gli animi ignobili. Ahi da quali destini è stato agitato! Quali guerre sostenute narrava! Se nel mio cuore non ci fosse ferma e incrollabile la decisione di non volermi unire ad alcuno con vincolo coniugale, dopo che il primo amore mi ingannò e deluse con la morte; se non mi fossero venute in odio il talamo e le fiaccole nuziali, per questo uomo soltanto forse avrei potuto soggiacere alla colpa
C'è da notare che da parte di Virgilio non viene altrettanto gravato da senso di colpa l'amore omosessuale: Niso ardeva per il bell' Eurialo "amore pio " (Eneide , V, 296) di un amore santo.
Aggiungo che Didone era una donna libera: non stava scivolando verso un adulterio. Il fatto è che le donne non devono essere libere di fare sesso.
Didone realizza il popio desiderio amoroso durante una tempesta e a questo punto, secondo il poeta augusteo, il male diviene irreversibile e letale:"Ille dies primus leti primusque malorum/ causa fuit "(Eneide, IV, 169-170), quel giorno fu il primo della morte e il primo dei mali, e ne fu la causa.
Dare retta a un impulso amoroso viene vissuto da questa donna come una violazione del pudore, (Pudor , v. 27) considerato al pari di una divinità la cui offesa è meritevole di morte, una punizione che la "spudorata" si infliggerà da sola.
Ad aggravare la presunta colpa ci pensa la Fama un monstrum horrendum pieno zeppo di occhi, piume, lingue, bocche, orecchie ( Eneide, IV, vv. 181-183), una dea foeda (v. 195), una divinità oscena la quale diffonde la notizia del coitus della regina di Cartagine con Enea malfamando Didone.
La lussuria della regina scatena l'ira di Iarba, pretendente respinto, e la complicità di Enea provoca la collera di Giove che considera legittimo e santo l'ardore sacro della gloria ("si nulla accendit tantarum gloria rerum ", v. 232); impuro e deleterio quello dell'amore. Il figlio di Venere dunque "naviget " (v. 237), navighi, non ami! Quindi il re degli dèi manda Mercurio perché prescriva minacciosamente a Enea la partenza screditando ulterioremente Didone con tutte le donne e rinfocolando i sensi di colpa dell’uomo che deve assecondare il destino imperiale di Ottaviano Augusto e di Roma.
Non ci può essere orgoglio nell’amore eterosessuale che è colpevole se non viene istituzionalizzato dal matrimonio.
Una anticipazione del gay pride invece si trova nel Satyricon dove un omosessuale si mise a cantare in versi sotadei con esibizionismo orgoglioso:"intrat cinaedus, homo omnium insulsissimus et plane illa domo dignus, qui, ut infractis manibus comgemuit, eiusmodi carmina effudit:"huc huc convenite nunc, spatalocinaedi,/pede tendite, cursum addite, convolate planta,/femore facili, clune agili et manu procaces,/molles, veteres, Deliaci manu recisi" (23, 2-3), entra un cinedo, l'uomo più scimunito di tutti e proprio degno di quella casa, il quale, come ebbe emesso un gemito, fatte crocchiare le mani, rovesciò versi del genere:"qua qua radunatevi qua languidi cinedi, stendete il piede, aggiungete la corsa, volate con la pianta, voi di coscia agile, di natica svelta, e sfrontati di mano, morbidi, consumati, castrati dalla mano del Deliaco.
giovanni ghiselli
Nessun commento:
Posta un commento