Nella II Bucolica il pastore Coridone arde d'amore per il bell'Alessi. (Formosum pastor Corydon ardebat Alexin, 1) che non ha pietà di lui. Già nelle Ecloghe Virgilio è il poeta dell'amore infelice e luttuoso, il cantore della passione sulla quale si proietta un'ombra di morte:" O crudelis Alexi, nihil mea carmina curas?/nil nostri miserere? Mori me denique coges" (vv. 6 - 7), o crudele Alessi, non ti curi dei miei canti? non hai compassione di me? Infine mi costringerai a morire, sospira l'innamorato ardente.
Coridone non ha tregua dall'ardore
amoroso nemmeno quando il bestiame e, con motivo teocriteo[1] perfino i ramarri, riposano al fresco: "Nunc
etiam pecudes umbras et frigora captant / Nunc viridis[2] etiam occultant spineta lacertos" (vv. 8 - 9), ora anche il bestiame
cerca di prendere le ombre e il fresco, ora i rovi spinosi nascondono perfino i
verdi ramarri.
Il modello siracusano viene da
Virgilio caricato di pathos.
In Teocrito, sostiene Snell,
"traspare sempre la dissonanza fra l'elemento bucolico primitivo e quello
letterario raffinato, ed è proprio in questo contrasto che si cela il fascino
della sua poesia. Nel lamento per Dafni troviamo:"Lo piangevano gli alberi
che crescono presso il fiume Imera, mentre si scioglieva come neve dell'Emo o
dell'Ato o del Rodope o dell'estremo Caucaso" (VII, 74 - 77). Questa è
letteratura poiché parlare di Emo, di Ato, del Rodope o del Caucaso non è
linguaggio di pastori - è tono patetico di tragedia (...)
Quando Teocrito fa enumerare queste montagne ai suoi pastori, è
press'a poco come quando Menandro mette in bocca, non a persone colte, ma agli
schiavi, citazioni della tragedia. Con cosciente ironia egli si
prende gioco dei pastori siciliani. Ma quando Virgilio leggeva queste e simili
espressioni in Teocrito, egli le prendeva nel senso che avevano originariamente,
cioè come espressioni di contenuto patetico, cariche di sentimento (...)
Se l'Arcadia di Virgilio è traboccante di sentimento, i suoi pastori
sono lontani tanto dalla vera vita rustica quanto da quella raffinata delle
città. Nel loro idillio campestre la pace delle sere festive prevale sul duro
lavoro quotidiano, si dà più rilievo all'ombra fresca che alle intemperie, e
alla morbida sponda del fiume che all'aspra montagna. I pastori indugiano a
suonare il flauto e a cantare, più che non si occupino di colare il siero o
rimestare il formaggio. Tutto ciò si delinea già in Teocrito, ma Teocrito
ha ancora molto gusto per il particolare preciso e realistico; Virgilio
tende più al sentimentale, cerca ciò che ha un valore interiore. In Arcadia non
si fanno calcoli, non si ragiona in termini precisi e definiti. Tutto vive
nella luce del sentimento (...) Virgilio legge in Teocrito che durante le ore
meridiane le lucertole dormono nelle siepi spinose. In Teocrito ciò è detto in
tono di meraviglia perché qualcuno è per istrada a quell'ora, "quando
anche le lucertole fanno la siesta" (VII, 22); ma in Virgilio un pastore
infelice in amore canta:"Mentre gli animali cercano ombra e frescura, e le
lucertole si nascondono nelle siepi di spino, io devo sempre cantare del mio
amore" (II, 8)"[3].
Anche nella poesia bucolica, come
nella tragedia e nella commedia "i Greci confermano il talento di creare
forme esemplari"[4].
Secondo Max Pohlenz gli
idilli bucolici di Teocrito, come altra poesia ellenistica, sono ispirati
da un autentico amore della natura: "Non l'umore del momento o una moda han
fatto di lui un poeta bucolico, ma un impulso interiore, l'amore sincero
per la natura. Quando nel Tirsi [5]il bovaro narra la morte del primo poeta pastore[6], l'estremo saluto di questo è rivolto alla natura
tutta, ai lupi e agli orsi non meno che alle sue greggi, e per la morte di
Dafni si lagnano gli usignoli, piangono le fonti, s'attristano i fiori e gli
animali"[7].
La natura per Teocrito
"rappresenta ancora la sfera vitale cui egli, come una parte del tutto,
è indissolubilmente avvinto; essa entra a costituire il contenuto della sua
esistenza nella stessa misura della poesia dotta, della sua arte. Diverso fu
l'atteggiamento verso la natura di quanti effettivamente vivevano nelle grandi
città. Ad Alessandria il re Tolemeo, che soffriva di podagra, invidiava i
proletari seminudi e privi di bisogni; l'uomo di cultura vedeva circonfusa
d'una luce radiosa la semplice vita dei pescatori e dei lavoratori manuali. Ci
si entusiasmava per i lontani popoli viventi allo stato di natura, per tutto
ciò che era primitivo. Callimaco esaltò la tranquilla felicità che regnava
nella misera capanna di Ecale[8], e un suo personaggio, Aconzio[9], cerca la solitudine della foresta per confidare
agli alberi le sue pene d'amore e incidere sulla corteccia il nome dell'amata
(…) La fantasia si dipingeva una vita semplice, priva di bisogni, naturalmente
innocente: ma come un paradiso che i moderni popoli civilizzati avevano
irrimediabilmente perduto"[10].
Alla fine della II bucolica il
tramonto raddoppia le ombre ma non concede pause all'ardore di Coridone e alla
passione che trascina ciascuno sconvolgendo ogni misura: "trahit sua
quemque voluptas (...) /et sol crescentes decedens duplicat
umbras ./me tamen urit amor : quis enim modus adsit
amori? " (v.65 evv. 67 - 68).
Chi è afferrato da Eros ignora la
giusta misura siccome l'amore è follia: "A Corydon, Corydon, quae te
dementia cepit! ", v. 69. Virgilio ama i tramonti, Teocrito dà
maggiore spazio alla campagna assolata. La sua poesia è più mediterranea, più
calda e abbronzata
Bologna 18 novembre 2020 ore 19, 15
giovanni ghiselli
[1]Cfr. VII, Le Talisie ,
22.
[2] =virides.
[3]B. Snell, La cultura greca e le origini del
pensiero europeo , p. 392 e ss.
[4] B. Snell, Poesia e società, p. 152.
[5] E' il nome del bovaro che nell'Idillio I canta
la morte di Dafni.
[6] Dafni appunto
[7] Max Pohlenz, L'uomo greco, p. 555.
[8] Vecchietta eponima di un epillio di Callimaco.
Ospitò nella sua capanna Teseo che era stato sorpreso da un temporale la notte
precedente il dì della lotta con il toro di Maratona.
[9] Un personaggio degli Aitia. Secondo
Bettini è il prototipo dei pubblicitari: infatti obbligò Cidippe, promessa a un
altro, a sposare lui scrivendo delle parole. "La scrittura di Aconzio è il
seme di tutte le scritture astute, e l'unico modo per sottrarsi alla sua
trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è possibile?" Con i libri , p. 10.
[10]Max Pohlenz, L'uomo greco, p. 556.
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