PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIofficina di Peter Paul Rubens, La morte di Didone
Il munus quod officii causa datur, il dono che si dà per un
dovere, per svolgere un compito, come la spada di Ettore donata nell’Iliade ad
Aiace che se ne servirà per uccidersi nella tragedia di Sofocle.
Didone dunque vuole spezzare la luce
(v. 631: abrumpere lucem).
"At trepida et coeptis
immanibus effera Dido,/sanguineam volvens aciem maculisque trementis/interfusa
genas et pallida morte futura,/interiora domus inrumpit limina et altos /conscendit furibunda
rogos ensemque recludit/Dardanium, non hos quaesitum munus in usus "
(vv. 642 - 647), ma Didone, tremante e feroce per il mostruoso proposito,
roteando gli occhi iniettati di sangue e chiazzata di macchie sulle guance
frementi, e pallida per la morte vicina, si precipita nell'interno del palazzo,
sale furibonda sull'alto rogo e snuda la spada di Enea, dono richiesto non per
questo uso. - sanguineam… aciem: gli occhi sono sempre i primi
significatori del male come del bene.
Leopardi osserva "che gli occhi sono la principal parte della sembianza umana, e tanto più
belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E che in essi veramente si
dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli animali); e però quanto più son
grandi, tanto maggiore apparisce realmente l'anima e la vitalità e
la vita interna dell'animale (Zibaldone, 2548). - trementis (= trementes)
genas: accusativo di relazione retto da interfusa. - morte
futura: è la pestis futura di I 712 sempre più
imminente, già dipinta sul volto della vittima pallida. - limina:
lett. "le soglie", qui per sineddoche indica una parte del palazzo. -
ensemque: un dono di Enea.
Nell'XI canto il figlio di Venere ricoprirà il corpo di Pallante con una
delle due vesti che Didone, laeta laborum (v. 73) allietata da
tale impegno, aveva trapunto d'oro per lui: "Si tratta semplicemente di
un'ennesima variazione sul tema omerico e tragico del dono funesto, come è
stato nel IV libro per la spada che fu munus di Enea a colei
che doveva morirne? O non è piuttosto la maniera, stupendamente indiretta, che
Virgilio ha trovato per stimolare la "memoria" del lettore, richiamandogli
la concatenazione tragica dei destini, per cui il primo evento conteneva e
presagiva il secondo, e presentandogli Enea nell'atto di riconoscere questa
concatenazione e di accettarne tacitamente il peso?"[1].
La spada donata e impiegata per il suicidio risale all'Aiace di
Sofocle dove il Telamonio si uccide con la spada ricevuta in dono da Ettore[2] dopo
averla ricordata come e[cqiston belw'n (v. 658),
la più odiosa tra le armi e avere citato il proverbio vero: che non sono doni i
doni dei nemici e non sono vantaggiosi: "ajll j e[st j
ajlhqh;" hj brotw`n paroimiva - ejcqrw'n a[dwra
dw'ra kujk ojnhvsima" (v. 665).
In questo modo Virgilio ci riporta attraverso Sofocle a Omero. E' già il
metodo mitico.
D'altra parte non è
difficile individuare nella spada un simbolo fallico, sulle tracce di Freud:
"Tutti gli oggetti allungati: bastoni, tronchi, ombrelli (per il modo di
aprirli, che può essere paragonato all'erezione!) intendono rappresentare il
membro maschile, così come tutte le armi lunghe e acuminate coltelli, pugnali,
picche"[3]. A maggior ragione questa spada nata
come segno d'amore.
Meno malizioso del mio il commento
di Conte: "A conclusione di una serie di azioni dal ritmo serrato, viene
ora il gesto di sguainare la spada appartenuta all'eroe troiano: il narratore
puntualizza che si tratta di un dono dei momenti felici dell'amore (e che la
notazione rivesta una qualche importanza ce lo dice già la cura formale del
passo, dove un iperbato si accavalla a un'anastrofe in uno spazio davvero
ristretto). Bene: noi sappiamo che in ogni racconto c'è una sorta di
legge, quella della motivazione compositiva, per cui nessun oggetto deve
rimanere inutilizzato e nessun episodio deve restare senza conseguenze: succede
così che questo oggetto, regalato un tempo come segno d'amore, diventa ora - inevitabilmente
- strumento di morte per chi lo ha ricevuto. E' il motivo dei doni fatali a chi
li riceve, sviluppato dalla tragedia greca e però già noto in Omero: Aiace si
uccide con la spada regalatagli da Ettore"[4]. - munus: è uno dei termini "derivati dalla radice *mei - 'dare in
cambio'... In effetti, munus ha il senso di 'dovere, carica
ufficiale'... Ma come associare l'idea di 'carica' espressa da munus con
quella di 'scambio' indicata dalla radice? Festo[5] ci mette
sulla strada definendo munus come "donum quod officii causa
datur[6]."
Si designano in effetti con munus, nei doveri del magistrato, gli
spettacoli e i giochi. La nozione di 'scambio' vi è implicita"[7].
Didone si uccide conservando
comunque il senso della propria grandezza poiché se non è possibile la felicità
nella vita, per i magnanimi è sempre possibile, in una forma o in un'altra, la
grandezza dell'eroismo: "Hic, postquam Iliacas vestes notumque
cubile/conspexit, paulum lacrimis et mente morata/incubuitque toro dixitque
novissima verba:"Dulces exuviae, dum fata deusque sinebat,/accipite hanc
animam meque his exsolvite curis./Vixi et quem dederat cursum Fortuna peregi,/et
nunc magna mei sub terras ibit imago " (vv. 648 - 654), Allora,
come ebbe visto le vesti troiane e il ben noto letto nuziale, dopo avere
indugiato un poco in lacrime e pensieri, si gettò distesa sul talamo e disse le
ultime parole: "O care spoglie, finché il destino e un dio lo
permettevano, accogliete quest'anima e liberatemi da questi affanni. Ho vissuto
e compiuto il percorso che la Fortuna mi aveva assegnato, e ora, grande.
l'ombra della mia persona andrà sotto terra. - cubile… toro: Si può
riferire anche a Didone quanto scrive Steiner per Antigone: "piange non
solo l'annientamento della sua giovane vita, ma l'annientamento dentro di sé di
quelle altre vite future che solo una donna può generare. Se nelle simmetrie
della condizione mortale esiste una controparte alla tomba, questa è
rappresentata dal letto nuziale e dal letto puerperale (così spesso uniti nelle
immagini e nelle metafore)."[8]. Magna ha valore
predicativo.
Bologna 14 novembre 2020 otre 18,
33. giovanni ghiselli
p. s
Sempre1053174
Oggi254
Ieri421
Questo mese5993
Il mese scorso10742
[1] M. Barchiesi, I moderni alla
ricerca di Enea, p. 32.
[2] Cfr. Iliade, VII, 303 - xivfo"
ajrgurovhlon - spada a
borchie d’argento. In Iliade I, 190 la spada di Acchille è favsganon che con ajrgurovhlon sono parole documentate nel
miceneo: myc. pakana e akuro.
[3]S. Freud, L'interpretazione
dei sogni , p. 327.
[4] G. B.
Conte, Scriptorium Classicum, 3, p. 275.
[5] Epitomatore del II - III secolo d. C.
Ha riassunto il De verborum significatu , opera lessicale di
Verrio Flacco, grammatico antiquario dell'età di Augusto, precettore dei nipoti
del principe.
[6] Dono che si dà per un dovere.
[7] E. Benveniste, Il vocabolario
delle istituzioni indoeuropee, p. 71.
[8]G. Steiner, Le Antigoni ,
p. 270.
Nessun commento:
Posta un commento