Argomenti
Contro i Greci e i Galli dell’Italia transappenninica, adriatica e ionica.
Virgilio e Appiano
Catone il Vecchio contro i Greci soprattutto se
medici.
Giovenale contro i Graeculi
Appiano[1] nell’Annibalica (7, 8) introduce il suo racconto della battaglia del Trasimeno e sostiene che la vera Italia è quella tirrenica, mentre quella adriatica e ionica è terra di Galli e di Greci.
Dice che kaqarw'~ jItaliva è quella sulla destra degli Appennini, mentre quella di sinistra, sullo Ionio è popolata piuttosto da Greci e sull’Adriatico da Celti. Si chiama lo stesso Italia, come si chiama Italia l’Etruria, popolata da Etruschi. Ma ancora molti chiamano l’Italia adriatica jItalivan Galatikhvn.
Nello stesso anno 216 del resto i decemviri sacris faciundis ricavarono dai libri sibillini l’ordine di mandare a Delfi Fabio Pittore. Un’altra contraddizione.
C’era comunque fino a Canne una questione appenninica: gli antichi intuivano il contrasto fra l’economia padana e quella appenninica. Virgilio ne risente ancora: nel terzo canto dell’Eneide Elĕno, il figlio di Priamo, indovino e interprete di Febo e nuovo marito di Andromaca, profetizzando il resto del viaggio ai Troiani, giunti profughi a Butroto in Epiro, consiglia di evitare le coste e le terre italiche prospicienti, in quanto abitate da criminali: “cuncta malis habitantur moenia Grais” (v. 398), tutte le fortezze sono abitate da malvagi greci. Vengono nominate la penisola salentina dove era giunto Idomeneo, Locri, fondata dai Locresi di Narica, e Petelia in Calabria colonizzata da Filottete.
E’ il malanimo dei tradizionalisti romani contro i Greci: si pensi a Catone e a Giovenale.
Arrivati al tempio di Minerva, nel Salento, in effetti, compiuti i riti, Haut mora -racconta Enea (v. 548)- senza indugio, “Graiugenumque domos suspectaque linquimus arva” (Eneide, 3, 550), lasciamo le dimore dei Greci e le campagne sospette.
E’ una forma di determinismo geografico-coloniale impregnato di razzismo.
Catone il Vecchio contro i Greci soprattutto se medici.
Sentiamo Catone il Vecchio il quale contrastò la nobilitas scipionica simpatizzante con la cultura ellenica, e nel 184 a. C. fu eletto alla censura che esercitò in maniera da renderla proverbiale per il suo rigore[2].
Nei Libri ad Marcum filium c'è un passo celeberrimo che accusa il popolo nemico dei Greci e in particolare, tra loro, la genìa malefica dei medici congiurati contro i Romani.
Leggiamone alcune parole:"Dicam de istis Graecis suo loco, Marce fili, quid Athenis exquisitum habeam, et quod bonum sit illorum litteras inspicere, non perdiscere. Vincam nequissimum et indocile esse genus illorum. Et hoc puta vatem dixisse, quandoque, ista gens suas litteras dabit, omnia corrumpet, tum etiam magis, si medicos suos huc mittet. Iurarunt inter se barbaros necare omnis medicina, sed hoc ipsum mercede faciunt, ut fides iis sit et facile disperdant. Nos quoque dictitant barbaros et spurcius nos quam alios Opicon appellatione foedant. Interdixi tibi de medicis" (fr. 1 Jordan), dirò di questi Greci a suo tempo, figlio Marco, che cosa io abbia scoperto ad Atene, e come sia bene prendere in considerazione le loro lettere, non impararle a fondo. Ti dimostrerò che la loro è una razza scadentissima e riottosa. E credi che questo l'ho detto da profeta: quando avverrà che questa razza ci darà la sua cultura, corromperà tutto, particolarmente quando e se manderà qui i suoi medici. Hanno stipulato un giuramento tra loro di ammazzare tutti i barbari con la medicina, ma questo stesso misfatto lo compiranno a pagamento, per acquistare credibilità e annientarci facilmente. Anche noi chiamano sempre barbari e ci infamano più lerciamente che gli altri col nome di Opici[3]. Ti proibisco di chiamare i medici.
Giovenale contro i Graeculi
Anche Giovenale se la prende con i Greci manifestando quel moralismo che offese l'Adriano della Yourcenar:"In una delle sue Satire, Giovenale osò insultare il mimo Paride, che mi piaceva: ne avevo abbastanza di quel poeta ampolloso e corrucciato, non mi piaceva il suo grossolano disprezzo per l'Oriente e la Grecia, le sue affettate simpatie per la cosiddetta austerità dei nostri padri, e quel miscuglio di descrizioni particolareggiate del vizio e declamazioni inneggianti alla virtù che stuzzica i sensi del lettore e ne rassicura l'ipocrisia. Nella sua qualità di letterato, aveva diritto però a certi riguardi, e lo feci chiamare a Tivoli per comunicargli di persona il decreto d'esilio. Questo spregiatore del lusso e dei piaceri di Roma ormai potrà studiare sul posto i costumi della provincia; i suoi insulti a Paride avevano segnato il termine della sua commedia"[4].
Sentiamo allora Giovenale sull'invasione di Roma da parte dei Greci e peggio:
" Quae nunc divitibus gens acceptissima nostris
et quos praecipue fugiam, properabo fateri,
nec pudor obstabit. Non possum ferre, Quirites,
graecam urbem; quamvis quota portio faecis Achaei?
Iam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes
et linguam et mores et cum tibicine chordas
obliquas nec non gentilia tympana secum
vexit et ad circum iussas prostare puellas.
Ite, quibus grata est picta lupa barbara mitra:
rusticus ille tuus sumit trechedipna, Quirine,
et ceromatico fert niceteria collo." (III, vv. 58-68), quella che è la razza più gradita ai nostri ricconi e quelli che sopra tutti voglio schivare, mi affretterò a denunciare, né la vergogna mi ostacolerà. Non posso sopportare, Quiriti, una Roma greca: per quanto, quale percentuale di questa feccia è greca? E' un pezzo che l'Oronte di Siria è sfociato nel Tevere e ha trascinato con sé lingua e costumi, e con il flautista corde oblique e tamburelli tipici di quella razza, e ragazze costrette a prostituirsi vicino al Circo. Andate voi cui piace la barbara lupa dalla mitra dipinta: quel tuo contadino antico, Quirino, mette le scarpe del parassita, e porta medaglie di vittoria al collo spalmato di creme.
Quindi Giovenale afferma che questi Graeculi, danno l'assalto ai colli di Roma e sono tutt'altro che disarmati:
"Ingenium velox, audacia perdita, sermo
promptus et Isaeo torrentior. Ede quid illum
esse putes. Quemvis hominem secum attulit ad nos:
grammaticus, rhetor, geometres, pictor, aliptes,
augur, schoenobates, medicus, magus, omnia novit
Graeculus esuriens; in caelum, iusseris, ibit" (IIII, vv.73-78), mente svelta, audacia disperata, chiacchiera pronta e più torrenziale di quella di Iseo[5]. Dimmi cosa credi che sia quel tipo. Ha portato da noi con sé l'uomo che vuoi: grammatico, retore, geometra, pittore, massaggiatore, augure, funambolo, medico, mago, tutto sa fare il grecastro affamato; in cielo gli avrai comandato di andare, ci andrà.
giovanni ghiselli
[1] Vissuto nel secondo secolo d. C. scrisse una Storia di Roma in greco in 24 libri. Sono conservati 11 libri con il prologo, la vicenda di Annibale, le guerre civili.
[2] Arrivò a espellere dal Senato l'ex pretore Publio Manilio poiché aveva baciato in pubblico la moglie.
[3] Sono gli Osci del Sannio e della Campania, genti considerate particolarmente barbare.
[4] M. Yourcenar, Memorie di Adriano, p. 217.
[5] Retore assiro vissuto a Roma alla fine del I sec. d. C.
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