venerdì 13 novembre 2020

La discrepanza dell’uomo con i ritmi della natura è la sua ybris e la sua tragedia

troppe luci in Italia di notte, una forma di inquinamento
che danneggia i ritmi di animali, piante, esseri umani
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Nemmeno la notte che porta riposo a tutte le creature lenisce l'affanno[1] dell'abbandonata: "Nox erat et placidum carpebant fessa soporem[2]/corpora per terras silvaeque et saeva quierant/aequora, cum medio volvontur sidera lapsu,/cum tacet omnis ager, pecudes pictaeque volucres,/quaeque lacus late liquidos quaeque aspera dumis/rura tenent, somno positae sub nocte silenti/(lenibant curas et corda oblita laborum.[3])/At non infelix animi Phoenissa neque umquam/solvitur in somnos oculisve aut pectore noctem/accipit: ingeminant curae rursusque resurgens/saevit amor magnoque irarum fluctuat aestu " (vv. 522 - 532), Era notte e i corpi stanchi raccoglievano per le terre il placido sonno e le selve e le acque furiose erano tranquille, quando le stelle si volgono alla metà del loro giro, quando tace ogni campo, le bestie e gli uccelli variopinti, sia quelli che abitano per largo tratto i limpidi laghi, sia quelli delle campagne ispide di cespugli, posati nel sonno sotto la notte silenziosa (calmavano gli affanni e i cuori dimentichi delle fatiche). Ma la Fenicia infelice nell'animo non si libera mai nel sonno e non accoglie la notte negli occhi o nel petto: raddoppiano gli affanni, e l'amore, insorgendo di nuovo, infuria e fluttua in un grande ribollimento di ire.

 

 Ecco dunque il contrasto tra la quiete della natura e l'agitazione della creatura che si sente in colpa. La tragedia in effetti nasce sempre da un cozzo tra l'uomo e l'universo ai cui ritmi invece ogni vivente deve adeguarsi. I modelli di questo notturno sono diversi. Il più antico e suggestivo è quello di Alcmane[4]: "Dormono le cime dei monti e i burroni/e le balze e anche le gole/e le specie degli animali quante ne nutre la nera terra/e le fiere montane e la stirpe delle api/e i mostri negli abissi del mare purpureo; /dormono le razze degli uccelli dalle ampie ali" (fr. 58 D.). Questo frammento probabilmente faceva parte di un partenio recitato durante una festa notturna, e, da poesia di occasione, è divenuto un topos con un seguito tanto lungo nella letteratura europea che non è il caso di fare l'elenco delle imitazioni. Si può notare che non mancano echi di formule omeriche, come del resto è di derivazione epica l'osservazione attenta del mondo della natura. Tale attenzione è conseguenza di un rapporto vivo con il mondo ed è rivolta alla quiete e all'armonia di un cosmo da cui l'uomo non è ancora escluso.

 

 Il contrasto rilevato da Virgilio si trova già in Apollonio Rodio quando cala la notte che porta il desiderio del sonno a tutti, ma non a Medea tenuta sveglia dal desiderio di Giasone:" quindi la notte portava la tenebra sopra la terra; nel mare i marinai fissarono l'Orsa Maggiore e le stelle di Orione dalle navi, e qualche viandante e custode di porte desiderava il sonno, e un denso torpore avvolgeva una madre di bambini morti; né c'era più abbaiare di cani per la città, né chiasso sonoro: il silenzio possedeva la tenebra che diventava nera. Ma il dolce sonno non prese Medea: molti pensieri la tenevano sveglia poiché le mancava Giasone e temeva la possente forza dei tori" (Argonautiche , III, 744 - 753). Alla natura forte e sana del lirico arcaico è già succeduto un mondo che incornicia il dolore degli uomini. Quella madre di bimbi morti sembra anticipare vedove, orfani e simili creature sofferenti di Pascoli.

 

Nel Timeo Platone afferma che Dio ha trovato per noi e ci ha donato la vista affinché, osservando nel cielo i giri della mente, ce ne avvalessimo per i moti circolari del nostro modo di pensare, dal momento che sono affini quelli, agli ordinati del cielo i nostri disordinati, e imparando e divenendo partecipi della esattezza dei calcoli veri secondo natura, e imitando i giri della divinità che sono regolari, potessimo correggere quelli che vanno errando dentro di noi.

 

Vediamolo in greco

qeÕn ¹m‹n ¢neure‹n dwr»sasqa… te Ôyin,

†na t¦j ™n oÙranù toà noà katidÒntej periÒdouj crhsa…meqa

™pˆ t¦j perifor¦j t¦j tÁj par¹m‹n diano»sewjsuggene‹j

™ke…naij oÜsaj¢tar£ktoij tetaragmšnaj™kmaqÒntej d kaˆ

logismîn kat¦ fÚsin ÑrqÒthtoj metascÒntejmimoÚmenoi

t¦j toà qeoà p£ntwj ¢plane‹j oÜsaj¦j toà qeoà p£ntwj ¢plane‹j oÜsajt¦j ™n ¹m‹n peplanhmšnaj katasthsa…meqa ((47 b - c).

 

Quindi (Timeo, 90, c - d)

“p©sa ¢n£gkh (…) eâ kekosmhmšnon tÕn da…mona sÚnoikon ˜autùdiaferÒntwj eÙda…mona enaiqerape…a d d¾ pantˆ pantÕj m…at¦j o„ke…aj ˜k£stJ trof¦j kaˆ kin»seij ¢podidÒnaitù d™n ¹m‹n qe…J suggene‹j e„sin kin»seij aƒ toà pantÕj diano»seij kaˆ perifora…· taÚtaij d¾ sunepÒmenon ›kaston de‹t¦j perˆ t¾n gšnesin ™n tÍ kefalÍ diefqarmšnaj ¹mîn periÒdouj ™xorqoànta di¦ tÕ katamanq£nein t¦j toà pantÕj ¡rmon…aj te kaˆ perifor£j

è del tutto necessario che colui il quale ha tenuto in ordine la parte divina che abita in lui sia sopra tutti felice. La cura del tutto è per ciascuno una sola, assegnare a ciascuna parte nutrimenti e movimenti appropriati. Sono congeniali alla nostra parte divina i movimenti, i pensieri e le circolazioni dell’universo. Dunque ciascuno deve seguire questi correggendo i circuiti guasti già sulla nascita nella testa attraverso l’apprendimento delle armonie e circolazioni dell’universo.

 

 

Bologna 13 novembre 2020 ore 10

giovanni ghiselli



[1] Del resto nelle Metamorfosi di Ovidio la notte è "curarum maxima nutrix " (VIII, 82) la più potente nutrice di ansie amorose e infonde audacia erotica a Scilla innamorata di Minosse.

[2]" Il passo ha un parallelo famoso in Apollonio (III, 744 ss.), del quale possediamo anche una parte della traduzione di Varrone Atacino (fr. 124 Pascal: Desierant latrare canes, urbesque silebant: - omnia noctis erant placida composta quiete), che ha ispirato più di un bel verso a V. Ma V. ha intonato qui uno dei suoi più bei notturni, molto più largo, pacato e dolce dei suoi modelli, più tragicamente contrastante con la situazione di Didone, ricchissimo di quei suoni S, R, L, che creano veramente un'interpretazione musicale del silenzio". (R. Calzecchi Onesti, op. cit., p. 301.)

[3]I migliori editori espungono questo verso considerandolo un'interpolazione ricavata dal molto simile IX 225.

[4] Lirico corale, di lingua dorica, del VII secolo

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