giovedì 4 agosto 2022

Ione di Euripide. VIII parte.


 

Leggiamo un canto del Coro relativo alla nascita dei figli.

 

Le ancelle di Creusa invocano la dea protrettrice della loro città, Atena per cui Ilizia non fu invocata nei dolori del parto (453) poiché  la dea poliate fu portata alla luce dal Titano Prometeo che la levò dalla testa di Zeus.

E’ la fantasia contro natura della nascita senza che ci entri in alcun modo la madre. In altre versioni del mito fu Efesto il levatore di Atena dalla testa del primo tra gli dèi. Atena viene chiamata Nike come portatrice di Vittoria.

La dea viene pregata di recarsi a Delfi dove l’altare di Febo posto sull’ombelico del mondo ordina vaticini presso il tripode celebrato con danze

Anche Artemide viene invocata, un’altra dea vergine,

Le kovrai vogliono pregare perché la stirpe di Eretteo abbia figli magnifici annunciata da limpidi vaticini.

 

La felicità massima di una casa, cantano le coreute, è data dai figli che possano ricevere ricchezza dai genitori e trasmetterla a loro volta.

I figli difendono gli anziani della stirpe  anche con le armi

To;n a[paida d j ajpostugw`-bivon 489 arrivano a dire le ragazze del coro, odio una vita senza figli.

Tutti noi, o quasi tutti, lo abbiamo pensato da ragazzi, poi però, dopo avere osservato le maternità e paternità di altri molti si sono ricreduti.

“La vita, voi sapete, frantuma tante cose nel nostro cuore, delude tante volte la nostra fede…Rivedersi…fosse vero!” Sono le ultime parole di Tony Buddenbrook nell’ultima pagina del romanzo di Thomas Mann.

Rimane la speranza di rivedere i nostri morti dal momento  che in peggio precipitano i tempi; e mal s’affida ai  figli non nati l’onor d’egregie menti  (cfr. Leopardi, Bruto Minore).

 Se non sono nati significa che non dovevano nascere.

Le ragazze del coro si augurano una vita che sia anche modesta ma ricca di figli.

Le coreute poi ricordano la grotta sede di Pan dove danzano le figlie di Aglauro e dove una ragazza infelice-Creusa ovviamente- partorì un figlio ad Apollo, frutto della violenza di amare nozze, e lo espose quale banchetto per gli uccelli e festino di sangue per le belve. I figli nati da un dio e una mortale non sono felici in nessuna leggenda. Lo abbiamo visto nella tragedia Eracle di Euripide.

Del resto quanti non finiscono in pasto alle belve o agli uccelli da neonati verranno più tardi mangiati dai vermi come dice l’ Amleto di Shakespeare.

L’idea delle malattie, dei pianti e delle morti dei figli trattiene alcuni mortali dal metterli al mondo.

Nell’Alcesti di Euripide il corifèo  compatisce il re e cerca di incoraggiare l'infelice che ha perduto la sposa e ripete di essere inconsolabile: non trae conforto neppure dal bene che c'è stato tra lui e Alcesti, neanche dai figli avuti da lei.  Admeto dunque  dice:

" Dei mortali invidio quelli senza nozze né figli: zhlw` d j ajgavmou~ ajtevknou~ te brotw`n

infatti hanno una sola vita, e soffrire per questa

è un peso moderato.

Ma vedere le malattie dei figli

e il letto nuziale reso vedovo dai colpi della morte

 non è sopportabile quando è possibile vivere

sempre senza moglie e senza figli"(882-888).

 

Le nozze in effetti sono un mevga~ ajgwvn (Antifonte sofista) una grande gara.

La più grande e difficile, perché quando c’è una moglie e ci sono dei figli la felicità, anzi perfino la sola tranquillità che  permette di studiare e dormire, dipende anche da loro. Moglie e figli hanno e devono avere una vita indipendente dalla tua. Ma la tua non è più indipendente.

Io la penso così, anche perché non ho incontrato una donna libera della mia levatura qualunque questa sa, ma voi che mi leggete, farete bene a pensarla in altro modo.

Pesaro 4 agosto 2022 ore 17, 49

p. s

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