martedì 8 ottobre 2024

Ifigenia CLXX. “in sul paese ch’Adige e Po riga…


 

Mia sorella mi domandò subito come andasse la nostra commedia ambientata nella scuola.

“L’abbiamo finita e la rappresenteremo presto”, rispose.

“Ci sarebbe una piccola parte anche per me?”, chiese Margherita forse scherzando.

Ma la sgarbata che avevo portato con me  non era in fase ludica e mosse l’indice della mano destra per segnalare un “NO!” evidentissimo.

“In sul paese ch’Adige e Po riga

Solea valore e cortesia trovarsi” dissi, poi mormorai

“prima che questa qui mi desse briga”.

Ero schifato.

Quindi mi rivolsi a mia sorella: “mi sentirei onorato vedendoti interpretare un lavoro mio”.

Finalmente ci mettemmo a tavola. Ifigenia si comportò da nemica giurata e triviale per tutto il tempo: non faceva domande, e a chi gliene poneva rispondeva a monosillabi o addirittura con dei grugniti. Questo non le bastava: ogni tanto accostava la sua bocca al mio orecchio che la aborriva e diceva: “Andiamo via, non ce la faccio più”. Mi impediva di ascoltare quanto dicevano gli altri e di prendere parte alla conversazione. A un certo punto mi chiese di accompagnarla fuori perché in mezzo a tale masnada non poteva resistere. La assecondai, sebbene fosi pieno di odio e  rigurgitassi ribrezzo. Non rispettava nessuno, me per primo.

Quando fummo sulla strada ghiacciata mi aggredì con la pretesa che la portassi via da quel posto infernale, immediatamente, senza salutare nessuno.

“Dove vorresti che ti portassi?”

“A Milano, in una discoteca, comunque in luogo pubblico lontano da  questi quattro gatti spelacchiati”.

Alzai gli occhi al cielo stellato chiedendo a Dio, chiunque egli fosse di darmi la forza di non fare una scenata, quindi le risposi con calma che se voleva poteva andarsene via da sola: nessuno avrebbe sentito la sua mancanza. Un locale aperto l’avrebbe trovato anche lì a Bratto, magari pure una compagnia confacente ai suoi gusti da vera aristocrate quale era. Io sarei tornato da mia sorella e i suoi amici

“Da quei borghesi insopportabili?” Osò ribattere.

“Sì, a me non hanno fatto del male. Tu, onestissima signora, vai pure a cercare dove vuoi i gentiluomini e gli artisti della tua levatura”, conclusi.

Poi le girai le spalle e mi avviai verso la casa illuminata.

“Spero che se ne vada davvero-pensavo- e che si innamori di una canaglia della sua risma, magari un giapponese in cerca di una moglie italiana, in modo che finisca dall’altra parte del mondo e che non la veda mai più”.

Ma quella in seguito alla mia reazione aveva capito che doveva recitare tutt’altra commedia, perciò mi rivolse uno sguardo ammansito, disse: “io ti amo tanto, sai?” e si diede a seguirmi  docile e pedissequa mentre rientravo nella casa che aveva tanto villanamente deprecato.

Pesaro otto ottobre 2024 ore 13, 51 giovanni ghiselli

p. s

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