giovedì 28 gennaio 2021

Debrecen 1979. 83. I fuochi d’artificio a Budapest. Una festa di popolo

Finita la cena al ristorante Silvanus di Visegrád, ci portarono a Budapest perché vedessimo i fuochi d’atificio che ogni anno il 20 agosto, calata la notte,  vengono lanciati dalla base del monte Gellert verso il cielo da dove cadono nell’acqua del Danubio in forma di carte bruciate. Quando arrivammo nella capitale, per le strade c’era aria di festa e la popolazione si dirigeva da tutte le parti verso il fiume che separa la pianura dalla collina, cioè Pest da Buda.

L’autobus ci portò fino alla Keleti Pályaudvar, la stazione orientale. Ne uscimmo ed entrammo nella schiera lunga e fitta che percorreva la Rákóczi út in direzione del ponte Erzsébet. Arrivati, scendemmo sulla riva lapidea del fiume, camminammo un poco controcorrente, poi ci sedemmo sui duri gradini dell’argine.

I margini del Danubio erano pieni di popolo. Tali feste mi piacciono: sono sentite dalla gente. Non hanno fini di lucro e non ci si va per consumare. Conservano qualche cosa di antico e di religioso. L’acqua scorreva così lentamente che non si vedeva se scorresse verso il ponte Elisabetta o quello delle Catene e l’isola Margherita.

Alle dieci in punto si spensero le luci della fortezza con tutti i lumi di Buda, poi quelli di Pest. Quanti fumavano spensero le sigarette. Il momento era sacro. Alla base del Gellert si accesero dei riflettori che lanciarono in alto fasci di luce rosa, verde e rossa. Quindi cominciarono i fuochi. Salivano quali punti luminosi nel cielo, poi si aprivano, si colorivano come un boccio che diventa un fiore dalle ampie corolle, o come una bambina neonata che diventa una donna.

Dopo la fioritura stupefacente, però, la luce si affievoliva e cominciava a declinare nel fiume dove concludeva la breve parabola della sua vita in forma di carta nera, bruciata, fumosa.

“Potrò evitare questa caduta alla bellezza delle persone incontrate nel mio cammino e agli spettacoli meravigliosi della natura-pensai-trovando le parole migliori e scrivendole nell’ordine migliore” .

Un bambino gridò: “ mamma: Guarda quante stelle nuove vanno su e giù!”

“Il bambino, come il poeta, nota le somiglianze” pensai.

A un tratto il Gellert si accese per una cascata ignea  che rischiarò Buda e il fiume con entrambe le sponde. Mi voltai per vedere le facce delle persone. “Fra cento anni -  pensai -  nemmeno uno di noi sarà più sulla terra. Se saprò raccontare il bene ricevuto e dato con le parole migliori disposte nell’ordine migliore, però, qualche cosa di buono e di bello si salverà dal precipizio.”


Bologna 28 gennaio 2021, ore 19, 30 

giovanni ghiselli  

 

p. s

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