NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 26 gennaio 2021

Plutarco in Shakespeare. 1. Introduzione

La presenza di Plutarco (45-125)  in Shakespeare (1564-1616)

 

Introduzione

Alcune tragedie di Shakespeare (il Giulio Cesare, l'Antonio e Cleopatra, il Coriolano ) dipendono da Plutarco che il drammaturgo inglese leggeva nella traduzione (del 1579) di Thomas North fatta su quella  francese (del 1559) del vescovo Amyot che tradusse pure i Moralia (1572)[1].

Nonostante la doppia traduzione ci sono, soprattutto nel Coriolano , situazioni e frasi che riproducono gli originali di Plutarco, tanto che Elias Canetti in un passo[2] de La provincia dell'uomo , afferma che " Plutarco non è affatto schizzinoso. Nelle sue pagine accadono cose terribili, come nelle pagine del suo seguace Shakespeare".

Stabilito questo collegamento, diamo la parola al filosofo danese:"Lasciamo che gli altri si lamentino che i tempi sono cattivi; io mi lamento che il nostro tempo è miserabile, poiché è senza passioni. I pensieri degli uomini sono sottili e fragili come merletti, essi stessi miseri come le ragazze che fanno i merletti. I pensieri delle loro menti sono troppo meschini per essere peccaminosi. In un verme si potrebbe forse considerare come peccato l'avere tali pensieri, non in un uomo, creato a immagine di Dio. I loro desideri sono compassati e torpidi, le loro passioni sonnolente (...) Puah! Ed è per questo che la mia anima torna sempre all'Antico Testamento e a Shakespeare. Là si sente che quei che parlano sono uomini; là si odia, là si ama, si ammazza il nemico, si maledice la sua stirpe per tutte le generazioni, là si pecca"[3].

Un'idea simile si trova in Nietzsche: "Leggi Shakespeare: egli è pieno di questi uomini forti, rozzi, duri, potenti, uomini di granito. Di tali individui l'epoca nostra è poverissima, e quindi anche di uomini che abbiano animo capace di accogliere i miei pensieri"[4].

 Shakespeare dunque, e a maggior ragione il suo maestro Plutarco possono, o perfino debbono, essere utilizzati contro la mediocrità, la passività e la volgarità quando queste sembrano sommergere tutto. Aggiungiamo qualche altra testimonianza di scrittori per noi "autorevoli" che cercano nel greco quella dimensione eroica di cui tutti i figli della luce hanno bisogno. 

Foscolo nelle Ultime lettere di Iacopo Ortis [5] scrive: "Col divino Plutarco potrò consolarmi de' delitti e delle sciagure della umanità volgendo gli occhi ai pochi illustri che quasi primati dell'umano genere sovrastano a tanti secoli e a tante genti".

Andrea Maffei, l'autore del libretto de I masnadieri  di Verdi (1848), traducendo quasi alla lettera alcune parole del protagonista del dramma Die Räuber  di Schiller ("Che nausea guardare questo secolo parolaio quando leggo Plutarco e i fatti dei grandi uomini"[6], I, 2) fa esordire Carlo Moor ( che appare "immerso nella lettura d'un libro" come spiega la didascalia) con queste parole:"Quando io leggo in Plutarco, ho noia, ho schifo/di questa età d'imbelli!".  Plutarco dunque consola della volgarità imbelle dei tempi moderni, ma induce anche a disprezzarli, o a osservarli con distacco apollineo. Canetti nella pagina citata prima parla di duplice influenza:"Dinanzi alle sue creature, Plutarco non ha mai un atteggiamento acritico. Ma il suo pensiero ha posto per molti tipi di uomini. E' longanime come può esserlo solo un drammaturgo che opera sempre con molti personaggi dai caratteri diversi e in particolare con le loro diversità. Per questo ha esercitato due generi di influenza. Alcuni hanno ricavato i loro modelli da lui, come da un libro di oracoli, e hanno modellato la propria vita in conformità. Altri hanno assunto dentro di sé i suoi quasi cinquanta personaggi e sono, così, divenuti o rimasti drammaturghi".

Ma tra gli estimatori di Plutarco il più attento alla sua funzione di educatore, la più interessante anche per noi, è Nietzsche che nell Prefazione alla seconda Considerazione Inattuale , Sull'utilità e il danno della storia per la vita  (del 1874) respinge come

"odioso (con parole di Goethe che però ciascuno di noi potrebbe sottoscrivere) tutto ciò che mi istruisce soltanto, senza accrescere o vivificare immediatamente la mia attività"(p. 81), e rifiuta il "grado di insonnia, di ruminazione, di senso storico, in cui l'essere vivente riceve danno e alla fine perisce"(p. 85), affermando che la storia è necessaria "all' attivo e al potente, a colui che combatte una grande battaglia, che ha bisogno di modelli, maestri e consolatori, e che non può trovarli fra i suoi compagni e nel presente. Così essa occorreva a Schiller: il nostro tempo è infatti così cattivo, dice Goethe, che nella vita umana che lo attornia il poeta non incontra più nessuna natura utilizzabile"(p. 92).

Il nostro tempo  è caratterizzato da gente non solo cattiva ma anche debole:"nella mancanza di dominio su se stessi, in ciò che i romani chiamano impotentia , si rivela la debolezza della personalità moderna"(p. 116).

 Un ajntifavrmako" , un ottimo contravveleno di questa impotenza può essere Plutarco:"Se invece rivivrete in voi la storia dei grandi uomini, imparerete da essa il supremo comandamento di diventare maturi e di sfuggire al fascino paralizzante dell'educazione del tempo, che vede la sua utilità nel non lasciarvi maturare  per dominare e sfruttare voi, gli immaturi. E se desiderate biografie, allora che non siano quelle col ritornello "Il signor Taldeitali e il suo tempo". Saziate le vostre anime con Plutarco ed osate credere in voi stessi, credendo ai suoi eroi. Con un centinaio di uomini educati in tal modo non moderno, ossia divenuti maturi e abituati all'eroico, si può oggi ridurre all'eterno silenzio tutta la chiassosa pseudocultura di questo tempo" (p.125).

giovanni ghiselli

 



[1]Traduzioni approvate, da Montaigne che, qualche anno più tardi, scrive nei Saggi  :" Io do giustamente, mi sembra, la palma a Jacques Amyot su tutti i nostri scrittori francesi, non solo per la semplicità e la purezza del linguaggio, nella quale supera tutti gli altri, né per la costanza di un così lungo lavoro, né per la profondità del suo sapere, poiché ha potuto volgarizzare così felicemente un autore tanto spinoso...ma soprattutto gli sono grato di aver saputo discernere e scegliere un libro tanto degno e tanto appropriato per farne dono al suo paese. Noialtri ignoranti saremmo stati perduti se questo libro non ci avesse sollevato dal pantano; grazie a lui, osiamo ora e parlare e scrivere; le signore ne dànno lezione ai maestri di scuola; è il nostro breviario"(II, 4, pp. 467-468).

[2]In Opere 1932-1973 , trad. it. Bompiani, Milano, 1990,  p. 1812.

[3]Aut- Aut in Kierkegaard Opere , p. 12.

[4]Epistolario , novembre 1883, p. 204.

[5]18 ottobre 1797.

[6]Traduzione di L. Ruggieri.

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