lunedì 25 gennaio 2021

Debrecen 1979. 80

Le medie Lucio Accio e il ginnasio Terenzio Mamiani di Pesaro negli anni Cinquanta

“Mi sono innamorato di Marina, una ragazza bruna ma carina”.

 

Poco dopo apparve  nel cielo la santa faccia di luce che nutre la vita.

 “E’ arrivato un rimedio dal bel volto” pensai. Ancora una volta il dio luminoso mi infuse forza e coraggio. L’acqua cominciò a scintillare, l’aria tornò a brillare, la musica della giostra divenne allegra e confortante, gli zingari diventarono dionisiaci, l’odore del pesce invogliante, da ripugnante che era. Il castello sfavillava alto sul colle nobile e antico, incastonato sulla cima come un gioiello.

Sul Danubio passò un battello bianco. Diffondeva musica cara al mio cuore: le danze ungheresi di Brahms suonate spesso nella terra magiara e pure sull’acqua.

 “La piccola nave è bianca e snella come una donna giovane che nuota nuda e canta”, pensai. “Ifigenia una sera d’inverno mi cantò l’alleluja del Messia di Händel.

 Snella , formosa e leggera. E pure canora. Sole, fai che possa amarla, che possa fidarmi ancora di lei”.

 

Dalla giostra provenne la musica della canzone “Marina” che suscitò ricordi di fatti lontani.

Nella seconda parte degli anni Cinquanta, quando facevo le medie Lucio Accio e il ginnasio Terenzio Mariani di Pesaro, questa canzone mi faceva pensare a Marisa di cui mi ero innamorato. Era la più brava della sezione femminile, studiosa, intelligente e competitiva. E bruna bruna. Per certi versi era simile a me, però non mi contraccambiava. Ci sfidavamo solo. A chi prendeva voti più alti pur in classi diverse. Allora il sistema delle raccomandazioni non era onnipresente e pervasivo come adesso, e la scuola selezionava parecchio in base all’impegno e alle capacità. Il latino alle medie era più serio e severo che adesso nei licei classici. Si doveva tradurre dal latino e in latino. Molti non ce la facevano e andavano all’avviamento al lavoro. Dal ginnasio, poi, la selezione diventava più dura di una decimazione e non risparmiava i figli dei maggiorenti della città che dovevano passare in scuole private come Poggio Mirteto dove i diplomi venivano venduti e comprati per denaro. Ma il Mamiani fermava chi non studiava. Anche se era figlio di un giudice o di un notaio o di un primario dell’ ospedale San Salvatore. E la selezione più severa la facevano le prove scritte di greco e di latino. Insomma era l’ ambiente scolastico ideale per me. Marisa e io dunque eravami i due più bravi e io ero innamorato di lei senza essere contraccambiato. La canzone faceva: “Mi sono innamorato di Marina, una ragazza bruna ma carina”. Trovavo irrazionale e assurdo, contrario ai miei gusti e alla mia natura quel “ma”. Eppure tale assurdità si legge anche nel Cantico dei cantici: “bruna sono ma bella”[1]. Io pensavo e tuttora penso che bruna sia un predicato di bellezza colorita, di vitalità, di sensualità. La bruna Marisa mi era sfuggita al ginnasio, ma al liceo mi ero rifatto scolasticamente battendola e mettendola sotto nel greco e nel lationo: in seconda liceo vinsi un premio per i prima trenta studenti dei licei classici d’Italia. Un viaggio in Jugoslavia. Simpatizzai molto con una gelataia di Lubiana, castana di capelli.

Poi con le brune mi sono rifatto anche nel campo amoroso: Elena e Kaisa erano brune brune di capelli e Ifigenia era molto bruna, bruna assai in tutto il corpo incomparabilmente ben fatto.

 

Bologna 25 gennaio 2021ore 19, 50.

 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Primo poema. La sposa.

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