NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 14 gennaio 2021

Euripide. 6

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Cronologia dei drammi. 

Alla cultura dionisiaca della tragedia succede quella alessandrina. Di questa, secondo Nietzsche sarebbeo iniziatori non benemeriti Euripide e Socrate

 

Le tragedie sono: l'Alcesti , la più antica, del 438, la Medea del 431, gli Eraclidi del 430 circa, l'Andromaca di poco posteriore, l'Ippolito del 428, l'Ecuba del 424, le Supplici del 422, l'Eracle del 416 circa, le Troiane del 415, l'Ifigenia fra i Tauri tra il 414 e il 413, l'Elettra del 413, l'Elena del 412, lo Ione intorno al 41l, le Fenicie tra il 410 e il 408 , l'Oreste del 408. L'Ifigenia in Aulide e le Baccanti furono rappresentate postume da Euripide il Giovane insieme all’Alcmeone a Corinto, dopo il 406 (405 o 403). Il Reso, che narra l'episodio dell'assedio di Troia raccontato anche dal X canto dell'Iliade , è quasi certamente spurio.

 

Abbiamo detto che su Euripide grava una tradizione di critica malevola, e pure pettegola, che risale alla commedia antica e arriva a Nietzsche il quale in La nascita della tragedia accusa il drammaturgo di avere commesso un sacrilegio imborghesendo il mito, storpiandone i protagonisti e uccidendo, con lo spirito eroico, quello religioso, musicale e artistico, fiorito nell'età tragica dei Greci. Lo scadimento della tragedia del resto, secondo il filosofo tedesco, era iniziato già con Sofocle: Euripide avrebbe portato avanti il processo degenerativo che troverà il suo compimento nella commedia nuova attica.

 Vediamo altre espressioni di questa critica demolitrice cui non mancano formule schopenhaueriane, come lo stesso Nietzsche denuncerà più avanti: "La musica veramente dionisiaca si presenta come uno specchio universale della volontà del mondo (…) ora la musica è diventata una meschina immagine dell’apparenza, e per questo è infinitamente più povera dell’apparenza stessa (…)Vediamo in azione da un altro lato la forza di questo spirito antidionisiaco ostile al mito, quando volgiamo i nostri sguardi all’affermarsi nella tragedia, da Sofocle in poi, della rappresentazione di caratteri e della raffinatezza psicologica. Il carattere non deve più allargarsi come tipo eterno, ma deve al contrario, mediante tratti secondari e ombreggiature superficiali (…) agire in modo talmente individuale, che lo spettatore senta in genere non più il mito, bensì la potente verità naturalistica e la forza dell’imitazione dell’artista. Anche qui scorgiamo la vittoria dell’apparenza sull’universale e il piacere per così dire per il singolo preparato anatomico; respiriamo già l’aria di un mondo teorico, per il quale la conoscenza scientifica vale più del rispecchiamento artistico di una regola del mondo”[1]

Quindi all’età tragica e artistica che giustifica la vita umana con l'illusione della bellezza succede la civiltà socratica che ostile all’istinto, coltiva il terreno della razionalità e della conoscenza, facendogli produrre quella cultura alessandrina che ha imbrigliato il mondo da allora in avanti: “Tutto il mondo moderno è preso nella rete della cultura alessandrina e trova il suo ideale nell’uomo teoretico, che è dotato di grandissime forze conoscitive e lavora al servizio della scienza, e di cui Socrate è il prototipo e il capostipite”[2].

Una cultura, devo dire, alla quale Euripide non è organico, non quando fa cantare al coro delle Baccanti nel primo stasimo della sua ultima tragedia "to; sofo;n d j ouj sofiva" (Baccanti , vv. 395), il sapere non è sapienza.

“Voglio, una volta per tutte, non sapere molto. La saggezza pone dei limiti anche alla conoscenza”[3]. Nietzsche non è poi tanto lontano da Euripide come pare voglia affermare.

“Essere uomo significa avere un logos. Ma la tragedia più tarda presenta un movimento inverso. All’Agamennone del principio dell’Ifigenia in Aulide la riflessione ha tolto la sicurezza dell’agire, ed Euripide dice spesso che qualcuno è troppo sapiente”[4].

“…e così[5] stolto - ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, - onde pianse Ifigenia il suo bel volto, - e fe’ pianger di sé i folli e i savi - ch’udir parlar di così fatto cólto[6][7].

 

giovanni ghiselli



[1] La nascita della tragedia, capitolo 17.

[2] La nascita della tragedia, p. 118.

[3] Crepuscolo degli idoli, come si filosofa col martello, Detti e frecce, 5.

[4] B. Snell, Poesia e società, p. 151.

[5] Come Jefte , giudice di Israele che promise a Dio di offrirgli la prima cosa che gli fosse venuta incontro in cambio della vittoria sugli Ammoniti. Incontrò per prima la figlia unica festante “cum tympanis et choris” e la fece uccidere ((cfr. Giudici, XI, 30 - 40)

[6] culto

[7] Dante, Paradiso V, 69 - 71.

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