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Cronologia dei drammi.
Alla cultura dionisiaca della tragedia succede quella alessandrina. Di
questa, secondo Nietzsche sarebbeo iniziatori non benemeriti Euripide e Socrate
Le tragedie
sono: l'Alcesti , la più antica, del 438, la Medea del
431, gli Eraclidi del 430 circa, l'Andromaca di poco
posteriore, l'Ippolito del 428, l'Ecuba del 424, le Supplici
del 422, l'Eracle del 416 circa, le Troiane del 415, l'Ifigenia
fra i Tauri tra il 414 e il 413, l'Elettra del 413, l'Elena del
412, lo Ione intorno al 41l, le Fenicie tra il 410 e il
408 , l'Oreste del 408. L'Ifigenia in Aulide e le Baccanti
furono rappresentate postume da Euripide il Giovane insieme all’Alcmeone a
Corinto, dopo il 406 (405 o 403). Il Reso, che narra l'episodio
dell'assedio di Troia raccontato anche dal X canto dell'Iliade , è
quasi certamente spurio.
Abbiamo
detto che su Euripide grava una tradizione di critica malevola, e pure
pettegola, che risale alla commedia antica e arriva a Nietzsche il quale in
La nascita della tragedia accusa il drammaturgo di avere
commesso un sacrilegio imborghesendo il mito, storpiandone i protagonisti e
uccidendo, con lo spirito eroico, quello religioso, musicale e artistico,
fiorito nell'età tragica dei Greci. Lo scadimento della tragedia del resto,
secondo il filosofo tedesco, era iniziato già con Sofocle: Euripide avrebbe
portato avanti il processo degenerativo che troverà il suo compimento nella
commedia nuova attica.
Vediamo
altre espressioni di questa critica demolitrice cui non mancano formule
schopenhaueriane, come lo stesso Nietzsche denuncerà più avanti: "La
musica veramente dionisiaca si presenta come uno specchio universale della
volontà del mondo (…) ora la musica è diventata una meschina immagine
dell’apparenza, e per questo è infinitamente più povera dell’apparenza stessa
(…)Vediamo in azione da un altro lato la forza di questo spirito antidionisiaco
ostile al mito, quando volgiamo i nostri sguardi all’affermarsi nella tragedia,
da Sofocle in poi, della rappresentazione di caratteri e della
raffinatezza psicologica. Il carattere non deve più allargarsi come tipo
eterno, ma deve al contrario, mediante tratti secondari e ombreggiature
superficiali (…) agire in modo talmente individuale, che lo spettatore senta in
genere non più il mito, bensì la potente verità naturalistica e la forza
dell’imitazione dell’artista. Anche qui scorgiamo la vittoria dell’apparenza
sull’universale e il piacere per così dire per il singolo preparato anatomico;
respiriamo già l’aria di un mondo teorico, per il quale la conoscenza
scientifica vale più del rispecchiamento artistico di una regola del mondo”[1].
Quindi
all’età tragica e artistica che giustifica la vita umana con l'illusione della
bellezza succede la civiltà socratica che ostile all’istinto, coltiva il
terreno della razionalità e della conoscenza, facendogli produrre quella
cultura alessandrina che ha imbrigliato il mondo da allora in avanti: “Tutto il
mondo moderno è preso nella rete della cultura alessandrina e trova il suo
ideale nell’uomo teoretico, che è dotato di grandissime forze
conoscitive e lavora al servizio della scienza, e di cui Socrate è il prototipo
e il capostipite”[2].
Una cultura,
devo dire, alla quale Euripide non è organico, non quando fa cantare al coro
delle Baccanti nel primo stasimo della sua ultima tragedia "to; sofo;n d j
ouj sofiva" (Baccanti ,
vv. 395), il sapere non è sapienza.
“Voglio, una
volta per tutte, non sapere molto. La saggezza pone dei limiti
anche alla conoscenza”[3]. Nietzsche
non è poi tanto lontano da Euripide come pare voglia affermare.
“Essere uomo
significa avere un logos. Ma la tragedia più tarda presenta un
movimento inverso. All’Agamennone del principio dell’Ifigenia in
Aulide la riflessione ha tolto la sicurezza dell’agire, ed Euripide
dice spesso che qualcuno è troppo sapiente”[4].
“…e così[5] stolto
- ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, - onde pianse Ifigenia il suo bel volto,
- e fe’ pianger di sé i folli e i savi - ch’udir parlar di così fatto cólto[6]”[7].
giovanni
ghiselli
[1] La nascita della tragedia,
capitolo 17.
[2] La nascita della tragedia, p.
118.
[3] Crepuscolo degli idoli, come si
filosofa col martello, Detti e frecce, 5.
[4] B. Snell, Poesia e società,
p. 151.
[5] Come Jefte , giudice di Israele che
promise a Dio di offrirgli la prima cosa che gli fosse venuta incontro in
cambio della vittoria sugli Ammoniti. Incontrò per prima la figlia unica
festante “cum tympanis et choris” e la fece uccidere
((cfr. Giudici, XI, 30 - 40)
[6] culto
[7] Dante, Paradiso V, 69
- 71.
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