Giudizi sugli dèi. La forma artistica di Euipide.
Nietzsche trova delle analogie tra lo stile di Euripide e quello di Wagner:
sarebbe lo stile della decadenza. L’ammirazione di Goethe per Euripide
L’ idea che la divinità che non abbia bisogno di niente vista citata sopra
dall’Eracle di Euipide, poi dai Memorabili di
Senofonte, si ritrova nel De
rerum natura di
Lucrezio: “Omnis enim per se divum natura necessest/immortali aevo
summa cum pace fruatur/semota ab nostris rebus seiunctaque longe./nam
privata dolore omni, privata periclis,/ipsa suis pollens opibus, nihil indiga
nostri,/nec bene promeritis capitur nec tangitur ira” (II, 646 - 651),
infatti ogni natura divina per sé deve fruire di un’era immortale con pace
suprema, lontana dalle nostre vicende e di gran lunga distinta. Infatti
preservata da ogni dolore, preservata dai pericoli, potente da sola delle sue
forze, per niente bisognosa di noi, non viene accattivata dai nostri servizi
buoni e non è toccata dall’ira.
Torniamo di nuovo a Snell il
quale prosegue nell’apologia di Euripide e sostiene che “l’accusa d’immoralità
è totalmente infondata. Poiché non si può assolutamente considerare la morale
tradizionale legata alle leggi, come l’unica morale, e volere che l’uomo onesto
e valido agisca soltanto entro i limiti fissati dalle antiche tradizioni religiose,
statali e familiari misconoscendo la moralità (moralità che in seguito molti
hanno considerato come la più alta) di chi, opponendosi alla tradizione, si
appelli a una legge superiore, che si tratti della ragione o del senso morale.
E in questo caso anzi il senso di giustizia, quando sia genuino, usa
presentarsi non nella forma di un puro sentimento personale, ma come un valore
universale, umano”[1].
Snell procede riferendo le critiche di A. W.
Schlegel alla “forma artistica” del drammaturgo innovatore: “Euripide
è per lui, anche nella forma, il poeta della decadenza e della disgregazione.
“Egli sacrifica di solito l’insieme alle parti e in queste ancora cerca più
attrattive estranee che la vera bellezza poetica”[2].
Trovo lo stesso giudizio in un libro di J. G. Droysen[3]: “La commedia[4] si rivolge contro Euripide, che
Aristofane perseguita incessantemente col suo sarcasmo. La sua partigianeria
non ha mancato di sortire l’effetto desiderato, tanto che, specialmente negli
ultimi tempi, le Rane hanno contribuito non poco a fuorviare
il giudizio su questo profondo e malinconico poeta. Vero è che in Euripide non
troviamo più, limpida e pura, l’essenza della tragedia antica; l’insieme è
spesso sacrificato alle parti e anche le parti mirano a diffondere strane
attrattive piuttosto che vera bellezza poetica” (p. 235).
Subito dopo
però Droysen riconosce la grandezza di Euripide: “Tuttavia, nell’evoluzione
dello spirito greco, Euripide riveste un’importanza che legittima il suo
accostamento ai grandi nomi di ogni epoca. Atene e l’arte attica del dramma
hanno assolto al compito di trapassare dalla dolce luce crepuscolare di una
poesia ancora timorosa di se stessa, fino al pieno chiarore diurno della
coscienza, dell’illuminismo, della libertà soggettiva. Il genere drammatico
stesso è scaturito da questa lotta spirituale; la battaglia titanica di
Prometeo e la collera selvaggia delle Eumenidi contro i nuovi dèi sono ogni
volta sempre soltanto l’espressione di un animo inquieto, il quale si sente
legato da pesanti catene e anela a strapparle, animato dalla forza superba di
una giustificazione più elevata. E’ un impeto irresistibile, che sospinge in
avanti. Il tormento del dubbio circa la sua nascita conduce Edipo nel luogo
dove ucciderà il padre, poi all’incesto con sua madre; allo stesso modo lo
spirito si distacca dal terreno sul quale è cresciuto e corre senza saperlo
verso la disgrazia dalla quale vuole fuggire. Bisogna aver presente questo
enorme movimento, simile alla caduta di una valanga, per poter comprendere lo
sviluppo della democrazia, della signoria e dell’arte di Atene”. Sembra che si
tratti, in poche parole, della conquista dolorosa di una coscienza adulta e
consapevole. Ma sentiamo ancora Droysen: “Euripide è grande, perché è
intervenuto consapevolmente in questo movimento, anzi in qualche modo si è
posto alla sua testa”.
Certamente
non manca in Euripide la volontà si stupire mutando alcuni dati dei miti spesso
in contrapposizione anche ai suoi colleghi drammaturghi: “C’è in lui una sorta
di voluttà nel sorprendere, un gusto del paradosso - di chiara impronta
retorico - sofistica - che lo induce non di rado a rovesciare il profilo
tradizionale dei personaggi: Adrasto nelle Supplici delinea un
ritratto dei capi argivi caduti a Tebe diametralmente opposto a quello
fornitoci da Eschilo nei Sette; Clitemnestra dinanzi ad Elettra si
presenta come una buona e premurosa madre; la vera Elena, quella che non è
andata a Troia, è nella tragedia omonima un modello di fedeltà coniugale;
Polinice nelle Fenicie si erge a difensore del diritto”[5].
Secondo Snell, Schlegel proiettava su Euripide “i difetti che minacciavano
lui stesso”. Quindi viene ricordato Nietzsche il quale porta avanti il filum antieuripideo
che collega Aristofane a Schlegel: “Quando Nietzsche presenta come una
caratteristica dello stile decadente (Il caso Wagner, 7) il fatto che le
diverse parti si rendano indipendenti, cosa che va a svantaggio dell’insieme,
egli non ci dà che una variazione del giudizio di Schlegel su Euripide, e come
Schlegel egli involontariamente caratterizza se stesso. Anche il suo odio
contro Euripide è odio contro una parte di sé. Il suo sguardo acuto distrugge
le illusioni, i sogni, le speranze che danno sicurezza all’uomo, gli rimane
però una nostalgia per ciò che è semplice, sano e forte, per l’arte vera che è
per lui - come per Schlegel e già per Herder - creazione su basi mitiche”[6].
Vediamo alcune frasi di Il
caso Wagner (1888) dove Nietzsche abiura l’entusiasmo per
il musicista espresso nella IV inattuale: Richard Wagner a Bayreuth (del
1876).
In questo scritto del 1888 il filosofo definisce Wagner “un tipico
décadent ”. Quindi si sofferma sulla questione dello stile che
riferisco perché può essere utilizzata dallo studente anche per il Novecento:
“Da che cosa è caratterizzata ogni décadence letteraria? Dal fatto
che la vita non risiede più nel tutto. La parola diventa sovrana e spicca un
salto fuori dalla frase, la frase usurpa e offusca il senso della pagina, la
pagina prende vita a spese del tutto, - il tutto non è più tutto. Ma questa è
l'allegoria di ogni stile della décadence : sempre anarchia atomistica,
disgregazione del volere…il tutto non vive generalmente più”[7].
Snell conclude la sua apologia di Euripide con una nota tratta dal Diario di Goethe che alcuni mesi prima della morte scriveva: "Non
finisco di meravigliarmi come l'elite dei filologi non comprenda i suoi
meriti e secondo la bella usanza tradizionale lo subordini ai suoi predecessori
seguendo l'esempio di quel pagliaccio di Aristofane (...) Ma c'è forse una
nazione che abbia avuto dopo di lui un drammaturgo che sia appena degno di
porgergli le pantofole?"[8].
giovanni ghiselli
[1] B. Snell, La cultura greca e
le origini del pensiero europeo, p. 187.
[2] B. Snell, La cultura greca e
le origini del pensiero europeo, p. 187.
[3] Aristofane, del 1938.
[4] Si tratta delle Rane.
[5] Di Marco, Op. cit, p. 133.
[6] B. Snell, La cultura greca e
le origini del pensiero europeo, p. 188.
[7] F. Nietzsche, Il caso Wagner,
p. 180.
[8] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 189.
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