NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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sabato 16 gennaio 2021

Euripide. 15

Wagner
Argomenti

Giudizi sugli dèi. La forma artistica di Euipide. Nietzsche trova delle analogie tra lo stile di Euripide e quello di Wagner: sarebbe lo stile della decadenza. L’ammirazione di Goethe per Euripide

 

L’ idea che la divinità che non abbia bisogno di niente vista citata sopra dall’Eracle di Euipide, poi dai Memorabili di Senofonte, si ritrova nel De rerum natura di Lucrezio: “Omnis enim per se divum natura necessest/immortali aevo summa cum pace fruatur/semota ab nostris rebus seiunctaque longe./nam privata dolore omni, privata periclis,/ipsa suis pollens opibus, nihil indiga nostri,/nec bene promeritis capitur nec tangitur ira” (II, 646 - 651), infatti ogni natura divina per sé deve fruire di un’era immortale con pace suprema, lontana dalle nostre vicende e di gran lunga distinta. Infatti preservata da ogni dolore, preservata dai pericoli, potente da sola delle sue forze, per niente bisognosa di noi, non viene accattivata dai nostri servizi buoni e non è toccata dall’ira.

 

Torniamo di nuovo a Snell il quale prosegue nell’apologia di Euripide e sostiene che “l’accusa d’immoralità è totalmente infondata. Poiché non si può assolutamente considerare la morale tradizionale legata alle leggi, come l’unica morale, e volere che l’uomo onesto e valido agisca soltanto entro i limiti fissati dalle antiche tradizioni religiose, statali e familiari misconoscendo la moralità (moralità che in seguito molti hanno considerato come la più alta) di chi, opponendosi alla tradizione, si appelli a una legge superiore, che si tratti della ragione o del senso morale. E in questo caso anzi il senso di giustizia, quando sia genuino, usa presentarsi non nella forma di un puro sentimento personale, ma come un valore universale, umano”[1]

 

Snell procede riferendo le critiche di A. W. Schlegel alla “forma artistica” del drammaturgo innovatore: “Euripide è per lui, anche nella forma, il poeta della decadenza e della disgregazione. “Egli sacrifica di solito l’insieme alle parti e in queste ancora cerca più attrattive estranee che la vera bellezza poetica”[2].

 

Trovo lo stesso giudizio in un libro di J. G. Droysen[3]: “La commedia[4] si rivolge contro Euripide, che Aristofane perseguita incessantemente col suo sarcasmo. La sua partigianeria non ha mancato di sortire l’effetto desiderato, tanto che, specialmente negli ultimi tempi, le Rane hanno contribuito non poco a fuorviare il giudizio su questo profondo e malinconico poeta. Vero è che in Euripide non troviamo più, limpida e pura, l’essenza della tragedia antica; l’insieme è spesso sacrificato alle parti e anche le parti mirano a diffondere strane attrattive piuttosto che vera bellezza poetica” (p. 235).

Subito dopo però Droysen riconosce la grandezza di Euripide: “Tuttavia, nell’evoluzione dello spirito greco, Euripide riveste un’importanza che legittima il suo accostamento ai grandi nomi di ogni epoca. Atene e l’arte attica del dramma hanno assolto al compito di trapassare dalla dolce luce crepuscolare di una poesia ancora timorosa di se stessa, fino al pieno chiarore diurno della coscienza, dell’illuminismo, della libertà soggettiva. Il genere drammatico stesso è scaturito da questa lotta spirituale; la battaglia titanica di Prometeo e la collera selvaggia delle Eumenidi contro i nuovi dèi sono ogni volta sempre soltanto l’espressione di un animo inquieto, il quale si sente legato da pesanti catene e anela a strapparle, animato dalla forza superba di una giustificazione più elevata. E’ un impeto irresistibile, che sospinge in avanti. Il tormento del dubbio circa la sua nascita conduce Edipo nel luogo dove ucciderà il padre, poi all’incesto con sua madre; allo stesso modo lo spirito si distacca dal terreno sul quale è cresciuto e corre senza saperlo verso la disgrazia dalla quale vuole fuggire. Bisogna aver presente questo enorme movimento, simile alla caduta di una valanga, per poter comprendere lo sviluppo della democrazia, della signoria e dell’arte di Atene”. Sembra che si tratti, in poche parole, della conquista dolorosa di una coscienza adulta e consapevole. Ma sentiamo ancora Droysen: “Euripide è grande, perché è intervenuto consapevolmente in questo movimento, anzi in qualche modo si è posto alla sua testa”.

 

Certamente non manca in Euripide la volontà si stupire mutando alcuni dati dei miti spesso in contrapposizione anche ai suoi colleghi drammaturghi: “C’è in lui una sorta di voluttà nel sorprendere, un gusto del paradosso - di chiara impronta retorico - sofistica - che lo induce non di rado a rovesciare il profilo tradizionale dei personaggi: Adrasto nelle Supplici delinea un ritratto dei capi argivi caduti a Tebe diametralmente opposto a quello fornitoci da Eschilo nei Sette; Clitemnestra dinanzi ad Elettra si presenta come una buona e premurosa madre; la vera Elena, quella che non è andata a Troia, è nella tragedia omonima un modello di fedeltà coniugale; Polinice nelle Fenicie si erge a difensore del diritto”[5].

 

Secondo Snell, Schlegel proiettava su Euripide “i difetti che minacciavano lui stesso”. Quindi viene ricordato Nietzsche il quale porta avanti il filum antieuripideo che collega Aristofane a Schlegel: “Quando Nietzsche presenta come una caratteristica dello stile decadente (Il caso Wagner, 7) il fatto che le diverse parti si rendano indipendenti, cosa che va a svantaggio dell’insieme, egli non ci dà che una variazione del giudizio di Schlegel su Euripide, e come Schlegel egli involontariamente caratterizza se stesso. Anche il suo odio contro Euripide è odio contro una parte di sé. Il suo sguardo acuto distrugge le illusioni, i sogni, le speranze che danno sicurezza all’uomo, gli rimane però una nostalgia per ciò che è semplice, sano e forte, per l’arte vera che è per lui - come per Schlegel e già per Herder - creazione su basi mitiche”[6].

 

Vediamo alcune frasi di Il caso Wagner (1888) dove Nietzsche abiura l’entusiasmo per il musicista espresso nella IV inattuale: Richard Wagner a Bayreuth (del 1876).

In questo scritto del 1888 il filosofo definisce Wagner “un tipico décadent ”. Quindi si sofferma sulla questione dello stile che riferisco perché può essere utilizzata dallo studente anche per il Novecento: “Da che cosa è caratterizzata ogni décadence letteraria? Dal fatto che la vita non risiede più nel tutto. La parola diventa sovrana e spicca un salto fuori dalla frase, la frase usurpa e offusca il senso della pagina, la pagina prende vita a spese del tutto, - il tutto non è più tutto. Ma questa è l'allegoria di ogni stile della décadence : sempre anarchia atomistica, disgregazione del volere…il tutto non vive generalmente più”[7].

Snell conclude la sua apologia di Euripide con una nota tratta dal Diario di Goethe che alcuni mesi prima della morte scriveva: "Non finisco di meravigliarmi come l'elite dei filologi non comprenda i suoi meriti e secondo la bella usanza tradizionale lo subordini ai suoi predecessori seguendo l'esempio di quel pagliaccio di Aristofane (...) Ma c'è forse una nazione che abbia avuto dopo di lui un drammaturgo che sia appena degno di porgergli le pantofole?"[8].

 

giovanni ghiselli

 

 

 



[1] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 187.

[2] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 187.

[3] Aristofane, del 1938.

[4] Si tratta delle Rane.

[5] Di Marco, Op. cit, p. 133.

[6] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 188.

[7] F. Nietzsche, Il caso Wagner, p. 180.

[8] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 189.

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