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domenica 31 gennaio 2021

Ritratti paradossali

Argomenti

Ritratti paradossali con la compresenza di vizi e virtù. Dal Catilina di Plutarco e Sallustio al Petronio di Tacito a Enrico V di Shakespeare, al seduttore di Kierkegaard, all’Andrea Sperelli di D’Annunzio.

 

 In Shakespeare il principe Enrico, un giovane  dissipato e gozzovigliatore[1] quando succede al padre e sale sul trono (nel 1413) diviene il  saggio re Enrico V, un  capo di eserciti valorosi e il  simbolo della grandezza nazionale.
Cfr. la battaglia di Agincourt del 1415 con l’appello agli happy few (Enrico V, del 1599, IV, 3, 60)


“E’ opportuno qui riportare, non solo per la sua grazia ma anche per la sua profondità, un passo celebre in cui Shakespeare cerca di spiegare come grandi qualità potessero celarsi nel principe libertino (Enrico V, atto I, scena 2[2], 60 sgg,):

The strawberry grows underneath the nettle,/ And wholesome berries thrive and ripen best/Neighbour’d by fruit of baser quality:/And so the prince obscur’d his contemplation/Under the veil of wildness; which, no doubt,/Grew like the summer grass, fastest by night,/Unseen, yet crescive in his faculty”.

E’ il vescovo di Ely che parla.

La fragola cresce sotto l’ortica e le bacche salutari prosperano e maturano meglio in compagnia di frutti di qualità inferiore: così il principe celò il suo spirito di osservazione sotto le apparenze del libertinaggio, e questo spirito senza dubbio deve aver fatto come l’erba estiva che cresce di notte non vista, ma proprio allora più soggetta alla forza di sviluppo che le è insita”

 E’ probabile che Shakespeare non debba nulla alla tradizione antica del ritratto “paradossale” di tipo “petroniano”[3]. Al “paradosso” della compresenza di vizi e virtù egli aggiunge un altro “paradosso”, secondo cui il vizio può essere condizione favorevole alla segreta crescita della virtù; chi mai nell’antichità avrebbe potuto accettarlo? Non è poca cosa, comunque, che storici antichi quali Sallustio e Tacito avessero messo a fuoco il problema: il loro travaglio di pensiero, che coglie le contraddizioni di una realtà sempre più ricca ed oscura, non li porta troppo lontano dal genio del poeta moderno”[4].

La Penna inserisce in questa lista di uomini ritratti come paradossali oltre Petronio, Silla, Catilina, Cleopatra, Otone e altri. Possiamo aggiungere Alcibiade.

 

Vediamo Alcibiade

Plutarco scrive di Alcibiade che per accalappiare le persone era capace di imporsi trasformazioni più rapide e radicali del camaleonte ("ojxutevra"...tropa;" tou' camailevonto""), il quale infatti non è creatura altrettanto versatile in quanto non in grado di assumere il colore bianco, mentre per quest'uomo, che passava con uguale disinvoltura attraverso il bene e il male, non c'era niente di inimitabile né di non provato: "  jAlkibiavdh/ de; dia; crhstw'n ijovnti kai; ponhrw'n oJmoivw" oujde;n h'jn ajmivmhton oujd j ajnepithvdeuton" : a Sparta viveva da sportivo (gumnastikov"), si comportava da persona semplice e sobria (eujtelhv"), perfino austera (skuqrwpov"); in Ionia invece appariva raffinato (clidanov"),  gaudente (ejpiterphv"), indolente (rJav/qumo");  in Tracia si ubriacava (mequstikov") e andava a cavallo ( iJppastikov"); e quando frequentava il satrapo Tissaferne superava nel fasto  e nel lusso la magnificenza persiana ("uJperevballen o[gkw/ kai;  poluteleiva th;n Persikh;n megaloprevpeian"[5]).

 

Insomma Alcibiade assumeva di volta in volta le forme e gli atteggiamenti più consoni a quelli cui voleva piacere, o per dirla con Cornelio Nepote era "temporibus callidissime serviens "[6] abilissimo nell'adattarsi alle circostanze.

Anche Montaigne mette in rilievo questo aspetto di Alcibiade:"Ho spesso notato con grande ammirazione la straordinaria facoltà di Alcibiade di adattarsi tanto facilmente a usanze così diverse, senza danno per la sua salute: oltrepassando ora la sontuosità e la pompa persiana, ora l'austerità e la frugalità spartana; così moderato a Sparta come dedito al piacere nella Ionia"[7].

 

Passiamo a Catilina

Cicerone attribuisce a  Catilina nell'orazione Pro Caelio[8]

aspetti del carattere simile a questo e ad altri  di Alcibiade.

La sua indole multiforme sapeva adeguarsi alle circostanze "Illa vero iudices, in illo homine admirabilia fuerunt, comprehendere multos amicitia, tueri obsequio, cum omnibus communicare quod habebat, servire temporibus suorum omnium pecunia, gratia, labore corporis, scelere etiam, si opus esset, et audacia, versare suam naturam et regere ad tempus atque huc et illuc torquere et flectere, cum tristibus severe, cum remissis iucunde, cum senibus graviter, cum iuventute comiter, cum facinerosis audaciter, cum libidinosis luxuriose, vivere " (Pro Caelio, 6,13), quei famosi aspetti invero, giudici, fecero stupire in quell'uomo: afferrare molti con l'amicizia e conservarli con la compiacenza, mettere in comune con tutti ciò che aveva, venire incontro alle circostanze critiche di tutti i suoi amici con il denaro, la sua influenza, la fatica corporale, e se ce n'era bisogno anche con il delitto e l'ardimento, modificare la sua indole e indirizzarla secondo le circostanze, volgerla e piegarla di qua e di là, vivere con gli austeri severamente, con i gioviali allegramente, con i vecchi seriamente, con i giovani benevolmente, con i criminali temerariamente, con i libidinosi dissolutamente.

 

Rileggiamo anche qualche parola di Sallustio che lo presenta appunto come un uomo misto di vizi e virtù: “ Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque (De coniuratione Catilinae, 5). Sarebbe stato tra l’altro un terrorista: “Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civiles grata fuere, ibique iuventutem suam exercuit. Vastus animus immoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat” .

Inoltre era un corruttore di giovani. Aveva la capacità di sedurli e insegnava loro a fare il male. Iuventutem (…) mala facinora edocebat (16)

 

Catilina attirava tutti scontenti della loro posizione socioeconomica: "omnino cuncta plebes, novarum rerum studio, Catilinae incepta probabat (…) Nam semper in civitate, quibus opes nullae sunt, bonis ìnvident, malos extollunt, vetera odere, nova exoptant odio suarum rerum, mutari omnia student, turba atque seditionibus sine cura aluntur, quoniam egestas facile habetur sine damno" (37)

Tutta quanta la plebe urbana, per amore di novità, favoriva l'impresa di Catilina (…) Infatti sempre in uno Stato quelli che non hanno mezzi invidiano gli ottimati, esaltano i malvagi, odiano le tradizioni antiche, bramano le novità per odio della popria condizione, desiderano sovvertire ogni cosa , si nutrono senza preoccupazione di insurrezione e ribellione poiché l’indigenza si possiede facilmente senza timore che venga danneggiata.

 

Alcibiade anticipa Catilina e anche l'esteta - seduttore di Kierkegaard , il seduttore sensuale ed estensivo, don Giovanni, "l'incarnazione della carne ovvero la spiritualizzazione della carne da parte dello spirito proprio della carne"[9] che vive di preda e ama "il casuale, l'accidentale", poiché "il sensuale è il momentaneo. Il sensuale cerca la soddisfazione istantanea, e quanto più è raffinato, tanto più sa trasformare l'istante del godimento in una piccola eternità"[10].

 

Anche  Andrea Sperelli del Piacere  di D'Annunzio può trovare un antenato in Alcibiade, soprattutto in quello della decadenza:"il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli manteneva nello spirito un certo equilibrio (....) Gli uomini d'intelletto, educati al culto della Bellezza, conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezione della Bellezza è, dirò così, l'asse  del loro essere interiore, intorno al quale tutte le passioni gravitano"[11].

 Sperelli stesso pensa di sè:"Io sono camaleontico , chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC . Sia fatta la volontà della legge"[12].

 

giovanni ghiselli

 



[1] Cfr. Dostoevskij, I demoni: “tutto ciò somigliava alla giovinezza del principe Harry che gozzovigliava con Falstaff” (p. 43). Lo dice Stepan Trofimovič a Varvara Petrovna a proposito del figlio di lei e allievo di lui Nikolaj Stavrogin  

[2]  Si tratta in realtà della scena 1 dell’atto II. Ndr.

[3] Egli,  premette Tacito (Annales, XVI, 18), di giorno dormiva  mentre passava la notte tra i doveri e i piaceri della vita, e come gli altri dall'operosità, quest'uomo era stato portato alla rinomanza dall'indolenza "habebaturque non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu", ed era considerato non un dissoluto o un dissipatore, come i più tra quelli che sperperano le proprie fortune, ma uno dalla voluttà raffinata. Petronio aveva scelto lo stile della  semplicità: "Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam  praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur  le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità. Insomma, come nel caso di Sofronia della Gerusalemme liberata, "le negligenze sue sono artifici" (II, 18).ndr.

[4] A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, pp. 220-221.

[5]Plutarco, Vita di Alcibiade,  23, 4- 5.

[6]Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium, Alcibiades ,   1, 4.

[7] Montaigne, Saggi, p. 221.

[8] Del 56 a. C.

[9] S. Kierkegaard, Enten-Eller (del 1843), Tomo Primo, p. 158.

[10]S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Quarto trad. it. Adelphi, Milano, 1981, p. 40..

[11]D'Annunzio, Il Piacere , Mondadori, Milano, 1990, pp. 42-43.

[12]D'Annunzio, Il Piacere , p. 278.

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