mercoledì 20 gennaio 2021

Euripide. 26

Vincenzo Di Benedetto
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Il politicante di razza antica eppure privo di lealtà e gratitudine è simile al demagogo immigrato, all’homo novus inquilinus civis urbis graecae.

La teoria della classe media. Talora servo e padrone si scambiano i ruoli. Euripide tuttavia non arriva a sostenere l’emancipazione. Parole contro la schiavitù invece si leggono in Antifonte sofista e in Alcidamante

 

Sentiamo le accuse che Menelao indirizza al fratello, capo della spedizione panellenica contro Troia, nell'Ifigenia in Aulide:

"lo sai: quando volevi ottenere il comando dei Danai contro Troia, senza ambirvi in apparenza, ma aspirandovi con la volontà, come eri umile, toccando ogni destra e tenendo aperte le porte per chi lo volesse tra i popolani, e davi udienza successivamente a tutti, anche se uno non la chiedeva, cercando con modi affettati di comprare dalla piazza quanto voleva la tua ambizione. Poi, da quando avesti in pugno il potere - ka\/t j ejpei; katevsce" ajrcav" , assunti altri modi, non eri più amico come prima agli amici di prima, ma inaccessibile e introvabile dentro i luoghi chiusi.

 L'uomo buono - a[ndra to;najgaqovn - quando si trova in auge non deve cambiare i costumi[1], anzi, soprattutto allora deve essere costante verso gli amici, quando, con la buona fortuna, è in grado di far loro del bene"(vv. 337 - 348).

 

Vediamo allora come si comporta l’uomo buono

Non manca il tipo della persona per bene.

Nell'Oreste c'è un galantuomo che difende i figli di Agamennone per i quali il demagogo aveva proposto la lapidazione: "Un altro, però, alzatosi, diceva cose contrarie a quello, era un uomo di aspetto non bello, però animoso, uno che di rado bazzica la città e il cerchio della piazza, un lavoratore in proprio (aujtourgov~), di quelli che, soli, salvano il paese, e pure intelligente, quando vuole scontrarsi con le parole, integro, che conduce una vita irreprensibile" (vv.917 - 922).

 

Vincenzo Di Benedetto da questi versi ricava una "teoria della classe media"[2] secondo la quale la solidarietà di Euripide va verso i piccoli proprietari terrieri.

 Anche nell'Elettra euripidea, il contadino cui è stata data in moglie la figlia di Agamennone, per umiliarla è: "un uomo povero, ma nobile e pieno di rispetto nei miei confronti"(v. 253), dice la stessa Elettra descrivendo la propria situazione al fratello il quale poi le chiede in che cosa consista il rispetto di questo marito anomalo. Ebbene, si tratta di un San Giuseppe greco poiché la ragazza risponde: “non ha mai osato toccare il mio letto”v. 255). 

Secondo D. Lanza[3] il tragediografo fu un asociale e socialmente provò solo simpatie, non solidarietà .

Anche per Di Benedetto del resto l'apertura verso il popolo è di corto respiro.

“E’ assolutamente impossibile annoverare Euripide tra le file degli oligarchi o dei democratici; si può invece affermare che il suo giudizio indipendente e rigoroso lo collocasse al di sopra dei partiti, come dimostra in particolare la notevole tetralogia delle Troiane”[4].

E' pur vero che servi e padroni[5] si scambiano, momentaneamente, i ruoli: personaggi di condizione servile possono partecipare all'azione in modo non subalterno ma determinante, come il vecchio che nell'Elettra prepara il riconoscimento tra i fratelli.

Viceversa, nella stessa tragedia, Elettra va ad attingere l'acqua con un vaso in testa: "Metti giù quest'urna, toglila via dal mio capo"(vv. 140 - 141) dice la protagonista a se stessa.

 Nell'Elena , Menelao compare sulla scena vestito di stracci (vv. 421 - 422).

Nell’esodo si trova l'espressione "per gli schiavi nobili"[6] gennaivoisi douvloi~, Elena, v. 1641) la cui morte più gloriosa sarebbe immolarsi per i padroni.

 

Nello Ione, il figlio di Apollo e Creusa, spazza il tempio[7] tutto il giorno da quando appare l’ala veloce del sole.

In questa tragedia il vecchio schiavo - pedagogo rivendica dignità a molte persone del suo ceto:"una sola cosa porta vergogna ai servi: il nome: in tutto il resto un servo non è per niente peggiore dei liberi, se è una persona per bene". (Ione, vv. 854 - 856).

 

Del resto non viene messa in discussione la sudditanza del servo il quale, anche se anche può essere un magnanimo o perfino uno che può dare giudizi, se parla meglio di chi comanda (cfr. Elena, v. 1637), deve comunque essere disposto all’abnegazione in pro del suo signore. Infatti lo schiavo dell’Elena sostiene davanti al suo re, Teoclimeno, che per gli schiavi nobili il gesto più glorioso è pro; despovtwnqanei'n ( vv. 1640 - 1641), morire per i padroni.

 

Antifonte sofista[8] nel Discorso sulla verità va oltre Euripide: denuncia come innaturali le differenze che le leggi e le usanze stabiliscono tra gli uomini.

"Le disposizioni delle leggi sono avventizie, quelle della natura necessarie. E quelle delle leggi dovute a un accordo non sono naturali. E quelle nate dalla natura non sono dovute a un accordo (…) La maggior parte delle determinazioni giuste secondo la legge si trovano in posizione ostile nei confronti della natura (…) quelli che provengono da una casata non illustre non li rispettiamo né onoriamo. In questo ci comportiamo come barbari gli uni verso gli altri. Infatti per natura, in tutto, tutti siamo costituiti per essere uguali barbari ed Elleni (…) tutti di fatto inspiriamo nell'aria attraverso la bocca e le narici e tutti mangiamo con le mani "[9].

Alcidamante in polemica con isocrate sostenne che la schiavitù non è naturale

Isocrate nel 366/365, o qualche tempo dopo, dedicò a questo tema il suo Archidamo , ponendo in bocca a questo principe, figlio di Agesilao, un discorso in cui si sconsiglia la pace, e si afferma che Sparta aveva pienamente diritto a ridurre i Messenii in schiavitù. 

“Con l'Archidamo il retore Isocrate può considerarsi lo "storico", per così dire, della mentalità schiavistica spartana in senso stretto (...) L'Archidamo di Isocrate è insomma proteso alla difesa dello schiavismo spartano su una base "storica ". Nelle Elleniche di Senofonte, invece, neanche una parola sulla fondazione di Messene. In apparenza Senofonte non si è posto il problema. Egli sapeva che il tema dello "schiavismo" spartano era oggetto di una grossa polemica, fra Isocrate e Alcidamante: questi aveva scritto il Messeniaco per mostrare, al contrario del suo eterno avversario Isocrate, che gli Spartani non avevano alcun diritto di tenere i Messenii in schiavitù. "Liberi tutti ci lasciò il dio" diceva Alcidamante; "la natura non ha fatto schiavo nessuno" (...)

Senofonte, socratico, non poteva essere del tutto indifferente a questi temi. Nell'Anabasi , scritta prima delle Elleniche , egli mostra un notevole disprezzo per un soldato d'origine servile, che vorrebbe rinunciare alla lotta (III, 1, 31), ma mostra altresì umanità nei riguardi di un altro mercenario, peltasta, anch'egli di origine servile (IV, 8, 4 ...) In ogni caso ha voluto evitare che il suo laconismo lo facesse apparire disumano: la polemica fra Isocrate e Alcidamante era una lezione cocente"[10].

 

giovanni ghiselli

 

 



[1] Seneca nell’Epistola 120 scrive:"maximum indicium est malae mentis fluctuatio (20)... Magnam rem puta unum hominem agere " (22), il massimo segno di un animo volto al male è l'ondeggiare...Considera grande cosa rappresentare sempre la stessa parte. 

[2] Euripide: teatro e società , p. 193 e sgg. Ne riferirò commentando la Medea dopo il v. 125.

[3] Lo spettatore sulla scena, Un titolo che echeggia Nietzsche, da La nascita della tragedia già più volte citata.

[4] J. G. Droysen, Aristofane, p. 220. La tetralogia era formata dalle tragedie Alessandro, Palamede, Troiane e dal dramma satiresco Sisifo. 

[5] Cfr. Di Benedetto, Euripide: teatro e società , capitolo decimo.

[6] Se ne trova un’eco in Terenzio: propterea quod servibas liberaliter (Andria, v. 38), poiché facevi lo schiavo con animo libero.

[7] Cfr. Ione, vv. 112 - 124, che costituiscono, si può quasi dire, un elogio della ramazza. 

[8] Attivo nella seconda metà del V secolo.

[9] Oxyrh. Pap. XI Fragmetum I

[10]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico , I vol., pp. 369 - 371.

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