NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 14 gennaio 2021

Euripide. 9

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Argomenti

Non tutti i testi di Euripide né tutti quelli di Platone confermano la prevalenza del razionalismo

Socrate e l’immortalità dell’anima. Socrate e il mito

Medea e Fedra: due personaggi di Euripide travolti dall’istinto

La preponderanza dei sentimenti sui ragionamenti in alcuni autori europei moderni

 

Il Socrate di Platone in effetti afferma di sentire una voce (fwnhv ti~, Apologia di Socrate, 31d) dissuadente: quando si manifesta ajei; ajpotrevpei me tou'to o} a]n mevllw pravttein, protrevpei de; ou[pote, mi distoglie sempre da quello che sto per fare, non mi esorta mai. Dunque un istinto che frena, non spinge avanti, un anti - istinto. 

Dover combattere gli istinti - ecco la formula della décadence: sino a che la vita si innalza, felicità è uguale a istinto”[1].

Socrate e l’immortalità dell’anima.

Il Socrate di Platone tuttavia fa anche affermazioni non ascrivibili al razionslismo.

Può essere rischioso credere nell’immortalità dell’anima, però il rischio è bello kalo;" ga;r oj kivnduno" dice nel Fedone (114d). Dopo avere bevuto la cicuta non resterò tra voi ma partirò andando verso certe felicità dei beati (ajll j oijchvsomai ajpiw;n eij" makavrwn dhv tina" eujdaimoniva"115d)

Fate capire a Critone che quando sarò morto, non sarò io a essere sepolto. Poi raccomanda la distinzione della farina dalla crusca linguistica che non dobbiamo mai dimenticare: “bisogna essere esatti nell’uso del linguaggio poiché non parlare bene non solo è una stonatura ma fa anche male all’anima:" euj ga;r i[sqi (…) a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e) sappi bene (…) ottimo Critone che parlare male non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.

  

Socrate e il mito 

Nel prologo del Fedro Socrate dice a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~), fuori posto che è (229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero: ejmoi; de; pro; ~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).

Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a). 

 

Medea e Fedra: due personaggi di Euripide travolti dall’istinto

 In diversi personaggi euripidei l’istinto e la passione prevalgono sulla ragione, sulla coscienza e sui propositi pensati. Lo vedremo in particolare nei personaggi di Medea ( Medea, v.1079) e di Fedra nell’Ippolito (vv.379 - 385).

L’esempio di Medea

La Medea di Euripide individua nel suo animo un conflitto tra la passione furente e i ragionamenti, quindi comprende che l'emotività, sebbene sia causa dei massimi mali, per gli uomini è più forte dei suoi propositi:" Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'""( vv. 1078 - 1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali", dirà la furente nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli . 

Un'eco lontana di questa situazione si trova nelle Metamorfosi di Ovidio dove Medea cerca di contrastare, senza successo, la passione per Giasone " et luctata diu, postquam ratione furorem/ vincere non poterat, "Frustra, Medea, repugnas." (VII, vv. 10 - 11), e dopo avere combattuto a lungo, dacché non poteva vincere la follia amorosa con la ragione, si disse "ti opponi invano, Medea".

 

L’esempio di Fedra 

Un'altra confutazione della supposta[2] sintonia e complicità tra Euripide e Socrate[3] la fornisce Fedra quando nell'Ippolito dice:"bisogna considerare questo:/il bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo nella fatica (oujk ejkponou'men: il bene topicamente costa povno" , fatica) , alcuni per infingardaggine (ajrgiva" u{po),/ alcuni anteponendogli qualche altro piacere./ E sono molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni, l'ozio, diletto cattivo[4], (scolhv, terpno;n kakovn) l'irrisolutezza (aijdwv" te, una forma brutta di aijdwv" ) "(vv.379 - 385).

"Conosciamo il bene, ma non lo facciamo”, diceva la Fedra di Euripide. Questa conoscenza Socrate cerca di rendere più solida, per conferirle così la forza dell'obbligatorietà"[5]. Una forza che Fedra non possiede.

 

Anche questa situazione ha un'eco nelle Metamorfosi di Ovidio dove Medea, pochi versi dopo quelli citati sopra, aggiunge:"sed trahit invitam nova vis, aliudque cupido,/mens aliud suadet: video meliora proboque/, deteriora sequor! quid in hospite, regia virgo,/ureris et thalamos alieni concipis orbis?" (VII, vv. 19 - 22), ma contro voglia mi trascina una forza mai sentita, altro consiglia il desiderio, altro la mente: vedo il meglio e l'approvo, seguo il peggio! Perché ragazza, figliola di re, ti infiammi per uno straniero, e desideri il talamo di un mondo estraneo? Un'eco precisa dei vv. 20 - 21 si trova alla fine della Canzone XXI del Petrarca:"cerco del viver mio novo consiglio;/e veggio 'l meglio et al peggior m'appiglio" (Il Canzoniere CCLXIV, vv. 135 - 136).

Nelle Heroides Medea alla fine della sua Epistula Iasoni dichiara:"Quo feret ira sequar. Facti fortasse pigebit " (Heroides , XII, 211), andrò dove mi porterà la rabbia. Forse mi pentirò del misfatto. Un pentimento presofferto ma non evitabile dal momento che la parte emotiva prevale su quella razionale e pure su quella etica.

  

 Euripide ha anticipato quello che ripeteranno diversi autori europei: che i ragionamenti spesso sono sentimenti travestiti.

 

"Nelle lunghe ore che egli passò là, inerte, ragionò anche una volta sui motivi che l'avevano indotto a lasciare Annetta, ma come sempre il suo ragionamento non era altro che il suo sentimento travestito"[6].

La discrepanza tra pavqo" e lovgo" , crea dolore in Alfonso Nitti:" Ad onta di tutti i ragionamenti rimase triste. Una volta di più, così raccontava a se stesso, quel fatto gli provava l'imbecillità della vita e non pensava in questo fatto al torto di Annetta o di Macario ma al proprio, di sentire in modo strano e irragionevole" (Svevo, Una vita, p. 284).

  

Secondo H. Hesse i sentimenti devono avere la precedenza:"Di nient'altro viviamo se non dei nostri sentimenti, poveri o belli o splendidi che siano, e ognuno di essi a cui facciamo torto è una stella che noi spengiamo"[7].

 

Nel romanzo di Musil leggiamo:"Tutto ciò che si pensa è simpatia o antipatia, si disse Ulrich"[8].

 

Luogo simile si trova anche in La noia di Moravia:"Ma tutte le nostre riflessioni, anche le più razionali, sono originate da un dato oscuro del sentimento"[9]

 

Infine un ottimo scrittore ungherese :“ Sa che cosa ha fatto? Ha cercato di cancellare il sentimento con la ragione. Come se qualcuno, con i più svariati artifici, tentasse di convincere un pezzo di dinamite a non esplodere”[10].

 

giovanni ghiselli

 



[1]F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli (del 1888), Il problema di Socrate, 11.

[2] Da Nietzsche appunto che definisce il maestro di Platone un logico dispotico:" Basta pensare alle conseguenze delle proposizioni socratiche: "La virtù è il sapere; si pecca solo per ignoranza; il virtuoso è felice"; in queste tre forme fondamentali di ottimismo sta la morte della tragedia" (La nascita della tragedia, capitolo 14). Alla fine delle Rane di Aristofane, dopo che Dioniso ha attribuito la vittoria a Eschilo nella contesa con Euripide, il Coro afferma che è una bella cosa non stare seduto a cianciare (lalei'n) con Socrate disprezzando la musica e trascurando la grandezza dell'arte tragica (vv. 1491 - 1495) 

[3] Il quale nell'opera di Platone sostiene che facciamo il male per ignoranza del bene, e, se solo conosciamo il bene. non possiamo fare il male.

[4] Il piacere dell'ozio come sirena che distoglie dal fare cose egregie è denunciato anche da Tacito nell'Agricola: "subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur " (3), infatti si insinua anche il piacere della stessa passività, e alla fine si ama l'accidia dapprima odiosa.

L'ozio che fa male si trova pure nel carme 51 di Catullo: "Otium, Catulle, tibi molestum est (v.13), lo star senza far niente ti fa male, Catullo.

[5] Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 186.

[6]Svevo, Una Vita , p. 239.

[7] L'ultima estate di Klingsor, p.55.

[8] Musil, L'uomo senza qualità , p. 210.

[9] Moravia, La Noia , p. 19.

[10]Sàndor Màrai, La donna giusta (del 1941), p. 78.

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