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Argomenti
Non tutti i testi di Euripide né tutti quelli di Platone confermano la
prevalenza del razionalismo
Socrate e l’immortalità dell’anima. Socrate e il mito
Medea e Fedra: due personaggi di Euripide travolti dall’istinto
La preponderanza dei sentimenti sui ragionamenti in alcuni autori europei
moderni
Il Socrate
di Platone in effetti afferma di sentire una voce (fwnhv ti~, Apologia di Socrate,
31d) dissuadente: quando si manifesta ajei; ajpotrevpei me tou'to o} a]n
mevllw pravttein, protrevpei de; ou[pote, mi distoglie sempre da quello che sto per fare, non
mi esorta mai. Dunque un istinto che frena, non spinge avanti, un anti - istinto.
“Dover combattere
gli istinti - ecco la formula della décadence: sino a che la vita si innalza,
felicità è uguale a istinto”[1].
Socrate e
l’immortalità dell’anima.
Il Socrate
di Platone tuttavia fa anche affermazioni non ascrivibili al razionslismo.
Può essere
rischioso credere nell’immortalità dell’anima, però il rischio è bello kalo;"
ga;r oj kivnduno" dice
nel Fedone (114d). Dopo avere bevuto la cicuta non resterò tra
voi ma partirò andando verso certe felicità dei beati (ajll j
oijchvsomai ajpiw;n eij" makavrwn dhv tina" eujdaimoniva"115d)
Fate capire
a Critone che quando sarò morto, non sarò io a essere sepolto. Poi raccomanda
la distinzione della farina dalla crusca linguistica che non dobbiamo mai
dimenticare: “bisogna essere esatti nell’uso del linguaggio poiché non parlare
bene non solo è una stonatura ma fa anche male all’anima:" euj ga;r i[sqi
(…) a[riste Krivtwn,
to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev",
ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e) sappi bene (…) ottimo
Critone che parlare male non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del
male nelle anime.
Socrate e il
mito
Nel prologo
del Fedro Socrate dice a Fedro che se non credesse al mito di
Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~), fuori posto che è (229c). Potrei
dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle
rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve
raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le
stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero: ejmoi; de; pro;
~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).
Io non sono
ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv
moi faivnetai indagare
cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me
stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più
intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per
natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a).
Medea e
Fedra: due personaggi di Euripide travolti dall’istinto
In diversi personaggi euripidei l’istinto e la
passione prevalgono sulla ragione, sulla coscienza e sui propositi pensati. Lo
vedremo in particolare nei personaggi di Medea ( Medea, v.1079) e
di Fedra nell’Ippolito (vv.379 - 385).
L’esempio di
Medea
La Medea
di Euripide individua nel
suo animo un conflitto tra la passione furente e i ragionamenti, quindi
comprende che l'emotività, sebbene sia causa dei massimi mali, per gli uomini è
più forte dei suoi propositi:" Kai;
manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - o{sper megivstwn
ai[tio" kakw'n brotoi'""( vv. 1078 - 1080), capisco quale abominio sto
per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei
mali più grandi per i mortali", dirà la furente nel quinto episodio dopo
avere preso la decisione folle di uccidere i figli .
Un'eco
lontana di questa situazione si trova nelle Metamorfosi di
Ovidio dove Medea cerca di contrastare, senza successo, la passione per Giasone
" et luctata diu, postquam ratione furorem/ vincere non poterat,
"Frustra, Medea, repugnas." (VII, vv. 10 - 11), e dopo avere
combattuto a lungo, dacché non poteva vincere la follia amorosa con la ragione,
si disse "ti opponi invano, Medea".
L’esempio di
Fedra
Un'altra
confutazione della supposta[2] sintonia e complicità tra Euripide e
Socrate[3] la fornisce Fedra quando nell'Ippolito
dice:"bisogna considerare questo:/il bene lo conosciamo e
riconosciamo,/ma non lo costruiamo nella fatica (oujk
ejkponou'men: il bene
topicamente costa povno" , fatica) , alcuni per infingardaggine (ajrgiva"
u{po),/ alcuni
anteponendogli qualche altro piacere./ E sono molti i piaceri della
vita:/lunghe conversazioni, l'ozio, diletto cattivo[4], (scolhv, terpno;n kakovn) l'irrisolutezza (aijdwv" te, una forma brutta di aijdwv" ) "(vv.379 - 385).
"Conosciamo
il bene, ma non lo facciamo”, diceva la Fedra di Euripide. Questa conoscenza
Socrate cerca di rendere più solida, per conferirle così la forza
dell'obbligatorietà"[5]. Una forza che Fedra non possiede.
Anche questa
situazione ha un'eco nelle Metamorfosi di Ovidio dove Medea,
pochi versi dopo quelli citati sopra, aggiunge:"sed trahit invitam nova
vis, aliudque cupido,/mens aliud suadet: video meliora proboque/, deteriora sequor! quid in hospite, regia
virgo,/ureris et thalamos alieni concipis orbis?" (VII, vv. 19 - 22),
ma contro voglia mi trascina una forza mai sentita, altro consiglia il
desiderio, altro la mente: vedo il meglio e l'approvo, seguo il peggio! Perché
ragazza, figliola di re, ti infiammi per uno straniero, e desideri il talamo di
un mondo estraneo? Un'eco precisa dei vv. 20 - 21 si trova alla fine della
Canzone XXI del Petrarca:"cerco del viver mio novo consiglio;/e veggio 'l
meglio et al peggior m'appiglio" (Il Canzoniere CCLXIV, vv.
135 - 136).
Nelle Heroides Medea
alla fine della sua Epistula Iasoni dichiara:"Quo feret ira
sequar. Facti fortasse pigebit " (Heroides , XII,
211), andrò dove mi porterà la rabbia. Forse mi pentirò del misfatto. Un
pentimento presofferto ma non evitabile dal momento che la parte emotiva
prevale su quella razionale e pure su quella etica.
Euripide ha anticipato quello che ripeteranno
diversi autori europei: che i ragionamenti spesso sono sentimenti travestiti.
"Nelle
lunghe ore che egli passò là, inerte, ragionò anche una volta sui motivi che
l'avevano indotto a lasciare Annetta, ma come sempre il suo ragionamento non
era altro che il suo sentimento travestito"[6].
La
discrepanza tra pavqo" e lovgo" , crea dolore in Alfonso
Nitti:" Ad onta di tutti i ragionamenti rimase triste. Una volta di più,
così raccontava a se stesso, quel fatto gli provava l'imbecillità della vita e
non pensava in questo fatto al torto di Annetta o di Macario ma al proprio, di
sentire in modo strano e irragionevole" (Svevo, Una vita, p.
284).
Secondo
H. Hesse i sentimenti
devono avere la precedenza:"Di nient'altro viviamo se non dei nostri
sentimenti, poveri o belli o splendidi che siano, e ognuno di essi a cui
facciamo torto è una stella che noi spengiamo"[7].
Nel romanzo di Musil leggiamo:"Tutto ciò
che si pensa è simpatia o antipatia, si disse Ulrich"[8].
Luogo simile
si trova anche in La noia di Moravia:"Ma tutte le nostre riflessioni, anche le più
razionali, sono originate da un dato oscuro del sentimento"[9].
Infine un
ottimo scrittore ungherese :“ Sa che cosa ha fatto? Ha cercato di cancellare il
sentimento con la ragione. Come se qualcuno, con i più svariati artifici,
tentasse di convincere un pezzo di dinamite a non esplodere”[10].
giovanni
ghiselli
[1]F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli (del
1888), Il problema di Socrate, 11.
[2] Da Nietzsche appunto che definisce il
maestro di Platone un logico dispotico:" Basta pensare alle conseguenze
delle proposizioni socratiche: "La virtù è il sapere; si pecca solo per
ignoranza; il virtuoso è felice"; in queste tre forme fondamentali di
ottimismo sta la morte della tragedia" (La nascita della
tragedia, capitolo 14). Alla fine delle Rane di
Aristofane, dopo che Dioniso ha attribuito la vittoria a Eschilo nella contesa
con Euripide, il Coro afferma che è una bella cosa non stare seduto a cianciare
(lalei'n) con
Socrate disprezzando la musica e trascurando la grandezza dell'arte tragica
(vv. 1491 - 1495)
[3] Il quale nell'opera di Platone
sostiene che facciamo il male per ignoranza del bene, e, se solo conosciamo il
bene. non possiamo fare il male.
[4] Il piacere
dell'ozio come sirena che distoglie dal fare cose egregie è denunciato anche da
Tacito nell'Agricola: "subit quippe etiam ipsius inertiae
dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur " (3), infatti
si insinua anche il piacere della stessa passività, e alla fine si ama
l'accidia dapprima odiosa.
L'ozio che fa male si trova pure nel carme 51 di Catullo: "Otium,
Catulle, tibi molestum est (v.13), lo star senza far niente ti fa
male, Catullo.
[5] Snell, La cultura greca e le
origini del pensiero europeo , p. 186.
[6]Svevo, Una Vita , p. 239.
[7] L'ultima estate di Klingsor,
p.55.
[8] Musil, L'uomo senza qualità ,
p. 210.
[9] Moravia, La Noia , p. 19.
[10]Sàndor Màrai, La donna giusta (del
1941), p. 78.
Mtizaadto Mike Allen https://wakelet.com/wake/vDtMtHksOdCs2AS8pS5mo
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