lunedì 18 gennaio 2021

Euripide. 19

Argomenti 

La poetica delle lacrime che consolano gli infelici.  La miseria del potere che procura solo affanni

 

Il pianto in alcune tragedie di Euripide dà una strana consolazione

 

Ciò che stimola Euripide a comporre è il carattere patetico del soggetto: al drammaturgo ateniese, come a Virgilio, interessano le situazioni che grondano lacrime.

Il pianto, al pari della poesia, può dare una strana consolazione: lo afferma il coro delle donne troiane prigioniere: "come sono dolci le lacrime (wJ~ hJdu; davkrua) per quelli che vivono male, e i lamenti dei pianti e una musa che narri il dolore" (Troiane ,vv. 608 - 609).

La razionalità viene sopraffatta dal patetico e dal pianto che può essere piacevole:"avanti, ridesta lo stesso lamento, solleva il piacere che viene dalle molte lacrime" (Elettra , vv. 125 - 126). E’ Elettra che parla con se stesa.

Nell'Elena, Menelao afferma: "le lacrime sono la mia gioia: hanno più dolcezza che dolore[1] "(654 - 655).

 

“Il realismo di Euripide fu odioso a Sofocle. Quelle cascate di calde lacrime non avevano musica per lui”[2]

 

 Nella Medea troviamo una dichiarazione di poetica che collega gli affanni alla poesia: questa dovrebbe avere una funzione consolatoria del dolore: “nessuno trovò il modo di fare cessare con la poesia e con i canti dai molti toni gli odiosi affanni dei mortali” (vv.195 - 197).

“Non è casuale che alla perdita di contatto con la realtà politica del suo tempo si accompagnasse in Euripide una sempre più decisa teorizzazione di una poetica che poneva al centro della creazione tragica lo sfogo del personaggio attraverso il pianto”[3].

Certo è che in Euripide ricorre spesso la fuga dai luoghi e dai tempi, insomma dalla storia quale "favola mentita", con un'anticipazione del lavqe biwvsa~ di Epicuro.

 

La miseria del potere

Ione sostiene la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o tesa al potere che viene smontato[4] :"del potere lodato a torto/l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo/c'è il dolore (tajn dovmoisi de; - luphrav): chi infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e guardando di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn), trascina/il corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto che essendo tiranno ("dhmovth" a]n eujtuch;" - zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno" w[n"),/il quale si compiace di avere amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di attentati " (Ione, vv. 621 - 628).

 

E' questa un'affermazione ricorrente nell'opera euripidea: torna nell' Ifigenia in Aulide dove lo stesso Agamennone, richiesto di sacrificare la vita della primogenita , dice a un vecchio servo:" ti invidio, vecchio,/invidio tra gli uomini quello che passa una vita/senza pericoli, ignorato, oscuro (ajgnw;" ajklehv" );/ quelli che stanno tra gli onori li invidio di meno"(17 - 20).

 

Si apre la strada all’Ellenismo: nel mito[5] di Er della Repubblica di Platone, l'anima di Odisseo, dovendo scegliersi un'altra vita "guarita da ogni ambizione per il ricordo degli antichi travagli, andò in giro a lungo cercando la vita di un uomo privato e disimpegnato"(62Oc).

 

Il secondo coro del Tieste di Seneca (cfr. v. 542 - 544) conclude anteponendo alla vita dell'uomo famoso e di potere quella del privato e augurandosi di morire ignoto agli altri, ma noto a se stesso: "me dulcis saturet quies:/obscuro positus loco,/leni perfruar otio;/nullis nota Quiritibus/aetas per tacitum fluat./Sic cum transierint mei/nullo cum strepitu dies,/plebeius moriar senex./Illi mors gravis incubat,/qui, notus nimis omnibus,/ignotus moritur sibi " (Thyestes, vv. 393 - 403), mi sazi una dolce tranquillità: rifugiato in un luogo sconosciuto, possa godere di un dolce tempo tutto per me; la mia vita trascorra in silenzio sconosciuta a tutti i cittadini. Così quando saranno passati i miei giorni senza chiasso alcuno, morirò vecchio uno dei tanti. La morte pesa grave su chi troppo noto a tutti, muore ignoto a se stesso.

Il potere e la rinomanza secondo questi vecchi Micenei non sono dei beni.

  

Con le ultime tragedie di Euripide dunque comincia il distacco dalla storia e dalla politica. Eppure a volte si trovano forme di eroismo, quali il sacrificio alla patria o alla famiglia, di una giovane vita come quella di Ifigenia, o di Alcesti , o di Polissena[6] , o di Macaria[7] la figlia di Eracle negli Eraclidi , o di Meneceo, figlio di Creonte nelle Fenicie (997 - 998) . Giovani che muoiono ante diem e muovono la commozione di Euripide, come poi quella di Virgilio. Si tratta di eroismi improvvisi fondati non su abitudine morale ma su entusiasmi e slanci che magari succedono alla paura, come nel caso di Ifigenia, o allo scetticismo. Aristotele infatti, si ricorderà, trova il difetto di una scarsa coerenza nella protagonista dell’Ifigenia in Aulide (Poetica 1454a, 31).

Aristotele biasima anche la malvagità di Menelao nell’Oreste, non giustificata da alcuna necessità artistica.

 

giovanni ghiselli

 

  

 

 



[1] C’è il piacere della confusione e mescolanza dei sentimenti, la voluttà delle lacrime che è reperibile in D'Annunzio, se vogliamo trovare in Euripide gli archetipi della letteratura decadente. In L’innocente , Tullio Hermil ebbro di bontà e di amore per Giuliana prima di scoprirla impura, ne beve le lacrime con felice voluttà:" - Oh, lasciami bere - io pregai. E, rilevandomi, accostai le mie labbra ai suoi cigli, le bagnai nel suo pianto" (p. 145.)

[2] O. Wilde, Il critico come artista in Oscar Wilde, Opere, p. 319.

[3] V. di Benedetto, Euripide: teatro e società, p. 228.

[4] Il potere verrà demonizzato del tutto da Seneca, " per questo uomo di potere…il potere è un nucleo irriducibile di male - insieme fatto e subìto, avviluppato nelle rispondenze tra violenza oggettiva e angoscia soggettiva" G. Paduano (a cura di), Edipo, p. 9.

[5] Il mito è sempre una "immagine concentrata del mondo" (Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 151).

[6] Nell’Ecuba.

[7] Macaria, come Antigone, rinuncia alle nozze e alla vita per i fratelli (Eraclidi, 579 - 580).

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