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La poetica delle lacrime che consolano gli
infelici. La miseria del potere che procura solo affanni
Il pianto in alcune tragedie di Euripide dà una strana consolazione
Ciò che
stimola Euripide a comporre è il carattere patetico del soggetto: al
drammaturgo ateniese, come a Virgilio, interessano le situazioni che grondano
lacrime.
Il pianto,
al pari della poesia, può dare una strana consolazione: lo afferma il coro
delle donne troiane prigioniere: "come sono dolci le lacrime (wJ~ hJdu;
davkrua) per quelli
che vivono male, e i lamenti dei pianti e una musa che narri il dolore" (Troiane ,vv.
608 - 609).
La
razionalità viene sopraffatta dal patetico e dal pianto che può essere
piacevole:"avanti, ridesta lo stesso lamento, solleva il piacere che viene
dalle molte lacrime" (Elettra , vv. 125 - 126). E’ Elettra che
parla con se stesa.
Nell'Elena,
Menelao afferma: "le lacrime sono la mia gioia: hanno più dolcezza che
dolore[1] "(654 - 655).
“Il realismo
di Euripide fu odioso a Sofocle. Quelle cascate di calde lacrime non avevano
musica per lui”[2].
Nella Medea troviamo una dichiarazione
di poetica che collega gli affanni alla poesia: questa dovrebbe avere una
funzione consolatoria del dolore: “nessuno trovò il modo di fare cessare con la poesia e
con i canti dai molti toni gli odiosi affanni dei mortali” (vv.195 - 197).
“Non è casuale che alla perdita di contatto con la realtà politica del suo
tempo si accompagnasse in Euripide una sempre più decisa teorizzazione di una
poetica che poneva al centro della creazione tragica lo sfogo del personaggio
attraverso il pianto”[3].
Certo è che in Euripide ricorre spesso la fuga dai luoghi e dai tempi,
insomma dalla storia quale "favola mentita", con un'anticipazione
del lavqe biwvsa~ di Epicuro.
La miseria del potere
Ione sostiene la superiorità della vita ritirata su quella
impegnata o tesa al potere che viene smontato[4] :"del
potere lodato a torto/l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo/c'è il dolore (tajn dovmoisi
de; - luphrav): chi infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e
guardando di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn), trascina/il corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice
piuttosto che essendo tiranno ("dhmovth" a]n eujtuch;" - zh'n
a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno" w[n"),/il
quale si compiace di avere amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di
attentati " (Ione, vv. 621 - 628).
E' questa un'affermazione ricorrente nell'opera euripidea: torna
nell' Ifigenia in Aulide dove lo stesso Agamennone, richiesto
di sacrificare la vita della primogenita , dice a un vecchio servo:" ti
invidio, vecchio,/invidio tra gli uomini quello che passa una vita/senza
pericoli, ignorato, oscuro (ajgnw;" ajklehv" );/ quelli che stanno tra gli onori li invidio di meno"(17 - 20).
Si apre la strada all’Ellenismo: nel mito[5] di
Er della Repubblica di Platone, l'anima di Odisseo, dovendo scegliersi
un'altra vita "guarita da ogni ambizione per il ricordo degli antichi
travagli, andò in giro a lungo cercando la vita di un uomo privato e
disimpegnato"(62Oc).
Il secondo coro del Tieste di Seneca (cfr. v. 542 - 544)
conclude anteponendo alla vita dell'uomo famoso e di potere quella del privato
e augurandosi di morire ignoto agli altri, ma noto a se stesso: "me
dulcis saturet quies:/obscuro positus loco,/leni perfruar otio;/nullis nota
Quiritibus/aetas per tacitum fluat./Sic cum transierint mei/nullo cum strepitu
dies,/plebeius moriar senex./Illi
mors gravis incubat,/qui, notus nimis omnibus,/ignotus moritur sibi "
(Thyestes, vv. 393 - 403), mi sazi una dolce tranquillità: rifugiato in
un luogo sconosciuto, possa godere di un dolce tempo tutto per me; la mia vita
trascorra in silenzio sconosciuta a tutti i cittadini. Così quando saranno
passati i miei giorni senza chiasso alcuno, morirò vecchio uno dei tanti. La
morte pesa grave su chi troppo noto a tutti, muore ignoto a se stesso.
Il potere e la rinomanza secondo questi vecchi Micenei non sono dei beni.
Con le ultime tragedie di Euripide dunque comincia il distacco dalla storia
e dalla politica. Eppure a volte si trovano forme di eroismo, quali il
sacrificio alla patria o alla famiglia, di una giovane vita come quella di
Ifigenia, o di Alcesti , o di Polissena[6] ,
o di Macaria[7] la
figlia di Eracle negli Eraclidi , o di Meneceo, figlio di
Creonte nelle Fenicie (997 - 998) . Giovani che muoiono ante diem e muovono
la commozione di Euripide, come poi quella di Virgilio. Si tratta di eroismi
improvvisi fondati non su abitudine morale ma su entusiasmi e slanci che magari
succedono alla paura, come nel caso di Ifigenia, o allo scetticismo. Aristotele
infatti, si ricorderà, trova il difetto di una scarsa coerenza nella
protagonista dell’Ifigenia in Aulide (Poetica 1454a, 31).
Aristotele biasima anche la malvagità di Menelao nell’Oreste, non giustificata da alcuna
necessità artistica.
giovanni ghiselli
[1] C’è il piacere
della confusione e mescolanza dei sentimenti, la voluttà delle lacrime che è
reperibile in D'Annunzio, se vogliamo trovare in Euripide gli archetipi della
letteratura decadente. In L’innocente , Tullio Hermil ebbro di
bontà e di amore per Giuliana prima di scoprirla impura, ne beve le lacrime con
felice voluttà:" - Oh, lasciami bere - io pregai. E, rilevandomi, accostai
le mie labbra ai suoi cigli, le bagnai nel suo pianto" (p. 145.)
[2] O. Wilde, Il critico come
artista in Oscar Wilde, Opere, p. 319.
[3] V. di Benedetto, Euripide:
teatro e società, p. 228.
[4] Il potere verrà demonizzato del tutto
da Seneca, " per questo uomo di potere…il potere è un nucleo irriducibile
di male - insieme fatto e subìto, avviluppato nelle rispondenze tra violenza
oggettiva e angoscia soggettiva" G. Paduano (a cura di), Edipo,
p. 9.
[5] Il mito è sempre una "immagine
concentrata del mondo" (Nietzsche, La nascita della tragedia,
p. 151).
[6] Nell’Ecuba.
[7] Macaria, come Antigone, rinuncia alle nozze e alla vita per i fratelli (Eraclidi, 579 - 580).
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