PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIEric Robertson Dodds
Argomenti
Euripide è pro o contro Dioniso? Poi: è razionalista o irrazionalista? Due pareri autorevoli: Eric Dodds e Gilbert Murray
Il primo stasimo già citato sopra
(Euripide 38) sembra una scelta delle credenze popolari, contro i sofismi e il
pretenzioso sapere degli intellettuali.
Sentiamo Eric Dodds: “To ask whether Euripides ‘believed in’ this
Aphrodite is a meaningless as to ask whether he ‘believed’ in sex. It is not
otherwise with Dionysus. As the “moral” of the Hippolytus is that sex is a
thing about which you cannot afford to make mistakes, so the ‘moral’ of the
Bacchae is that we ignore at our peril the demand of the human spirit for
Dionysiac experience. For those who do not close their minds against it such
experience can be a deep source of spiritual power and eujdaimoniva. But those who repress the demand in themselves or refuse their
satisfaction to others transform it by their act into a power of disintegration
and destruction, a blind natural force that sweeps away the innocent with the
guilty. When that has happened, it is too late to reason or to plead: in man’ s
justice there is room for pity, but there is none in the justice of Nature (…)
If this or something like it is the thought underlying the play, it follows
that the flat - footed question posed by the nineteenth - century critics - was
Euripides ‘for’ Dionysus or ‘against’ him? - admits no answer in those therms.
In himself, Dionysus is beyond good and evil; for us, as Teiresias says (314 -
318), he is what we make of him (…) His favourite method is to take a one -
sided point of view, a noble half - truth, to exhibit its nobility, and then to
exhibit the disaster to which it leads its blind adherents because it is after
all only part of the truth[1] (…) It is thus that he shows us in the Hippolytus the beauty and the
narrow insufficiency of the ascetic ideal, in the Heracles the splendour of
bodily strength and courage and its toppling over into megalomania an ruin; it
is thus that in his revenge plays - Medea, Hecuba, Electra –the spectator’ s
sympathy is first enlisted for the avenger and then made to extend to the
avenger’s victims. The Bacchae is constructed on the same principle: the poet
has neither belittled the joyful release of vitality which Dionysiac experience
brings nor softened the animal horror of ‘black’ maenadism; deliberatly he
leads his audience through the whole gamut of emotions, from sympathy with the
persecuted god, trough the excitement of the palace miracles and the gruesome
tragi - comedy of the toilet scene, to share in the end the revulsion of Cadmus
against this inhuman jiustice. It is a mistake to ask what he is trying to
‘prove’: his concern in this as in all his major plays is not to prove anything
but to enlarge our sensibility - which is, as Dr. Johnson said, the proper
concern of a poet” [2], chiedere
se Euripide ‘credeva in’ questa Afrodite è una domanda senza
senso, come chiedere se egli ‘credeva nel’ sesso. Non è diverso con Dioniso. Come la
‘morale’ dell’Ippolito è che il sesso è una cosa sulla quale non ci
si può permettere di fare errori, così la ‘morale’ delle Baccanti è
che noi ignoriamo a nostro pericolo l’esigenza dello spirito umano di
esperienza dionisiaca[3]. Per quelli che non le oppongono una barriera
mentale, tale esperienza può essere una sorgente profonda di potenza spirituale
e di felicità. Ma quelli che reprimono l’esigenza in se stessi o ne rifiutano
l’appagamento in altri, la trasformano con il loro atto in una potenza che disintegra
e distrugge, una forza cieca e naturale che spazza via l’innocente con il
colpevole. Quando questo è accaduto, è troppo tardi per ragionare o perorare:
nella giustizia dell’uomo c’è spazio per la pietà, ma non ce n’è nella
giustizia di Natura [4] (…)
Se questo pensiero, o uno del
genere, è quello che si trova alla base del dramma, ne consegue che la
questione di lana caprina - Euripide stava ‘per’ Dioniso o era ‘contro’ di lui?
- non ammette risposta in questi termini. In sé Dioniso è al di là del bene e
del male; per noi, come dice Tiresia (314 - 318[5]), egli è quello che noi facciamo di lui (…) Il metodo
favorito di Euripide è prendere un punto di vista unilaterale, una nobile mezza
- verità, mettere in mostra la sua nobiltà, poi mettere in mostra il disastro
al quale essa conduce i suoi ciechi seguaci - poiché è dopo tutto solo una
parte della verità[6]. E’ così che egli ci mostra nell’Ippolito la
bellezza e la stretta insufficienza dell’ideale ascetico, nell’Eracle lo
splendore della forza corporea e del coraggio e il suo inciampare nella
megalomania e rovina; ed è così che nei suoi drammi della vendetta - Medea,
Ecuba, Elettra - la simpatia dello spettatore è prima associata al
vendicatore, poi fatta passare alle vittime del vendicatore. Le Baccanti sono
costruite sullo stesso principio: il poeta non ha né sminuito la gioiosa
liberazione di vitalità che l’esperienza dionisiaca comporta, né attenuato
l’orrore bestiale del menadismo ‘nero’; deliberatamente egli conduce il suo
pubblico attraverso tutta la gamma di emozioni, dalla simpatia con il dio
perseguitato, attraverso l’agitazione dei miracoli del palazzo e la spaventosa
tragicommedia della scena del travestimento, per condividere alla fine la
reazione di Cadmo contro la non umana giustizia. E’ un errore chiedersi che
cosa egli stia tentando di ‘provare’: il suo interesse in questo come in tutte
le sue tragedie maggiori non è provare qualcosa ma allargare la nostra
sensibilità - che è, come ha detto il Dottor Johnson, l’interesse proprio del
poeta.
Murray: Euripide è un indagatore e rappresenta tanto il razionalismo quanto
l’irrazionalismo:“Euripides was both a reasoner and a poet. The two sides of his nature sometimes clashed and sometimes blended”[7], Euripide fu sia un ragionatore, sia un poeta. I due lati della sua natura talvolta
si scontrarono e talora si armonizzarono.
giovanni ghiselli
[1] Cf.
Murray, Euripides and His Age, 187.
[2] E. R. Dodds, Euripides Bacchae, pp. xlv - xlvii.
[3] La componente istintiva, prima repressa, poi
scatenata verso la distruzione, mai applicata all'incremento della vita, porta
Gustav Aschenbach alla morte, preannunciata da una fantasia onirica memore dei
riti orgiastici delle Baccanti:" Al ritmo dei timpani si
squassava il suo cuore, il cervello vorticava; ira accecamento, stordimento
voluttuoso invadevano la sua anima, smaniosa di accordarsi al tripudio del dio.
Ed ecco, enorme, ligneo, scoprirsi e innalzarsi l'osceno simbolo; a quella
vista tra sfrenati clamori, tutti gridarono la formula rituale e con la schiuma
alle labbra si precipitarono in un'orgia pazzesca. Ridenti, singhiozzanti, si
eccitavano a vicenda con gesti sconci e carezze lubriche, e si cacciavano l'un
l'altro i pungoli nelle carni, leccando il sangue che colava sulle
membra". T. Mann, La morte a Venezia (del 1913) p. 139. Ndr.
[4]" La natura è aristocratica, più aristocratica di
qualsiasi società feudale basata sulle caste" Schopenhauer, Parerga
e paralipomena (del 1851), Tomo I, p. 275.
[5] Non sarà Dioniso a costringere le donne a essere/caste
nei confronti di Cipride, ma nel temperamento/(sta sempre l'essere casto in
tutte le occasioni sempre)/a questo bisogna pensare: e infatti anche nei
baccanali/quella che è casta non si guasterà (Baccanti, 314 318) ndr.
[6] Cf. Murray, Euripide e i suoi tempi,
trad. it. Laterza, Bari, 1932.
[7] G. Murray, Euripides and his age, p. 197.
Nessun commento:
Posta un commento