domenica 24 gennaio 2021

Euripide. 40

Eric Robertson Dodds
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Euripide è pro o contro Dioniso? Poi: è razionalista o irrazionalista? Due pareri autorevoli: Eric Dodds e Gilbert Murray

 

Il primo stasimo già citato sopra (Euripide 38) sembra una scelta delle credenze popolari, contro i sofismi e il pretenzioso sapere degli intellettuali.

 

Sentiamo Eric Dodds: “To ask whether Euripides ‘believed in’ this Aphrodite is a meaningless as to ask whether he ‘believed’ in sex. It is not otherwise with Dionysus. As the “moral” of the Hippolytus is that sex is a thing about which you cannot afford to make mistakes, so the ‘moral’ of the Bacchae is that we ignore at our peril the demand of the human spirit for Dionysiac experience. For those who do not close their minds against it such experience can be a deep source of spiritual power and eujdaimoniva. But those who repress the demand in themselves or refuse their satisfaction to others transform it by their act into a power of disintegration and destruction, a blind natural force that sweeps away the innocent with the guilty. When that has happened, it is too late to reason or to plead: in man’ s justice there is room for pity, but there is none in the justice of Nature (…) If this or something like it is the thought underlying the play, it follows that the flat - footed question posed by the nineteenth - century critics - was Euripides ‘for’ Dionysus or ‘against’ him? - admits no answer in those therms. In himself, Dionysus is beyond good and evil; for us, as Teiresias says (314 - 318), he is what we make of him (…) His favourite method is to take a one - sided point of view, a noble half - truth, to exhibit its nobility, and then to exhibit the disaster to which it leads its blind adherents because it is after all only part of the truth[1] (…) It is thus that he shows us in the Hippolytus the beauty and the narrow insufficiency of the ascetic ideal, in the Heracles the splendour of bodily strength and courage and its toppling over into megalomania an ruin; it is thus that in his revenge plays - Medea, Hecuba, Electra –the spectator’ s sympathy is first enlisted for the avenger and then made to extend to the avenger’s victims. The Bacchae is constructed on the same principle: the poet has neither belittled the joyful release of vitality which Dionysiac experience brings nor softened the animal horror of ‘black’ maenadism; deliberatly he leads his audience through the whole gamut of emotions, from sympathy with the persecuted god, trough the excitement of the palace miracles and the gruesome tragi - comedy of the toilet scene, to share in the end the revulsion of Cadmus against this inhuman jiustice. It is a mistake to ask what he is trying to ‘prove’: his concern in this as in all his major plays is not to prove anything but to enlarge our sensibility - which is, as Dr. Johnson said, the proper concern of a poet” [2], chiedere se Euripide ‘credeva in’ questa Afrodite è una domanda senza senso, come chiedere se egli ‘credeva nel’ sesso. Non è diverso con Dioniso. Come la ‘morale’ dell’Ippolito è che il sesso è una cosa sulla quale non ci si può permettere di fare errori, così la ‘morale’ delle Baccanti è che noi ignoriamo a nostro pericolo l’esigenza dello spirito umano di esperienza dionisiaca[3]. Per quelli che non le oppongono una barriera mentale, tale esperienza può essere una sorgente profonda di potenza spirituale e di felicità. Ma quelli che reprimono l’esigenza in se stessi o ne rifiutano l’appagamento in altri, la trasformano con il loro atto in una potenza che disintegra e distrugge, una forza cieca e naturale che spazza via l’innocente con il colpevole. Quando questo è accaduto, è troppo tardi per ragionare o perorare: nella giustizia dell’uomo c’è spazio per la pietà, ma non ce n’è nella giustizia di Natura [4] (…)

Se questo pensiero, o uno del genere, è quello che si trova alla base del dramma, ne consegue che la questione di lana caprina - Euripide stava ‘per’ Dioniso o era ‘contro’ di lui? - non ammette risposta in questi termini. In sé Dioniso è al di là del bene e del male; per noi, come dice Tiresia (314 - 318[5]), egli è quello che noi facciamo di lui (…) Il metodo favorito di Euripide è prendere un punto di vista unilaterale, una nobile mezza - verità, mettere in mostra la sua nobiltà, poi mettere in mostra il disastro al quale essa conduce i suoi ciechi seguaci - poiché è dopo tutto solo una parte della verità[6]. E’ così che egli ci mostra nell’Ippolito la bellezza e la stretta insufficienza dell’ideale ascetico, nell’Eracle lo splendore della forza corporea e del coraggio e il suo inciampare nella megalomania e rovina; ed è così che nei suoi drammi della vendetta - Medea, Ecuba, Elettra - la simpatia dello spettatore è prima associata al vendicatore, poi fatta passare alle vittime del vendicatore. Le Baccanti sono costruite sullo stesso principio: il poeta non ha né sminuito la gioiosa liberazione di vitalità che l’esperienza dionisiaca comporta, né attenuato l’orrore bestiale del menadismo ‘nero’; deliberatamente egli conduce il suo pubblico attraverso tutta la gamma di emozioni, dalla simpatia con il dio perseguitato, attraverso l’agitazione dei miracoli del palazzo e la spaventosa tragicommedia della scena del travestimento, per condividere alla fine la reazione di Cadmo contro la non umana giustizia. E’ un errore chiedersi che cosa egli stia tentando di ‘provare’: il suo interesse in questo come in tutte le sue tragedie maggiori non è provare qualcosa ma allargare la nostra sensibilità - che è, come ha detto il Dottor Johnson, l’interesse proprio del poeta.

 

Murray: Euripide è un indagatore e rappresenta tanto il razionalismo quanto l’irrazionalismo:“Euripides was both a reasoner and a poet. The two sides of his nature sometimes clashed and sometimes blended[7], Euripide fu sia un ragionatore, sia un poeta. I due lati della sua natura talvolta si scontrarono e talora si armonizzarono.

 giovanni ghiselli



[1] Cf. Murray, Euripides and His Age, 187.

[2] E. R. Dodds, Euripides Bacchae, pp. xlv - xlvii.

[3] La componente istintiva, prima repressa, poi scatenata verso la distruzione, mai applicata all'incremento della vita, porta Gustav Aschenbach alla morte, preannunciata da una fantasia onirica memore dei riti orgiastici delle Baccanti:" Al ritmo dei timpani si squassava il suo cuore, il cervello vorticava; ira accecamento, stordimento voluttuoso invadevano la sua anima, smaniosa di accordarsi al tripudio del dio. Ed ecco, enorme, ligneo, scoprirsi e innalzarsi l'osceno simbolo; a quella vista tra sfrenati clamori, tutti gridarono la formula rituale e con la schiuma alle labbra si precipitarono in un'orgia pazzesca. Ridenti, singhiozzanti, si eccitavano a vicenda con gesti sconci e carezze lubriche, e si cacciavano l'un l'altro i pungoli nelle carni, leccando il sangue che colava sulle membra". T. Mann, La morte a Venezia (del 1913) p. 139. Ndr.

[4]" La natura è aristocratica, più aristocratica di qualsiasi società feudale basata sulle caste" Schopenhauer, Parerga e paralipomena (del 1851), Tomo I, p. 275.

[5] Non sarà Dioniso a costringere le donne a essere/caste nei confronti di Cipride, ma nel temperamento/(sta sempre l'essere casto in tutte le occasioni sempre)/a questo bisogna pensare: e infatti anche nei baccanali/quella che è casta non si guasterà (Baccanti, 314 318) ndr.

[6] Cf. Murray, Euripide e i suoi tempi, trad. it. Laterza, Bari, 1932.

[7] G. Murray, Euripides and his age, p. 197.

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