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Gli uomini e gli dei nei drammi di Euripide
Euripide maestro dei commediografi della commedia nuova.
Sentiamo una riflessione di Murray
sul ruolo degli dei nei confronti degli uomini.
Nell’Oreste leggiamo: “his own feeling may, perhaps, be expressed by a line in the Orestes (418) :We are slaves of gods, whatever gods may be. That is, there are unknown forces which shape or destroy man's life, and which may be conceived as in some sense personal. But morally, it would seem, these forces are not better, but less good, than man, who at least loves and pities and tries to understand. Such is the impression, I think, left on readers of the Bacchae, the Hippolytus or the Trojan Women”[1],il suo sentimento personale può, forse, essere espresso da un verso dell’Oreste (418): noi siamo schiavi degli dèi, qualunque cosa sian gli dèi[2]. Cioè, ci sono forze sconosciute che formano o distruggono la vita dell’uomo, e che possono essere concepite come, in un certo senso, personali. Ma moralmente, potrebbe sembrare, queste forze non sono migliori, ma meno buone dell’uomo che almeno ama e prova pietà e cerca di capire. Tale è l’impressione, io penso, lasciata sui lettori delle Baccanti, dell’Ippolito, o delle Troiane.
Il potere assoluto degli dèi sui
mortali, viene notato anche da Elena, personaggio del Faust di
Goethe: “C’è qualcosa di dubbio, in questo; ma non me ne curo - e tutto rimanga
affidato agli dèi - che adempiono quanto hanno in animo - sia che un bene lo
valutino o un male - gli umani: noi, i mortali, subiamo”[3].
Euripide viene considerato anche il padre della commedia, non tanto di
quella antica di Aristofane, quanto della nuova, di Filemone, Difilo e
Menandro, dove troviamo i tipi e i princìpi della vita borghese.
C’è comunque qualcosa in comune tra Euripide e Aristofane
Non
sottovalutiamo il verbo coniato da Cratino:
"euripidaristofaneggiare" per significare che i due autori non
erano poi tanto diversi quanto voleva fare credere Aristofane il quale del
resto nelle Rane renderà omaggio al collega già morto chiamandolo: "Cratino
il divoratore del toro"(v. 357), per esaltare la sua vocazione dionisiaca
con un epiteto che veniva attribuito allo stesso Dioniso.
“Per sferzare i calunniatori,
ricorre egli stesso alla calunnia; per combattere l’impudenza dei demagoghi,
mette in scena un oratore ancora più impudente; lamenta a più riprese la
decadenza della religione, ma in lui tutto è empietà; moraleggia sulla
corruzione dei costumi, ma al tempo stesso sguazza nell’impudicizia più oscena
(…) Aristofane si è trovato proprio in mezzo a una vita così contraddittoria, a
questa terribile realizzazione della libertà. Il suo riso dolorosamente folle e
la profonda malinconia del suo contemporaneo Euripide sono espressioni della
stessa lacerazione spirituale, della stessa disperazione” (Droysen, Aristofane,
p. 128).
Nella commedia nuova “sopravvisse la forma degenerata della tragedia. Dato questo nesso, è
comprensibile l’appassionata inclinazione che i poeti della commedia nuova
sentirono per Euripide; sicché non sorprende più il desiderio di Filemone che
si sarebbe voluto far impiccare subito solo per poter visitare Euripide agli
inferi (…) Ma volendo determinare in tutta brevità 8quello che Euripide aveva
in comune con Menandro e Filemone (…) è sufficiente dire che lo spettatore fu
portato da Euripide sulla scena” (Nietzsche, La nascita della tragedia,
capitolo 11).
Bologna 18 gennaio 2021 ore 10, 43
giovanni ghiselli
p. s
oggi, alle 18, terrò lezione nella Pimo Levi concludendo Lucano e
presentando Stazio
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[1] Euripides and his age, pp. 191 - 192.
[2] Douleuvomen qeoi`~, o{ ti pot
j eijsi;n qeoiv .
[3]Faust II, 3, Davanti al palazzo
di Menelao a Sparta 8581 - 8586. Trad. Franco Fortini
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