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Endogamia ed esogamia nel sistema di Freud. Frazer, T. S. Eliot, Vernant, Bettini. Edipo il farmakov~. Ludwig di Visconti. Freud come interprete della tragedia greca
Sull’endogamia tanto esecrata, sacra, si trovano alcune
riflessioni interessanti in Freud: “Il sacro è manifestamente qualcosa che
non può essere toccato. Il divieto sacro ha un tono affettivo intensissimo, ma
è propriamente privo di fondamento razionale. Perché mai, ad esempio, dovrebbe
essere un delitto così grave commettere incesto con la figlia o la sorella,
tanto più grave di qualsiasi altro rapporto sessuale? ( ...) Ciò che è detto
offendere i nostri più sacri sentimenti era costume generale, si potrebbe dire
usanza sacra, nelle famiglie regnanti dell’antico Egitto e di altri antichi
popoli. Sembrava ovvio che il faraone trovasse nella sorella la prima,
principale, moglie; i tardi successori dei faraoni, i Tolomei greci, non
esitarono a imitare questo esempio. Piuttosto ci avvediamo che l’incesto - in
questo caso tra fratello e sorella - era un privilegio, sottratto ai comuni
mortali, e riservato invece ai re rappresentanti degli dèi, così come lo era
nel mondo della leggenda greca e germanica, nient’affatto scandalizzato per
tali relazioni incestuose (…) La nostra costruzione della preistoria ci obbliga
a fornire un’altra spiegazione.
L’imperio dell’esogamia, la cui espressione negativa è l’orrore
dell’incesto, si fondava sulla volontà del padre e continuò questa volontà dopo
il parricidio. Di qui l’intensità del suo tono affettivo e l’impossibilità di
una fondazione razionale, cioè il suo carattere sacro. Siamo fiduciosi che
l’esame di tutti gli altri casi di divieto sacro condurrebbe allo stesso
risultato del caso dell’orrore dell’incesto, e cioè che in origine il sacro non
è altro che la prosecuzione della volontà del padre primigenio. Con ciò si
farebbe anche un po’ di luce sull’ambivalenza, finora incomprensibile, delle
parole che esprimono il concetto di sacro. E’ la stessa ambivalenza che domina
in genere il rapporto con il padre. “Sacer” significa non solo “sacro”,
“consacrato”, ma anche qualcosa che possiamo tradurre soltanto con “infame”,
“esecrando” (“auri sacra fames” [1]). Tuttavia la
volontà del padre non era soltanto qualcosa di intoccabile, qualcosa da tenere
altamente in onore, ma anche qualcosa di fronte a cui si tremava, perché
esigeva una dolorosa rinuncia pulsionale” [2].
Freud in Totem e tabù aveva scritto che “tabù è un
vocabolo polinesiano” di traduzione difficile in tedesco, ma equivalente in
modo esatto al latino sacer. Quindi aggiunge: “Anche l’a[go~ dei greci e il kodausch (kadosch) degli ebrei deve
avere avuto lo stesso significato del tabù per i polinesiani (…) I divieti tabù
più antichi e più importanti sono i due princìpi fondamentali della legge
totemica: non uccidere l’animale totemico e fuggire il rapporto sessuale con
individui di sesso diverso appartenenti allo stesso totem (…) L’uomo che ha
violato un tabù, diventa egli stesso tabù in quanto possiede la pericolosa
capacità di indurre gli altri a seguire il suo esempio (…) Se l’animale totem è
il padre, allora le due fondamentali imposizioni totemiche, le due prescrizioni
tabù che ne formano il nucleo essenziale, e cioè non uccidere il totem e non
avere rapporti sessuali con alcuna donna che al totem appartenga, vengono a
coincidere in quanto a contenuto con i due crimini di Edipo, che uccise il
padre e possedette la madre, e al tempo stesso con i due desideri arcaici del
bambino, la cui rimozione insufficiente o il cui risveglio formano il nucleo di
forse tutte le psiconevrosi ” [3].
In questo testo Freud riconosce l’autorità di J. G. Frazer (Totemismo ed esogamia,
1910) e di Wundt (Völkerspsycologie, 1912).
James George Frazer è noto in Italia
soprattutto per Il ramo d’oro, di cui è stata tradotta l’edizione
del 1922, ridotta dall’autore rispetto alla prima del 1890.
Di Frazer si professa debitore anche
T. S. Eliot: nelle note a La terra desolata (The Waste land, 1922) egli dichiara di dovere molto a due libri di antropologia: From
Ritual to Romance della Weston, e Il ramo d'oro di Frazer. Di
questo menziona i capitoli Adone, Attis, Osiride, dove si dice che
in epoche remote gli uomini facevano dipendere la forza vitale della gente
dalla impareggiabile vitalità di una creatura straordinaria, dall' eccezionale
vigore di un capo il quale però con il volgere delle stagioni si consumava,
finché doveva essere sacrificato e sostituito. Leggiamone alcune parole: "Le
cerimonie della morte e della resurrezione di Adone devono essere state
anch'esse una rappresentazione drammatica della morte e della rinascita delle
piante (...) Inoltre la leggenda che Adone doveva passare metà, o, secondo
altri, un terzo dell'anno nelle regioni sotterranee e il resto sulla terra, si
spiega in modo assai facile e naturale ammettendo che egli rappresentasse la
vegetazione, specialmente il grano, che sta metà dell'anno sotto terra ed è
visibile l'altra metà (Il ramo d'oro , pp.525 - 526).
Del resto aveva già espresso il
medesimo concetto Ammiano Marcellino: "Evenerat autem isdem diebus
annuo cursu completo, Adonea rito veteri celebrari, amato Veneris, ut fabulae
fingunt, apri dente ferali deleto, quod in adulto flore sectarum est indicium
frugum" (XXII, 9, 15). Avveniva poi in quei medesimi giorni che, compiuto
il corso dell'anno (il 361 d. C.), si celebravano secondo l'antico rito le
feste per Adone, amato da Venere e ucciso dal dente di un cinghiale selvaggio,
il che è simbolo delle messi recise quando sono mature".
Adone che muore e risorge dunque
rappresenta la forza riproduttiva che cade e si rialza. Secondo Frazer tutte le
divinità che passano per questo avvicendamento di morte e resurrezione avevano
tale significato, e Cristo può essere interpretato come un epigono di Adone,
Attis, Osiride[4].
In progresso di tempo la
storia si è spiritualizzata e raffinata, e il decadimento del "paese
guasto" diventa un fatto morale.
Un altro capitolo interessante del libro di Frazer è “L’uccisione del re
divino” dove l’autore enumera vari popoli che uccidevano i loro re quando
questi perdevano la forza: “perché se il corso della natura dipende dalla vita
dell’uomo - dio, quali catastrofi non si devono aspettare dall’indebolimento
graduale dei suoi poteri e della loro estinzione finale con la morte? Vi è
solamente un mezzo per allontanare questi pericoli. Si deve uccidere l’uomo - dio
appena appariscano i sintomi che i suoi poteri cominciano ad affievolirsi; la
sua anima deve essere trasmessa a un vigoroso successore prima che essa sia
seriamente indebolita dalla minacciata decadenza” [5].
Questa caduta del capo, prima onorato e venerato poi degradato
a farmakov~ si vede benissimo nell’Antigone e nell’Edipo
re di Sofocle. Nella prima tragedia Creonte, ancora in auge, dice:” quando Edipo reggeva, teneva
dritta w[rqou[6]
la città/ e poi cadde, rimanevate ancora intorno/ ai loro figli con animo
costante" ( Antigone, vv. 167 - 169).
J.P.Vernant nel saggio Edipo senza complesso del
volume Mito e tragedia nell'antica Grecia scrive: "Edipo
è doppio come la parola dell'oracolo: re salvatore, che all'inizio del dramma
tutto un popolo implora come se si rivolgesse a un dio (...) ma anche macchia
abominevole, mostro di impurità, che concentra su di sé tutto il male, tutto il
sacrilegio del mondo, e che bisogna cacciare come un farmakov", un capro espiatorio, perché la città, ritornata pura, si salvi" (pag.82).
Su questa doppia facies di Edipo sentiamo anche Bettini: "Edipo
re mette in scena la vicenda di un personaggio che è doppio, possiede
due diverse identità e non ha mai avuto modo di accorgersene: perché sino al
fatidico momento in cui l'inchiesta ha avuto inizio, quest'uomo ha sperimentato
la parte buona di sé, la sua facies fortunata (…) Ma poi, come
dicevamo, accade che la storia investigante si mette in moto. Passo dopo passo,
Edipo scopre di essere un altro, o meglio anche un altro. Un
mostro, un assassino, un patricida, un incestuoso che ha generato figli dalla
propria madre. Edipo è una sorta di dr. Jekill/Mr Hyde che però, a differenza
dell'eroe di Stevenson, non sa minimamente di esserlo"[7].
Diverse volte nella storia, il re o il tiranno si è capovolto in farmakov", in capro espiatorio e mostro deforme. Infatti il tema ricorre nelle opere
letterarie, e l'abbiamo riconosciuto pure in un film pieno di bellezza e
cultura. Mi riferisco a Ludwig di Visconti che racconta
la vita e la morte del "lunatico re" di Baviera. E' uno schema
che Bachtin, l'autore di Dostoevskij, ascrive alla
letteratura carnevalizzata e individua nei dialoghi dove campeggia Socrate,
nella satira menippea, e nell’ Idiota del romanziere russo. Il
carnevale rovescia e relativizza tutte le situazioni, incorona e scorona il re,
rompendo le putride pastoie della menzogna ufficiale, mostrandolo nudo e
indifeso.
Concludo questa parte con l’interpretazione che Freud dà della
tragedia greca, dell’eroe e del coro in Totem e tabù: “L’eroe della
tragedia greca doveva soffrire (…) Egli porta il peso di quella che si usa
definire “la tragica colpa”, di cui non sempre si riesce a rintracciare la
ragione; spesso non è affatto una colpa nel senso comune della vita borghese;
il più delle volte è la ribellione a un dio o ad una autorità divina e umana, e
il coro lo accompagnava con i suoi sentimenti di solidarietà (…) Ma perché
l’eroe della tragedia deve soffrire e che cosa significa la sua tragica colpa?
(...) Deve soffrire perché è il padre arcaico, l’eroe di quella grande tragedia
primordiale che trova ora, qui, nella rappresentazione, una figurazione
tendenziosa, e la tragica colpa è quella che deve assumere su di sé per
liberare il conto”.
Insomma il coro rappresenterebbe la banda dei fratelli ribelli al padre
(l’eroe), e la solidarietà espressa all’eroe sofferente sarebbe un atto di
ipocrisia. Il coro inoltre proietterebbe sull’eroe il crimine della propria
ribellione. “Il crimine che si fa ricadere su di lui, la superbia e la
ribellione contro una grande autorità è appunto il crimine che qui, nella
realtà, grava sui membri del coro, sulla schiera dei fratelli. Ed è così che,
contro la sua stessa volontà, l’eroe tragico è promosso a redentore del
coro” [8].
Abbiamo visto, concludendo
l’introduzione al dramma, che nell’ultima opera Freud cambia la sua
interpretazione affermando che l’eroe era il caporione della banda dei fratelli
(identificata con il coro) che aveva sopraffatto il padre:” E’ quasi certo che
l’eroe e il coro della tragedia raffigurano questo stesso eroe ribelle e la
banda dei fratelli”[9]
giovanni ghiselli
[1] Eneide, III, 57. Ci ritorneremo
nella scheda successiva al v. 5 della Medea. Ndr.
[2] S. Freud, L’uomo Mosè e la
religione monoteistica, terzo saggio, in Freud Opere vol.
11 1930 - 1938, pp. 438 - 439.
[3] S. Freud, Totem e tabù (del
1913), p. 33, pp. 51 - 52 e p. 189.
[4] Si pensi anche
all’esito del pretenzioso film Apocalypse now, di Coppola (1979)
che non solo utilizza Cuore di tenebra di Conrad, ma aggiunge
citazioni da Eliot e mette in evidenza la lettura di Il ramo d’oro di
Frazer da parte del colonello impazzito che viene ucciso parallelamente al toro
del sacrificio.
[5] J. G. Frazer, Il ramo d’oro,
p. 413.
[6] - Imperfetto di ojrqovw. Il
raddrizzamento della città non è relativo solo agli aspetti morali ed
economici, ma anche alla potenza generativa inficiata dalla paralisi. A questo
proposito cfr. anche il Satiricon di Petronio:"paralysin
cave "(129), guardati dalla paralisi, ossia dall'ira di Priapo
[7] M.
Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 121.
[8] S. Freud, Totem e tabù, p. 221.
[9] S.
Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica,, terzo saggio,
p. 409.
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