PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIIl campo di battaglia di Marignano (1521)
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Condanna della guerra nelle Troiane di
Euripide che invece nell’Andromaca semina odio contro gli Spartani e
nell’Ifigenia in Aulide fa proclamare dalla protagonista una sorta
di guerra santa contro i barbari.
La cosiddetta (da Jaeger)
“intonazione lirica della realtà” con gli esempi dell’Ippolito e
dello Ione.
Per quanto riguarda il rapporto fra
dramma e filosofia, questa non era estranea alla tragedia precedente che
presentava ancora l'unità indivisa di pensiero, mito e religione. I personaggi
di Euripide tendono invece a usare l'intelligenza contro la religione, anche se
abbiamo visto (Oreste , v. 396) che la capacità di comprendere può
diventare una malattia distruttiva della persona.
Jaeger scrive: " Sottile e
rarefatta è l’aura dell’atmosfera spirituale in cui respirano i suoi
personaggi. La loro intellettualità sensitiva (...) paragonata alla salda
energia vitale di Eschilo non è che fiacchezza"[1]. Risente evidentemente di Nietzsche. Medea è
tutt’altro che fiacca né lo sono altri personaggi come Teseo o Elena o Ecuba
per esempio.
Del resto trovare una linea
euripidea unica ci sembra arbitrario. Infatti da tutte le parti saltano fuori
contraddizioni. Ogni personaggio ha una sua visione, si giudica e assolve
da solo, magari accusando gli dèi di ingiustizia. I numi vengono criticati e
biasimati senza risparmio, però rimangono forze motrici e spesso risolutrici
dei complicati intrecci drammatici.
La guerra nelle Troiane
è vista come un orrore che travolge vincitori e vinti: "è stolto tra i
mortali chi distrugge le città", sentenzia Poseidone nel prologo,
"consegnando allo squallore templi e tombe, sacro asilo dei morti, poiché
egli stesso più tardi perisce"(vv. 95 - 97).
Atena vuole infliggere ai vincitori
un duvsnoston novston (v. 75), un ritorno senza
ritorno. Dunque la guerra è un male tanto per i vinti quanto per i vincitori.
Cassandra dice che deve evitare la
guerra chi ha senno, ma se si giunge a farla, una corona non vergognosa è
morire nella bellezza (kalw`~
ojlevsqai, v. 402)
per la città.
Tuttavia nell'Andromaca
Euripide semina tanto odio contro Spartani e Spartane da fare una sorta di
propaganda contro il nemico e altrettanto fa nell’Ifigenia in Aulide.
“Nelle Troiane di
Euripide il messaggio antibellicista aveva di per sé una carica
destabilizzante, nella sua opposizione all’iniziativa militare che lo Stato
ateniese aveva intrapreso contro Melo. Tuttavia intervenivano anche
procedimenti di compensazione: il pianto prolungato che diventa “dolce” per chi
soffre, i moduli della “poesia bella” fruibili con immediatezza, la pietà per i
vinti che affiora nei vincitori” [2].
Ribadisco che le Troiane presentano
una condanna completa della guerra che non lascia vincere nessuno. A questo
poposito, cito una poesia di B. Brecht
La guerra che verrà
“Non è la prima. Prima ci sono state
altre guerre.
Alla fine dell’ultima
C’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
Faceva la fame. Fra i vincitori
Faceva la fame la povera gente
egualmente” (Poesie di Svendorg, del 1939).
In questa tragedia di Euripide i
personaggi sono tutti “povera gente”.
L'opera di Euripide è stata il
parlatorio di tutti i movimenti dell'epoca.
Del resto il poeta "rimane
ineguagliato nel cogliere l'intonazione lirica della realtà" afferma
Jaeger[3] che segnala alcuni canti attraverso i quali
l'autore trasforma i fatti in musica. Mi sembra una fomula parecchio
astratta e generica. Jaeger cerca poi di chiarirla con un paio di esempi che
propongo anche io con parole mie.
Nell’Ippolito, il primo
canto lirico, l'unico inserito da Euripide in un prologo, è quello intonato dal
protagonista il quale poi, mentre inghirlanda l'immagine di Artemide, prosegue
ancora con trimetri giambici che mantengono tuttavia questa “intonazione
lirica”.
Leggiamo alcuni versi :"A te
signora porto, dopo averla preparata, questa corona intrecciata da un prato
immacolato, dove né pastore osa pascolare le greggi, né mai entrò il ferro, ma
l'ape di primavera attraversa il prato immacolato, e il Pudore[4] lo vivifica con le rugiade dei fiumi"(vv. 73 -
78).
Ma Artemide non salverà il suo
devoto. “Gli dei esprimono piuttosto indifferenza per le vicende umane, perché
“per il dio è comune la sorte di tutti e la rovina di chi è malvagio distrugge
anche chi è saggio e non ha mai peccato” (Supplici, 226). O peggio
ancora, in essi c’è crudeltà, o follia, come nell’Eros dell’Ippolito,
“aritmico” [5], senza misura, o in Afrodite, che anche nel nome
(Aphrodite - Aphrosyne) si rivela portatrice di follia” [6].
Fedra in un commo con la nutrice
evade, con il pensiero, nella solitudine della caccia montana :"portatemi
sul monte; andrò nella selva e tra i pini dove le cagne sterminatrici di fiere
danno la caccia alle cerve screziate seguendone le orme: per gli dèi io amo
eccitare i cani con grida e scagliare il giavellotto tessalo dopo averlo
accostato alla chioma bionda, avendo un dardo dalla punta aguzza nell'altra
mano"(Ippolito , vv. 215 - 222).
Fedra evidentemente si identifica
con il giovane cacciatore Ippolito di cui è innamorata. Del
resto “l'inconciliabilità
fra Diana e Venere è una di quelle opposizioni fondamentali che sono
addirittura registrate nel codice antropologico"[7].
Cfr il venator tenerae
coniugis immemor il cacciatore dimentic della giovane sposa in Orazio
(Odi, I, 1, 26).
Troviamo la poesia della montagna
nel canto mattutino di Ione il quale senza padre né madre, ministro
del dio Apollo che lo ha allevato (vv. 109 - 111) inizia la sua giornata a
Delfi, sull'ombelico del mondo (vv.5 - 6) mettendo in ordine il tempio appena
il sole batte sul Parnaso:"Ecco, già il sole fa risplendere sulla terra la
sua fulgida quadriga; le stelle fuggono davanti a questa vampa dell'etere verso
la notte sacra. Le inaccessibili vette del Parnaso inondate di luce accolgono
il disco del giorno per i mortali" (vv. 82 - 88).
giovanni ghiselli
[1] Paideia 1 , p. 590.
[2] V. Di Benedetto, (introduzione di) Eschilo,
Orestea, p. 18.
[3] Paideia 1 , p. 595.
[4] Vedremo che il Pudore (Aijdwv" ) è un valore forte dalla presenza frequente nel
nostro percorso, sia che venga rispettato, sia che venga oltraggiato.
[5] V. 529
[6] F. Rella, Introduzione a Euripide
Baccanti, p. 21.
[7]G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi
contro l'amore , p. 40.
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