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sabato 23 gennaio 2021

Euripide. 36

Il campo di battaglia di Marignano (1521)
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Condanna della guerra nelle Troiane di Euripide che invece nell’Andromaca semina odio contro gli Spartani e nell’Ifigenia in Aulide fa proclamare dalla protagonista una sorta di guerra santa contro i barbari.

La cosiddetta (da Jaeger) “intonazione lirica della realtà” con gli esempi dell’Ippolito e dello Ione.

 

Per quanto riguarda il rapporto fra dramma e filosofia, questa non era estranea alla tragedia precedente che presentava ancora l'unità indivisa di pensiero, mito e religione. I personaggi di Euripide tendono invece a usare l'intelligenza contro la religione, anche se abbiamo visto (Oreste , v. 396) che la capacità di comprendere può diventare una malattia distruttiva della persona.

Jaeger scrive: " Sottile e rarefatta è l’aura dell’atmosfera spirituale in cui respirano i suoi personaggi. La loro intellettualità sensitiva (...) paragonata alla salda energia vitale di Eschilo non è che fiacchezza"[1]. Risente evidentemente di Nietzsche. Medea è tutt’altro che fiacca né lo sono altri personaggi come Teseo o Elena o Ecuba per esempio.

 

Del resto trovare una linea euripidea unica ci sembra arbitrario. Infatti da tutte le parti saltano fuori contraddizioni. Ogni personaggio ha una sua visione, si giudica e assolve da solo, magari accusando gli dèi di ingiustizia. I numi vengono criticati e biasimati senza risparmio, però rimangono forze motrici e spesso risolutrici dei complicati intrecci drammatici.

La guerra nelle Troiane è vista come un orrore che travolge vincitori e vinti: "è stolto tra i mortali chi distrugge le città", sentenzia Poseidone nel prologo, "consegnando allo squallore templi e tombe, sacro asilo dei morti, poiché egli stesso più tardi perisce"(vv. 95 - 97).

Atena vuole infliggere ai vincitori un duvsnoston novston (v. 75), un ritorno senza ritorno. Dunque la guerra è un male tanto per i vinti quanto per i vincitori.

Cassandra dice che deve evitare la guerra chi ha senno, ma se si giunge a farla, una corona non vergognosa è morire nella bellezza (kalw`~ ojlevsqai, v. 402) per la città.

 Tuttavia nell'Andromaca Euripide semina tanto odio contro Spartani e Spartane da fare una sorta di propaganda contro il nemico e altrettanto fa nell’Ifigenia in Aulide

“Nelle Troiane di Euripide il messaggio antibellicista aveva di per sé una carica destabilizzante, nella sua opposizione all’iniziativa militare che lo Stato ateniese aveva intrapreso contro Melo. Tuttavia intervenivano anche procedimenti di compensazione: il pianto prolungato che diventa “dolce” per chi soffre, i moduli della “poesia bella” fruibili con immediatezza, la pietà per i vinti che affiora nei vincitori” [2].

Ribadisco che le Troiane presentano una condanna completa della guerra che non lascia vincere nessuno. A questo poposito, cito una poesia di B. Brecht

 

La guerra che verrà

 

“Non è la prima. Prima ci sono state altre guerre.

Alla fine dell’ultima

C’erano vincitori e vinti.

Fra i vinti la povera gente

Faceva la fame. Fra i vincitori

Faceva la fame la povera gente egualmente” (Poesie di Svendorg, del 1939).

 

In questa tragedia di Euripide i personaggi sono tutti “povera gente”.

 

  

L'opera di Euripide è stata il parlatorio di tutti i movimenti dell'epoca.

Del resto il poeta "rimane ineguagliato nel cogliere l'intonazione lirica della realtà" afferma Jaeger[3] che segnala alcuni canti attraverso i quali l'autore trasforma i fatti in musica. Mi sembra una fomula parecchio astratta e generica. Jaeger cerca poi di chiarirla con un paio di esempi che propongo anche io con parole mie.

Nell’Ippolito, il primo canto lirico, l'unico inserito da Euripide in un prologo, è quello intonato dal protagonista il quale poi, mentre inghirlanda l'immagine di Artemide, prosegue ancora con trimetri giambici che mantengono tuttavia questa “intonazione lirica”.

Leggiamo alcuni versi :"A te signora porto, dopo averla preparata, questa corona intrecciata da un prato immacolato, dove né pastore osa pascolare le greggi, né mai entrò il ferro, ma l'ape di primavera attraversa il prato immacolato, e il Pudore[4] lo vivifica con le rugiade dei fiumi"(vv. 73 - 78).

Ma Artemide non salverà il suo devoto. “Gli dei esprimono piuttosto indifferenza per le vicende umane, perché “per il dio è comune la sorte di tutti e la rovina di chi è malvagio distrugge anche chi è saggio e non ha mai peccato” (Supplici, 226). O peggio ancora, in essi c’è crudeltà, o follia, come nell’Eros dell’Ippolito, “aritmico” [5], senza misura, o in Afrodite, che anche nel nome (Aphrodite - Aphrosyne) si rivela portatrice di follia” [6].

Fedra in un commo con la nutrice evade, con il pensiero, nella solitudine della caccia montana :"portatemi sul monte; andrò nella selva e tra i pini dove le cagne sterminatrici di fiere danno la caccia alle cerve screziate seguendone le orme: per gli dèi io amo eccitare i cani con grida e scagliare il giavellotto tessalo dopo averlo accostato alla chioma bionda, avendo un dardo dalla punta aguzza nell'altra mano"(Ippolito , vv. 215 - 222).

 

Fedra evidentemente si identifica con il giovane cacciatore Ippolito di cui è innamorata. Del resto “l'inconciliabilità fra Diana e Venere è una di quelle opposizioni fondamentali che sono addirittura registrate nel codice antropologico"[7].

Cfr il venator tenerae coniugis immemor il cacciatore dimentic della giovane sposa in Orazio (Odi, I, 1, 26).

Troviamo la poesia della montagna nel canto mattutino di Ione il quale senza padre né madre, ministro del dio Apollo che lo ha allevato (vv. 109 - 111) inizia la sua giornata a Delfi, sull'ombelico del mondo (vv.5 - 6) mettendo in ordine il tempio appena il sole batte sul Parnaso:"Ecco, già il sole fa risplendere sulla terra la sua fulgida quadriga; le stelle fuggono davanti a questa vampa dell'etere verso la notte sacra. Le inaccessibili vette del Parnaso inondate di luce accolgono il disco del giorno per i mortali" (vv. 82 - 88).

 

 giovanni ghiselli

 



[1] Paideia 1 , p. 590.

[2] V. Di Benedetto, (introduzione di) Eschilo, Orestea, p. 18.

[3] Paideia 1 , p. 595.

[4] Vedremo che il Pudore (Aijdwv" ) è un valore forte dalla presenza frequente nel nostro percorso, sia che venga rispettato, sia che venga oltraggiato.

[5] V. 529

[6] F. Rella, Introduzione a Euripide Baccanti, p. 21.

[7]G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore , p. 40.

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