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sabato 30 gennaio 2021

Commento alla “Cara Lettera” del cardinale Matteo Zuppi. Prima parte

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Voglio commentare alcune frasi della bella lettera che il cardinale Matteo Zuppi ha inviato alla “Cara Costituzione”  della Repubblica italiana, cioè di tutti noi.

“Cara” è una qualificazione non solo affettiva ma anche valutativa: una Costituzione come la nostra infatti è amabile e preziosa.

 

Isocrate ha scritto che una buona costituzione  è l'anima dello stato e ha la stessa importanza che la ragione nell'uomo : “e[sti ga;r yuch; povlewς oujde;n e{teron h] politeiva, tosauvthn e[cousa duvnamin o{shn per ejn swvmati frovnhsiς. Au{th gavr ejstin hJ bouleuomevnh peri; aJpavntwn kai; ta; me;n ajgaqa; diafulavttousa, ta;ς de; sumfora;ς diafeuvgousa» (Areopagitico, 14), infatti la costituzione non è altro che l’anima della città, in quanto ha una potere tanto grande quanto la mente sul corpo. Essa infatti è decisiva su tutto e conserva i beni mentre evita i mali

Questa premessa si confà alla nostra.

 

Ma entriamo  nella lettera di Matteo Zuppi: 

Le ferite inflitte  dal COVID

“Quanti non abbiamo potuto salutare nel loro ultimo viaggio! Che ferita non averlo potuto fare!” 

Le ferite dei nostri morti e le ferite nostre non sono “povere bocche mute” ma parlano ancora e dicono parole più significative di tante chiacchiere inconcludemti che ci vngono propinate ad ogni ora da parte di  chi bada solo al proprio personale interesse.

Cosa dicono i vulnera e gli ulcera dai quali siamo rimasti segnati? Che la salute pubblica è un bene primario il quale deve essere garantito a tutti, tanto a chi può e deve pagare quanto a chi non può, e l’assistenza, l’attenzione, la cura devono essere identiche per gli uni e per gli altri.

Molti politici attuali. costantemente in disaccordo lagnoso e noioso  oppure bizzarro e ridicolo su questioni che non sono di interesse comune. ci fanno rimpiangere  “i padri costituenti” e i loro allievi.

Erano diversissimi, avversari, con idee molto distanti eppure si misero d’accordo su quello che conta e su cui tutti - tutti - volevano costruire il nostro Paese

Dai contrari è risultata la bellissima armonia della nostra Costituzione.


Il calo demografico

Zuppi affronta anche il problema del calo demografico associato alla caduta delle speranze che gli italiani invece avevano alla fine della guerra quando venne concepita la Costituzione.

Non si può vivere senza speranza! Quando sei nata c’erano tanti bambini e ragazzi, quelli che ora sono i nostri genitori e nonni. Vorrei che ci regalassi tanta speranza e tanti figli, tutti figli nostri anche quelli di chi viene da lontano, perché se abbiamo figli possiamo sperare, altrimenti ci ritroviamo contenti solo nel mantenere avidamente quello che abbiamo, e questo proprio non basta e in realtà non ci fa nemmeno stare bene”.

Un problema che si è presentato più volte nella storia d’ Europa. Ne scrive Polibio riguardo alla Grecia  del II secolo a. C.

Poi Cassio Dione relativamente alla Roma della prima età imperiale quando Augusto denuncia il calo demografico ancora limitato alla classe dirigente. Questo poi si aggravò.


Sentiamoli:

Nel libro XXXVI delle Storie Polibio rileva la crisi demografica della Grecia: “ una carenza di bambini e un generale calo di popolazione ("ajpaidiva kai; sullhvbdhn ojliganqrwpiva", XXXVI 17, 5)  hanno rese deserte le città, senza guerre né epidemie. In questo caso non si tratta di interrogare o di supplicare gli dèi poiché la causa del male è evidente: gli uomini hanno cominciato ad abbandonarsi alla pretenziosità ( eij" ajlazoneivan)  e all'avarizia (kai; filocrhmosuvnhn), poi ancora all’indolenza (e[ti de; rJa/qumivan) , a non volersi sposare, o se si sposavano, a non allevare i figli, tranne uno o due per poterli lasciare nel lusso. Basta poco dunque perché le case restino deserte, e, come succede per uno sciame di api, così anche le città si indeboliscano. Il rimedio è evidente: cambiare l'oggetto dei nostri desideri o fare leggi che costringano a crescere i figli generati. Non occorrono veggenti né operatori di magie!”

Cassio Dione[1] racconta che  Augusto nel 9 d. C. parlò agli sposati e ai celibi della classe alte. Elogiò i primi, meno numerosi, dicendo che erano cittadini benemeriti e fortunati: infatti ottima cosa è una donna temperante, casalinga, buona amministratrice e nutrice dei figli ("a[riston gunh; swvfrwn oijkouro;" oijkovnomo" paidotrovfo"", LVI, 3, 3) ed è una grande felicità lasciare il proprio patrimonio ai propri nati; inoltre anche la comunità riceve vantaggi dal grande numero (poluplhqiva, LVI, 3, 7) di lavoratori e di soldati.

Quindi l’imperatore parlò con parole di biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi. Voi, disse in sostanza, siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi tradite la patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle fondamenta: "a[nqrwpoi gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk oijkivai oujde; stoai; oujd j  ajgorai; ajndrw'n kenaiv" (LVI, 4, 1), gli uomini infatti in qualche misura costituiscono la città, non le case né i portici né le piazze vuote di uomini[2].

Quindi Augusto continuò ad accusare i celibi paragonandoli ai briganti e alle fiere selvatiche: voi, disse, non è che volete vivere senza donne, visto che nessuno  mangia o dorme solo:"ajll' ejxousivan kai; uJbrivzein kai; ajselgaivnein e[cein ejqevlete" (LVI, 4, 6-7), ma volete avere la facoltà della dismisura e dell'impudenza.

 

 giovanni ghiselli

 



[1] Vissuto tra il II e il III sec. d. C. , scrisse una Storia Romana in greco. Constava di ottanta libri che andavano dalle origini al 229 d. C. Ne restano 25 (dal 36 al 60) oltre alle epitomi di età bizantina.

[2] ll problema del calo demografico, adesso di nuovo attuale, era stato posto già nel II secolo a. C., per il mondo ellenico da Polibio il quale viceversa notava la virtù delle matrone romane. Nel libro XXXVI delle Storie  viene ricordata la crisi demografica della Grecia, una carenza di bambini e un generale calo di popolazione ("ajpaidiva kai; sullhvbdhn ojliganqrwpiva", XXXVI 17, 5) che hanno rese deserte le città, senza guerre né epidemie. In questo caso non si tratta di interrogare o di supplicare gli dèi poiché la causa del male è evidente: gli uomini hanno cominciato ad abbandonarsi all'arroganza, all'avarizia, alla perdita di tempo, a non volersi sposare, o se si sposavano, a non allevare i figli, tranne uno o due per poterli lasciare nel lusso. Basta poco dunque perché le case restino deserte, e, come succede per uno sciame di api, così anche le città si indeboliscano. Il rimedio è evidente: cambiare l'oggetto dei nostri desideri o fare leggi che costringano a crescere i figli generati. Non occorrono veggenti né operatori di magie!

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