PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI
“Dopo la morte della bimba di 10
anni in una sfida estrema. Il padre: “Voleva diventare una star social ma è
caduta in una trappola” (“la Repubblica” 23 gennaio, 2021, p. 19)
La trappola talvolta mortale sta
proprio nel voler diventare una star. La morte di quella povera bambina è da
addebitare al sistema per cui diventi una stella o non sei nessuno.
Diventare star poi significa avere
molta visibilità e molto denaro.
I Greci mi hanno educato in
tutt’altro modo.
Socrate diceva che non si faceva
dare soldi.
Nell’Apologia di Socrate, scritta
da Platone, il maestro dell’autore confuta le dicerie infamanti sul poprio
conto: kaˆ cr»mata
pr£ttomai, oÙd toàto ¢lhqšj., e non è vero nemmeno che io faccio del denaro (19,
d - e).
Nei Memorabili di
Senofonte, l’altro allievo di Socrate che nulla ha lasciato scritto, il maestro
discute con Antifonte sofista che gli rinfaccia la povertà: “kai; mh;n crhvmata ge ouj lambavnei", a} kai;
ktwmevnou" eujfraivnei kai; kekthmevnou" ejleuqeriwvterovn te kai;
h{dion poi`ei zh`n”, e tu non
prendi denaro che porta gioia a chi lo acquista e fa vivere chi lo
possiede in modo più libero e più piacevole.
Il sofista conclude dicendo a
Socrate: novmize
kakodaminiva" didavskalo" ei\nai, sappi che sei maestro di infelicità.
Socrate gli risponde che i sofisti,
i quali vendono sapienza, sono come le puttane che mercificano la bellezza: se
uno vende per denaro la bellezza - povrnon aujto;n ajpokalou`sin - lo chiamano puttana, e lo stesso accade ai sofisti che
vendono la sapienza th;n sofivan
wJsauvtw" tou;" me;n argurivou tw`/ boulomevnw/ pwlou`nte"
w{sper povrnou" (I, 6,
3 - 4).
Questa parte mi è stata ispirata da
una discussione che ho avuto oggi sul dilemma: noi professori e studiosi
dobbiamo fare conferenze solo se ci pagano? Uno di noi sosteneva che la nostra
professionalità deve essere remunerata come altre specialistiche. Per giunta la
nostra specializzazione, se coltivata per tutta la vita, è una delle più rare
al mondo.
Questo è vero. Ma ho preso le
distanze dal collega
La mia posizione che ho ripetuto
oggi e ripeto anche ora perché mi sembra più elegante e più congeniale a me e a
quello che insegno, la dissi per la prima volta anni fa a una collega che mi
invitò a parlare di Medea in un liceo di Perugia. Eravamo da un altro collega
nel liceo Properzio di Assisi.
“Quanto costi? Mi domandò.
“Dipende”, risposi. “Se avete molti soldi costo molto, se pochi, poco, se non
ne avete, verrò gratis e a spese mie
Ma torniamo al nostro Euripide
Nelle Fenicie troviamo
un contrasto fra Eteocle che sostiene il proprio potere assoluto, e Giocasta
che gli fa notare la presenza dell’uguaglianza nel cosmo.
Eteocle incentra tutto il suo
elogio della tirannide sul "di più", Giocasta obietta:"tiv d j e[sti to; plevon; o[nom j e[cei monon:/ejpei; tav g j ajrkounq j iJkana; toi'" ge
swvfrosin", vv.
553 - 554, che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il necessario basta
ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali, noi
amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando vogliono, a turno, ce le
portano via di nuovo.
Giocasta, anzi, propugna l'uguaglianza più in
generale:"kei'no
kavllion, tevknon, - ijsovthta tima'n" (Fenicie, vv. 535 - 536), quello è più
bello, figlio, onorare l'uguaglianza; infatti essa è legge cosmica:"nukto;" t j ajfegge;" blevfaron hJlivou te
fw'" - i[son badivzei to;n ejniauvson kuvklon" ( vv. 543 - 544), l'oscura
palpebra della notte e la luce del sole percorrono uguale il ciclo annuo. Ora
se il sole e la notte si assoggettano a queste misure[1], domanda la madre, tu non tollererai di avere una parte uguale del palazzo
(su; d j oujk ajnevxh/ dwmavtwn e[cwn
i[son, v. 547) e di
attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la giustizia? Perché tu la
tirannide, un'ingiustizia fortunata (tiv th;n turannivd j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549), la onori eccessivamente e pensi che
sia un gran che?
Pensi che essere guardati sia segno
di valore? E' cosa vuota (kenovn, v. 551) di fatto. O vuoi avere
molte pene con molte cose nella casa?
Anche questo raccontavo ai miei
allievi perché si immunizzassero, si vaccinassero dal virus della pubblicità
giovanni ghiselli
[1] Il consiglio di seguire la natura, in particolare osservando l'alternarsi del dì e della notte, per prendere decisioni equilibrate lo dà anche Seneca a Lucilio "cum rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep. 3, 6), prendi decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il giorno e la notte. I mortali non possiedono le ricchezze come cose proprie, esse sono degli dèi e noi le amministriamo, continua Giocasta ( Fenicie, v. 555 - 556). Seneca echeggia questo topos in Ad Marciam de consolatione (del 37d.C.) :"mutua accepimus. Usus fructusque noster est" (10, 2), abbiamo ricevuto le cose in prestito. Nostro è l'usufrutto.
Nessun commento:
Posta un commento