sabato 23 gennaio 2021

Euripide. 39. Il “social” maestro di infelicità

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“Dopo la morte della bimba di 10 anni in una sfida estrema. Il padre: “Voleva diventare una star social ma è caduta in una trappola” (“la Repubblica” 23 gennaio, 2021, p. 19)

La trappola talvolta mortale sta proprio nel voler diventare una star. La morte di quella povera bambina è da addebitare al sistema per cui diventi una stella o non sei nessuno.

Diventare star poi significa avere molta visibilità e molto denaro.

I Greci mi hanno educato in tutt’altro modo.

Socrate diceva che non si faceva dare soldi.

Nell’Apologia di Socrate, scritta da Platone, il maestro dell’autore confuta le dicerie infamanti sul poprio conto: kaˆ cr»mata pr£ttomaioÙd toàto ¢lhqšj., e non è vero nemmeno che io faccio del denaro (19, d - e).

Nei Memorabili di Senofonte, l’altro allievo di Socrate che nulla ha lasciato scritto, il maestro discute con Antifonte sofista che gli rinfaccia la povertà: “kai; mh;n crhvmata ge ouj lambavnei", a} kai; ktwmevnou" eujfraivnei kai; kekthmevnou" ejleuqeriwvterovn te kai; h{dion poi`ei zh`n”, e tu non prendi denaro che porta gioia a chi lo acquista e fa vivere chi lo possiede in modo più libero e più piacevole.

Il sofista conclude dicendo a Socrate: novmize kakodaminiva" didavskalo" ei\nai, sappi che sei maestro di infelicità.

Socrate gli risponde che i sofisti, i quali vendono sapienza, sono come le puttane che mercificano la bellezza: se uno vende per denaro la bellezza - povrnon aujto;n ajpokalou`sin - lo chiamano puttana, e lo stesso accade ai sofisti che vendono la sapienza th;n sofivan wJsauvtw" tou;" me;n argurivou tw`/ boulomevnw/ pwlou`nte" w{sper povrnou" (I, 6, 3 - 4).

  

Questa parte mi è stata ispirata da una discussione che ho avuto oggi sul dilemma: noi professori e studiosi dobbiamo fare conferenze solo se ci pagano? Uno di noi sosteneva che la nostra professionalità deve essere remunerata come altre specialistiche. Per giunta la nostra specializzazione, se coltivata per tutta la vita, è una delle più rare al mondo.

Questo è vero. Ma ho preso le distanze dal collega

La mia posizione che ho ripetuto oggi e ripeto anche ora perché mi sembra più elegante e più congeniale a me e a quello che insegno, la dissi per la prima volta anni fa a una collega che mi invitò a parlare di Medea in un liceo di Perugia. Eravamo da un altro collega nel liceo Properzio di Assisi.

“Quanto costi? Mi domandò. “Dipende”, risposi. “Se avete molti soldi costo molto, se pochi, poco, se non ne avete, verrò gratis e a spese mie

 

Ma torniamo al nostro Euripide

Nelle Fenicie troviamo un contrasto fra Eteocle che sostiene il proprio potere assoluto, e Giocasta che gli fa notare la presenza dell’uguaglianza nel cosmo.

 Eteocle incentra tutto il suo elogio della tirannide sul "di più", Giocasta obietta:"tiv d j e[sti to; plevono[nom j e[cei monon:/ejpei; tav g j ajrkounq j iJkana; toi'" ge swvfrosin", vv. 553 - 554, che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il necessario basta ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali, noi amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando vogliono, a turno, ce le portano via di nuovo.

 Giocasta, anzi, propugna l'uguaglianza più in generale:"kei'no kavllion, tevknon, - ijsovthta tima'n" (Fenicie, vv. 535 - 536), quello è più bello, figlio, onorare l'uguaglianza; infatti essa è legge cosmica:"nukto;" t j ajfegge;" blevfaron hJlivou te fw'" - i[son badivzei to;n ejniauvson kuvklon" ( vv. 543 - 544), l'oscura palpebra della notte e la luce del sole percorrono uguale il ciclo annuo. Ora se il sole e la notte si assoggettano a queste misure[1], domanda la madre, tu non tollererai di avere una parte uguale del palazzo (su; d j oujk ajnevxh/ dwmavtwn e[cwn i[son, v. 547) e di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la giustizia? Perché tu la tirannide, un'ingiustizia fortunata (tiv th;n turannivd j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549), la onori eccessivamente e pensi che sia un gran che?

Pensi che essere guardati sia segno di valore? E' cosa vuota (kenovn, v. 551) di fatto. O vuoi avere molte pene con molte cose nella casa?

Anche questo raccontavo ai miei allievi perché si immunizzassero, si vaccinassero dal virus della pubblicità

 

giovanni ghiselli

 


[1] Il consiglio di seguire la natura, in particolare osservando l'alternarsi del dì e della notte, per prendere decisioni equilibrate lo dà anche Seneca a Lucilio "cum rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep. 3, 6), prendi decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il giorno e la notte. I mortali non possiedono le ricchezze come cose proprie, esse sono degli dèi e noi le amministriamo, continua Giocasta ( Fenicie, v. 555 - 556). Seneca echeggia questo topos in Ad Marciam de consolatione (del 37d.C.) :"mutua accepimus. Usus fructusque noster est" (10, 2), abbiamo ricevuto le cose in prestito. Nostro è l'usufrutto.

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