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Argomenti. Il dilemma se nelle persone prevalga quanto è innato oppure
l’educazione. La furia di Ecuba
“Ecuba trista, misera e cattiva,/ poscia che vide Polissena morta,/ e del
suo Polidor in su la riva/ del mar si fu la dolorosa accorta,/ forsennata latrò
sì come cane,/ tanto il dolor le fe’ la mente torta” (Dante, Inferno,
XXX, 16 - 21).
La donna che fa paura. Andromaca non è questo tipo di donna
Nell'Ecuba troviamo alcune tematiche ricorrenti in Euripide: il
rapporto tra natura innata e cultura, visto in questa tragedia con un certo
pessimismo pedagogico: l'indole, come aveva già affermato Pindaro[1]non
cambia attraverso l'educazione , sebbene anche questa abbia la sua
importanza:"Certo questo è strano: se la terra è cattiva, ma ottiene buone
opportunità da un dio, produce buona spiga, mentre se è buona, ma non ottiene
quanto deve ottenere, dà cattivi frutti; tra gli uomini invece il malvagio non
può essere nient'altro che cattivo, mentre il buono è buono, né per una
disgrazia guasta la sua natura, ma rimane sempre onesto. Dunque i genitori
contano più o l'educazione? Certamente anche essere educati bene, porta
insegnamento di onestà; e se uno ha imparato questa, sa che cosa è turpe,
avendolo appeso con la norma della virtù" (Ecuba, vv. 593 - 602).
Nelle Supplici, di un paio d'anni posteriore all'Ecuba[2],
leggiamo invece l'espressione di un incondizionato ottimismo pedagogico, forse
per il fatto che si stava preparando la pur malsicura pace di Nicia: Adrasto fa
l'elogio funebre dei sette caduti nella guerra contro Tebe poi, rivolgendosi
direttamente a Teseo, il Pericle in vesti eroiche, conclude: "Non ti
stupire dopo quanto ho detto, Teseo, che questi abbiano avuto il coraggio di
morire davanti alle torri. Infatti essere educati non ignobilmente comporta il
senso dell'onore: e ogni uomo che ha esercitato la virtù si vergogna di
diventare vile. Il coraggio è insegnabile (eujandriva didaktovn ), se è vero che il bambino impara a dire e ad ascoltare quello di
cui non ha cognizione. E quello che uno abbia imparato, suole conservarlo fino
alla vecchiaia. Così educate bene i vostri figli" (Supplici, vv.909
- 917).
Tornando all'Ecuba e al tema del carattere femminile, la regina,
parlando con Agamennone, sostiene che la donna può essere più forte, o più
violenta del maschio: "E che? non furono delle donne a uccidere i figli di
Egitto e non spopolarono Lemno completamente dai maschi?" (vv. 886 - 887).
Sono casi notissimi di violenza femminile: del primo si trova l'antefatto
nelle Supplici di Eschilo, il secondo è menzionato anche da Dante: "poi
che l'ardite femmine spietate/tutti li maschi loro a morte dienno" (Inferno ,
XVIII, 89 - 90).
In effetti poi il grido di Polimestore accecato è: "Delle donne
mi hanno mandato in rovina" (Ecuba, v.1095). Queste furie, Ecuba e
le altre prigioniere, non si limitano a cavare gli occhi al traditore re di
Tracia, ma ne uccidono i figli: "all'improvviso, tirate fuori le spade dai
pepli, chissà da dove, trapassano i bambini"(vv. 1161 - 1162). Quanto alle
donne, conclude Polimestore, non se n'è ancora detto male abbastanza, e,
volendo fare una sintesi, si può aggiungere: "una razza del genere non la
nutre né la terra né il mare; chi via via ha a che fare con loro se ne
accorge" (vv. 1181 - 1182).
Il terrore della prepotenza
femminile pervade diverse tragedie del teatro attico. La donna ateniese, se non
contava nulla nella vita politica e cittadina, era di sicuro una presenza
incombente sui figli, soprattutto sui maschi con i quali cercava una rivalsa:"il
ripudio e il disprezzo delle donne significa il ripudio e il disprezzo della
domesticità - della vita domestica e familiare, e quindi anche dell'allevamento
dei bambini. Il maschio adulto ateniese rifuggiva dalla casa, ma ciò
significava che il bambino ateniese cresceva in un ambiente dominato dalle
donne"[3].
La moglie di Ettore non è il tipo di donna che fa paura
Nelle Troiane i due temi della barbara e della donna
confluiscono nel discorso di Andromaca, figura evidentemente cara a Euripide.
Ella sciorina tutta la sua domestica virtù di moglie alla suocera affranta, per
significarle, però, che tanto valore accompagnato da una buona fama non l'ha preservata
dalla disgrazia. Si tratta dei vv.643 - 656.
La reputazione conseguita a tanta virtù muliebre, aggiunge la vedova di
Ettore, non mi ha portato fortuna, poiché dopo la caduta di Troia: "il
figlio di Achille volle prendermi come concubina; ed io dovrò essere schiava
nella casa degli omicidi"(659 - 660).
Ebbene tale cambiamento, non solo di sorte ma anche di amante, è
insopportabile per una onesta. "Sebbene dicano che una sola notte basti a
placare l'avversione di una donna per il letto di un uomo, tuttavia io sputo in
faccia a colei che, messo da parte il marito di prima per nuove nozze, ama un
altro; anzi neppure una puledra, quando viene separata dalla compagna con la
quale fu allevata, trarrà volentieri il giogo. Eppure le bestie sono prive di
parola e non hanno l’uso della ragione, e per natura sono inferiori" (Troiane,
vv. 666 - 673).
Segue l'elogio di Ettore e del loro amore, in termini che echeggiano quelli
del sesto dell'Iliade , quindi la conclusione, sconsolata per se
stessa, ancora malamente viva, e consolatoria per la suocera che piange la
figlia morta: "Io, caro Ettore, avevo in te un uomo che mi bastava, grande
per intelligenza, nobiltà, ricchezza e forza. E dopo avermi presa vergine dalla
casa di mio padre, per primo aggiogasti il mio letto verginale. E ora tu sei
morto, ed io navigherò verso l'Ellade, prigioniera di guerra destinata a un
giogo servile. Non ha forse mali minori dei miei la morte di Polissena che tu
piangi?"
(Troiane, vv. 673 - 680).
giovanni ghiselli
[1] Nella Seconda Olimpica , :" saggio è chi sa molto per
natura", v. 86.
[2] Rispettivamente
del 422 e del 424.
[3]Ph. E. Slater, The glory of Hera ,
in La tragedia greca. Guida storica e critica , p. 161.
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