lunedì 25 gennaio 2021

Euripide. 43

Bhagwan Shree Rajneesh
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Argomenti

Il logos e la logica. Sofocle va oltre la logica: individua l’inconscio. Freud riconosce quanto gli deve. Anche Euripide oltrepassa la logica e il sapere per indicare la sapienza. P. P. Pasolini su Dioniso e i Pentei italiani. Euripide e il mito di Stato.

 

Un saggio indiano, Shree Rajneesh, commentando Eraclito (in L'armonia nascosta) ricorda che "la vita non è logica. E' logos, ma non è logica." Il filosofo di Efeso il quale, come il signore di cui c'è l'oracolo a Delfi "ou[te levgei ou[te kruvptei ajlla; shmaivnei", non dice né nasconde ma significa (fr.120 Diano), ha indagato se stesso (fr.126 Diano), al pari di Edipo, e ha scorto un'armonia nascosta più forte di quella che evidente tutti: "aJrmonivh ajfanh;" fanerh'" kreivsswn" (fr.27 Diano).

 

Sofocle è essenzialmente poeta apollineo

Il poeta di Colono rappresenta personaggi i quali, nel bene e nel male, giungono là dove la sola logica non può arrivare. La loro grande passione può essere definita dalla massima delfica "Conosci te stesso". Essi intraprendono una ricerca che li porta fino all'inconscio e oltre; le loro parole vanno molto al di là della logica.

Sofocle apre i sotterranei dell’anima molto tempo prima di Freud.

 

 Sull'altro versante della cultura greca tragica, quello dionisiaco, c'è innanzitutto il Bacco di Euripide che guida un esercito di Menadi contro l'unilateralità della logica.

 Le donne di Tebe invasate dal bel dio figlio di Zeus e di Semele cantano che il sapere non è sapienza:"to; sofo;n d& ouj sofiva"(v.395). Il baccantismo cui il tragediografo ateniese ha dato voce poetica nel più denso dei suoi drammi, può essere inteso come una reazione, anche fisiologica, tanto all'oppressione delle donne, alla repressione del loro istinto, quanto a un uso spropositato della presunta razionalità, ossia della logica meschina con la quale i burocrati"scemi" vogliono ridurre in formule e rendere grigia la vita varia e variopinta del mondo.

 La baccante è lieta come puledra che, insieme con la madre al pascolo, muove a salti l'agile piede "hJdomevna d j a[ra, pw'lo" o{pw" a{ma matevri - forbavdi, kw'lon a[gei tacuvpoun skirthvmati" (vv.166 - 167); mentre Penteo, il capo che si crede razionale, è scemo e dice cose sceme: "mw'ra ga;r mw'ro" levgei" (v.369). Non è un ossimoro vivente come Bruto o Amleto, i falsi sciocchi; Penteo è un mw`ro~ integrale.

 

Una reazione del genere è avvenuta in tempi recenti: precisamente nel movimento del 1976 - 77, dove c'era una forte componente femminista animata anche dalla volontà di rivalutare la fantasia, l'istinto, in particolare quello delle donne, contro gli angusti schemi della burocrazia del "compromesso storico". Poi però, proprio come nelle Baccanti di Euripide, la fantasia è stata ricacciata indietro dalle stragi, quindi l'istinto è decaduto nella subrazionalità e nell'ignoranza imposta dalla televisione attraverso il "genocidio culturale" denunciato, invano, da Pasolini.

 Un genocidio che si è ritorto contro i manovratori che l'hanno voluto, aprendo la strada a padroni nuovi, forse ancora più rozzi di quelli vecchi. Così nell'antica Atene la libertà anarchica delle Baccanti è decaduta nel disimpegno politico e nella chiusura dentro la sfera privata, nell'egoismo e nella "calva assennatezza" della commedia di Menandro.

Sentiamo alcune parole di P: P. Pasolini su Dioniso: “Egli è venuto in forma umana a Tebe per portare amore (ma mica quello sentimentale e benedetto dalle convenzioni!), e invece porta il dissesto e la carneficina. Egli è l’irrazionalità che cangia, insensibilmente e nella più suprema indifferenza, dalla dolcezza all’orrore. Attraverso essa non c’è soluzione di continuità tra Dio e il Diavolo, tra il bene e il male (Dioniso si trasforma, appunto, insensibilmente e nella più suprema indifferenza, dal giovane pieno di grazia che era al suo primo apparire in un giovane amorale e criminale. Sia come apparizione “benigna” che come apparizione “maledetta”, la società, fondata sulla ragione e sul buon senso - che sono il contrario di Dioniso, cioè dell’irrazionalità - non lo comprende. Ma è la sua stessa incomprensione di questa irrazionalità che la porta irrazionalmente alla rovina (alla più orrenda carneficina mai descritta in un’opera d’arte. Sono gli I. M. , per citare Elsa Morante, gli Infelici Molti, ossia la maggioranza, o la media, fondata sulla razionalità e sul buon senso, che non comprendono la grazia di Dioniso, la sua libertà, e, perciò, finiscono atrocemente nella strage: di cui peraltro la irrazionalità stessa è patrona. Quanti Péntei, nella nostra società (…) I Pentei italiani sono dei mediocri, dei meschini imbecilli, neanche degni di essere dilaniati dalle Menadi ”[1]. 

 

L’ inclinazione per la psicologia non elimina l'interesse politico: non è vero che, secondo quanto scrive Aristofane, che Euripide disgregò l'amor di patria degli antichi maratonomachi; anzi tutta la sua attività poetica si svolse in funzione della comunità, e in particolare il tragediografo si schierò in favore della democrazia accogliente di tipo pericleo, soprattutto con gli Eraclidi e con le Supplici che sono inni ad Atene. Euripide anzi con queste tragedie e altre come la Medea contribuì a creare il mito di Stato.

"Euripide era legato alla propria patria da un amore appassionato. Nella prima fase della guerra peloponnesiaca adoperò la propria arte per sostenere la giusta causa d'Atene e per esaltare lo spirito e le realizzazioni del popolo ateniese, e anche dopo la spedizione siciliana, proprio perché disapprovava la politica della città, considerò suo dovere prendere posizione, molto più decisamente di Sofocle, di fronte ai problemi dell'ora. Ciò gli riusciva tanto più facile in quanto il mito aveva ormai per lui uno scarso significato e perciò lo poteva liberamente investire con i problemi del presente. Anche per lui i fondamentali problemi dell'uomo erano al centro dell'interesse. Ma mentre Eschilo aveva proclamato la sua fede incrollabile in Zeus uno e onnipotente e nel suo giusto ordine universale, e mentre Sofocle, per ammonire gli uomini di guardarsi dalle nuove correnti di pensiero, non si stancava di dimostrare la nullità dell'uomo e la sua dipendenza dalla divinità, e in tutti i problemi della vita affermava come istanza suprema le leggi eterne e non scritte e le massime di Apollo, Euripide, figlio della nuova età, cercò la soluzione di tutti i problemi umani esclusivamente nell'uomo stesso"[2].

 

giovanni ghiselli 

 

 

 



[1] Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società,p p. 1142 - 1143

[2] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 624.

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