PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIBhagwan Shree Rajneesh
Argomenti
Il logos e la logica. Sofocle va oltre la logica:
individua l’inconscio. Freud riconosce quanto gli deve. Anche Euripide
oltrepassa la logica e il sapere per indicare la sapienza. P. P. Pasolini su
Dioniso e i Pentei italiani. Euripide e il mito di Stato.
Un saggio
indiano, Shree Rajneesh, commentando Eraclito (in L'armonia nascosta)
ricorda che "la vita non è logica. E' logos, ma non è logica." Il
filosofo di Efeso il quale, come il signore di cui c'è l'oracolo a Delfi "ou[te levgei
ou[te kruvptei ajlla; shmaivnei", non dice né nasconde ma
significa (fr.120 Diano), ha indagato se stesso (fr.126 Diano), al pari di
Edipo, e ha scorto un'armonia nascosta più forte di quella che evidente tutti: "aJrmonivh
ajfanh;" fanerh'" kreivsswn" (fr.27
Diano).
Sofocle è essenzialmente poeta apollineo
Il poeta di Colono rappresenta personaggi i quali, nel bene e nel
male, giungono là dove la sola logica non può arrivare. La loro grande passione
può essere definita dalla massima delfica "Conosci te stesso". Essi
intraprendono una ricerca che li porta fino all'inconscio e oltre; le loro
parole vanno molto al di là della logica.
Sofocle apre i sotterranei dell’anima molto tempo prima di Freud.
Sull'altro versante della cultura greca tragica, quello dionisiaco,
c'è innanzitutto il Bacco di Euripide che guida un esercito di Menadi contro
l'unilateralità della logica.
Le donne di Tebe invasate dal bel dio figlio di Zeus e di Semele
cantano che il sapere non è sapienza:"to; sofo;n d& ouj sofiva"(v.395). Il baccantismo cui il tragediografo ateniese ha dato voce
poetica nel più denso dei suoi drammi, può essere inteso come una reazione, anche
fisiologica, tanto all'oppressione delle donne, alla repressione del loro
istinto, quanto a un uso spropositato della presunta razionalità, ossia della
logica meschina con la quale i burocrati"scemi" vogliono ridurre in
formule e rendere grigia la vita varia e variopinta del mondo.
La baccante è lieta come puledra che, insieme con la madre al
pascolo, muove a salti l'agile piede "hJdomevna d j a[ra, pw'lo"
o{pw" a{ma matevri - forbavdi, kw'lon a[gei tacuvpoun skirthvmati" (vv.166 - 167); mentre Penteo, il
capo che si crede razionale, è scemo e dice cose sceme: "mw'ra ga;r
mw'ro" levgei" (v.369). Non è un ossimoro vivente come Bruto o
Amleto, i falsi sciocchi; Penteo è un mw`ro~ integrale.
Una reazione del genere è avvenuta in tempi recenti: precisamente nel
movimento del 1976 - 77, dove c'era una forte componente femminista animata
anche dalla volontà di rivalutare la fantasia, l'istinto, in particolare quello
delle donne, contro gli angusti schemi della burocrazia del "compromesso
storico". Poi però, proprio come nelle Baccanti di
Euripide, la fantasia è stata ricacciata indietro dalle stragi, quindi
l'istinto è decaduto nella subrazionalità e nell'ignoranza imposta dalla
televisione attraverso il "genocidio culturale" denunciato, invano,
da Pasolini.
Un genocidio che si è ritorto contro i manovratori che l'hanno
voluto, aprendo la strada a padroni nuovi, forse ancora più rozzi di quelli
vecchi. Così nell'antica Atene la libertà anarchica delle Baccanti è
decaduta nel disimpegno politico e nella chiusura dentro la sfera privata,
nell'egoismo e nella "calva assennatezza" della commedia di Menandro.
Sentiamo alcune parole di P: P. Pasolini su Dioniso: “Egli è venuto in
forma umana a Tebe per portare amore (ma mica quello sentimentale e benedetto
dalle convenzioni!), e invece porta il dissesto e la carneficina. Egli è
l’irrazionalità che cangia, insensibilmente e nella più suprema
indifferenza, dalla dolcezza all’orrore. Attraverso essa non c’è soluzione di
continuità tra Dio e il Diavolo, tra il bene e il male (Dioniso si trasforma,
appunto, insensibilmente e nella più suprema indifferenza, dal giovane pieno di
grazia che era al suo primo apparire in un giovane amorale e criminale. Sia
come apparizione “benigna” che come apparizione “maledetta”, la società,
fondata sulla ragione e sul buon senso - che sono il contrario di Dioniso, cioè
dell’irrazionalità - non lo comprende. Ma è la sua stessa incomprensione di
questa irrazionalità che la porta irrazionalmente alla rovina
(alla più orrenda carneficina mai descritta in un’opera d’arte. Sono gli I. M.
, per citare Elsa Morante, gli Infelici Molti, ossia la maggioranza, o la
media, fondata sulla razionalità e sul buon senso, che non comprendono la
grazia di Dioniso, la sua libertà, e, perciò, finiscono atrocemente nella
strage: di cui peraltro la irrazionalità stessa è patrona. Quanti Péntei, nella
nostra società (…) I Pentei italiani sono dei mediocri, dei meschini imbecilli,
neanche degni di essere dilaniati dalle Menadi ”[1].
L’
inclinazione per la psicologia non elimina l'interesse politico: non è vero
che, secondo quanto scrive Aristofane, che Euripide disgregò l'amor di patria
degli antichi maratonomachi; anzi tutta la sua attività poetica si svolse in
funzione della comunità, e in particolare il tragediografo si schierò in favore
della democrazia accogliente di tipo pericleo, soprattutto con gli Eraclidi e con
le Supplici che sono inni ad Atene. Euripide anzi con queste
tragedie e altre come la Medea contribuì a creare il mito di
Stato.
"Euripide
era legato alla propria patria da un amore appassionato. Nella prima fase della
guerra peloponnesiaca adoperò la propria arte per sostenere la giusta causa
d'Atene e per esaltare lo spirito e le realizzazioni del popolo ateniese, e
anche dopo la spedizione siciliana, proprio perché disapprovava la politica
della città, considerò suo dovere prendere posizione, molto più decisamente di
Sofocle, di fronte ai problemi dell'ora. Ciò gli riusciva tanto più facile in
quanto il mito aveva ormai per lui uno scarso significato e perciò lo poteva
liberamente investire con i problemi del presente. Anche per lui i fondamentali
problemi dell'uomo erano al centro dell'interesse. Ma mentre Eschilo aveva
proclamato la sua fede incrollabile in Zeus uno e onnipotente e nel suo giusto
ordine universale, e mentre Sofocle, per ammonire gli uomini di guardarsi dalle
nuove correnti di pensiero, non si stancava di dimostrare la nullità dell'uomo
e la sua dipendenza dalla divinità, e in tutti i problemi della vita affermava
come istanza suprema le leggi eterne e non scritte e le massime di Apollo,
Euripide, figlio della nuova età, cercò la soluzione di tutti i problemi umani
esclusivamente nell'uomo stesso"[2].
giovanni
ghiselli
[1] Pasolini, Saggi sulla politica
e sulla società,p p. 1142 - 1143
[2] M. Pohlenz, L'uomo greco,
p. 624.
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