PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIlocandina del Festival della bellezza, Verona
Argomento
Il culto della bellezza. La giustificazione estetica della vita umana
Il culto della bellezza, è un'altra delle ragioni per cui i Greci sono
nostri padri spirituali.
Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere, afferma Polissena
quando antepone una morte dignitosa a una vita senza onore: "to; ga;r zh'n
mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba , v. 378), vivere senza
bellezza è un grande tormento[1]".
La venerazionr della bellezza nella vita e nella morte non manca in
Sofocle: Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo
questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire
nobilmente"peivsomai ga;r ouj - tosou`ton oujden w{ste mh; ouj
kalw`~ qanei`n ( Antigone,
vv. 95 - 97).
L’ Aiace di Sofocle risponde al corifeo che è in dubbio se
trattenerlo o farlo parlare:"ajll j h] kalw'" zh'n h]
kalw'" teqnhkevnai - to;n eujgenh' crhv" (Aiace, vv.479 - 480), ma il nobile deve o vivere con stile, o con
stile morire.
Altrettanto afferma Neottolemo, il figlio schietto dello schietto
Achille, in faccia al subdolo Odisseo :"
“bouvlomai d' , a[nax,
kalw'" - drw'n ejxamartei'n ma'llon h] nika'n kakw'"" (Filottete, vv. 94 - 95), preferisco, sire, fallire agendo
con nobiltà che avere successo nella volgarità.
Insomma: tw`/ pavqei
kallo~. “ Ma
aggiungi anche questo, tu, bizzarro straniero: quanto dovette soffrire questo
popolo, per diventare così bello!”[2]
Lo scopo cui
tende amore, secondo la Diotima di Platone, è la procreazione nel bello secondo
il corpo e secondo l'anima:"tovko" ejn kalw'/ kai; kata;
to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" (Platone, Simposio , 2O6b).
Aristotele Politica 1311a
Lo scopo del
tiranno è il piacere (to; hJduv), quello del re to; kalovn, la bellezza.
Nella Retorica (1389b)
Aristotele, sparlando a proposito e a sproposito dei vecchi, dice che
sono fivlautoi ma'llon h] dei', egoisti più del dovuto e che
questa è una forma di mikroyuciva, meschinità: kai; pro;~ to; sumfevron zw'sin,
ajll j ouj pro;~ to; kalovn, vivono per l’utile e non per il bello, proprio per il fatto di essere
egoisti: l’utile infatti è un bene individuale, mentre il bello è un bene
assoluto (to; de; kalo;n aJplw'~).
Secondo
Jaeger nella cultura greca "la considerazione dell'utile è indifferente o
ad ogni modo accessoria e l'elemento decisivo è invece il kalovn, cioè il Bello, col valore impegnativo d'un miraggio, d'un ideale (...)
Dai poemi di Omero alle opere filosofiche di Platone e Aristotele la
parola kalovn, "il bello" denota una
delle più significative forme del valore personale. In contrasto a parole
come hjduv o sumfevron, il piacevole o l'utile, kalovn significa
l'ideale (...) Un'azione è fatta dia; to; kalovn, ogni volta che esprime semplicemente un ideale umano come fine a se
stesso, non quando serve a un altro fine."[3]
Nell'Eracle , Euripide attraverso "il cantuccio" del
coro fa questa sua dichiarazione d'amore alla bellezza e alla poesia:"non
cesserò mai di unire le Grazie alle Muse, dolcissimo connubio. Che io non viva
senza la Poesia ma sia sempre tra le corone. Ancora vecchio l'aedo fa risuonare
la Memoria"(vv. 673 - 679).
Questo elogio della poesia fa da contraltare al biasimo della vecchiaia che
grava sul capo dei vecchi compagni d'armi di Anfitrione come un carico più
pesante delle rupi dell'Etna[4] ("to; de;
gh'ra" a[cqo" - baruvteron Ai[tna" skopevlwn - ejpi; krati;
kei'tai" (Eracle, vv. 638 - 640).
Sentiamo Leopardi: “Uno de’ maggiori frutti che io mi propongo e spero
da’ miei versi, è che essi riscaldino la mia vecchiezza col calore della
mia gioventù; è di assaporarli in quella età, e provar qualche reliquia de’
miei sentimenti passati, messa quivi entro, per conservarla e darle durata,
quasi in deposito; è di commuovere me stesso in rileggerli, come spesso mi
accade, e meglio che in leggere poesie d’altri: (Pisa, 15 Aprile 1828); oltre
la rimembranza, il riflettere sopra quello ch’io fui, e paragonarmi meco
medesimo; e in fine il piacere che si prova in gustare e apprezzare i propri
lavori, e contemplare da sè compiacendosene, le bellezze e i pregi di un
figliuolo proprio, non con altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa
bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui. (Pisa, 15
febbraio, ultimo Venerdì di Carnevale, 1828)”[5].
Ma torniamo all’Eracle.
Un aspetto della bellezza è la giovinezza.
La giovinezza è preferibile alla ricchezza, ed è bellissima tanto nella
prosperità quanto nella povertà: “kallivsta me;n ejn o[lbw/, - kallivsta
d j ejn peniva/”, Euripide, Eracle, vv. 647 - 648.
E più avanti: “Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi" -
kai; sofiva) secondo i criteri umani
donerebbero una doppia giovinezza (divdumon h{ban) come segno evidente di virtù a quanti la posseggono, ed essi, una volta
morti, di nuovo nella luce del sole (eij" aujga" pavlin aJlivou), percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente ignobile avrebbe una
sola possibilità di vita (Euripide, Eracle, vv.661 - 669).
Marziale afferma che l’uomo buono, privo di rimorsi, gode del frutto del
suo passato e accresce lo spazio della propria esistenza: “ampliat aetatis
spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita posse priore frui” (X 23,
7 - 8).
Concludo con Leopardi che considera i Greci “intendentissimi del bello”[6], e riconosce il fatto che la bellezza
è associata alla bontà
nella kalokajgaqiva greca
Quello dei
Greci era: “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza
dal buono al bello” (Leopardi, Operette morali, Detti
memorabili di Filippo Ottonieri).
Bologna 18 gennaio 2021, ore 19, 35
giovanni ghiselli
p. s
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[1] Quando si vive fuori dal bello insomma
la morte può essere una liberazione. E’ quanto afferma anche il quarto dei
Gimnosofisti indiani cui Alessandro Magno aveva fatto domandare perché avesse
indotto Sabba alla rivolta: “ajpekrivnato kalw'~ zh'n boulovmeno~ aujto;n h] kalw'~
ajpoqanei'n”
(Plutarco, Vita di Alessandro, 64,6), volendo, rispose, che quello
nobilmente vivesse o nobilmente morisse. La bellezza e la dignità della morte
viene anteposta alla degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima discendente
di Tolomeo Sotèr: lo capisce l'ancella Carmione la quale, al soldato che,
vedendo il cadavere della regina, le ha domandato : "kala; tau'ta
Cavrmion ;"
è bello questo?, risponde con il suo ultimo fiato: "kavllista me;n
ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn" (Plutarco, Vita di
Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà a una donna che discende da re
tanto grandi. Lo stesso personaggio dell'Antonio e Cleopatra di
Shakespeare, all'ottuso soldato che le ha posto la medesima domanda retorica,
replica : "It is well done, and fitting for a princess - Descended of
so many royal kings. Ah, soldier! (5, 2)", è ben fatto e adatto a
una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!
[2] Nietzsche, La nascita della
tragedia, capitolo 25
[3] Paideia , 1, p. 27 e nota
4
[4] Callimaco vorrebbe spogliarsi delle
vecchiaia che gli pesa addosso quanto l’isola tricuspide sul maledetto Encelado
(Aitia fr. 1, vv. 35 - 36).
[5] Zibaldone, 4302
[6] Zibaldone 2546
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