lunedì 18 gennaio 2021

Euripide. 22

locandina del Festival della bellezza, Verona
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Argomento

Il culto della bellezza. La giustificazione estetica della vita umana 

 

Il culto della bellezza, è un'altra delle ragioni per cui i Greci sono nostri padri spirituali.

Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere, afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a una vita senza onore: "to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba , v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento[1]".

 

La venerazionr della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle: Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente"peivsomai ga;r ouj - tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( Antigone, vv. 95 - 97).

 

L’ Aiace di Sofocle risponde al corifeo che è in dubbio se trattenerlo o farlo parlare:"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai - to;n eujgenh' crhv" (Aiace, vv.479 - 480), ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire.

 

 Altrettanto afferma Neottolemo, il figlio schietto dello schietto Achille, in faccia al subdolo Odisseo :"

 bouvlomai d' , a[nax, kalw'" - drw'n ejxamartei'n ma'llon h] nika'n kakw'"" (Filottete, vv. 94 - 95), preferisco, sire, fallire agendo con nobiltà che avere successo nella volgarità.

Insomma: tw`/ pavqei kallo~. “ Ma aggiungi anche questo, tu, bizzarro straniero: quanto dovette soffrire questo popolo, per diventare così bello!”[2]

 

Lo scopo cui tende amore, secondo la Diotima di Platone, è la procreazione nel bello secondo il corpo e secondo l'anima:"tovko" ejn kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" (Platone, Simposio , 2O6b).

 

Aristotele Politica 1311a

Lo scopo del tiranno è il piacere (to; hJduv), quello del re to; kalovn, la bellezza. 

 

Nella Retorica (1389b) Aristotele, sparlando a proposito e a sproposito dei vecchi, dice che sono fivlautoi ma'llon h] dei', egoisti più del dovuto e che questa è una forma di mikroyuciva, meschinità: kai; pro;~ to; sumfevron zw'sin, ajll j ouj pro;~ to; kalovn, vivono per l’utile e non per il bello, proprio per il fatto di essere egoisti: l’utile infatti è un bene individuale, mentre il bello è un bene assoluto (to; de; kalo;n aJplw'~). 

 

Secondo Jaeger nella cultura greca "la considerazione dell'utile è indifferente o ad ogni modo accessoria e l'elemento decisivo è invece il kalovn, cioè il Bello, col valore impegnativo d'un miraggio, d'un ideale (...) Dai poemi di Omero alle opere filosofiche di Platone e Aristotele la parola kalovn, "il bello" denota una delle più significative forme del valore personale. In contrasto a parole come hjduv o sumfevron, il piacevole o l'utile, kalovn significa l'ideale (...) Un'azione è fatta dia; to; kalovn, ogni volta che esprime semplicemente un ideale umano come fine a se stesso, non quando serve a un altro fine."[3]

 

Nell'Eracle , Euripide attraverso "il cantuccio" del coro fa questa sua dichiarazione d'amore alla bellezza e alla poesia:"non cesserò mai di unire le Grazie alle Muse, dolcissimo connubio. Che io non viva senza la Poesia ma sia sempre tra le corone. Ancora vecchio l'aedo fa risuonare la Memoria"(vv. 673 - 679).

Questo elogio della poesia fa da contraltare al biasimo della vecchiaia che grava sul capo dei vecchi compagni d'armi di Anfitrione come un carico più pesante delle rupi dell'Etna[4] ("to; de; gh'ra" a[cqo" - baruvteron Ai[tna" skopevlwn - ejpi; krati; kei'tai" (Eracle, vv. 638 - 640).

 

Sentiamo Leopardi: “Uno de’ maggiori frutti che io mi propongo e spero da’ miei versi, è che essi riscaldino la mia vecchiezza col calore della mia gioventù; è di assaporarli in quella età, e provar qualche reliquia de’ miei sentimenti passati, messa quivi entro, per conservarla e darle durata, quasi in deposito; è di commuovere me stesso in rileggerli, come spesso mi accade, e meglio che in leggere poesie d’altri: (Pisa, 15 Aprile 1828); oltre la rimembranza, il riflettere sopra quello ch’io fui, e paragonarmi meco medesimo; e in fine il piacere che si prova in gustare e apprezzare i propri lavori, e contemplare da sè compiacendosene, le bellezze e i pregi di un figliuolo proprio, non con altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui. (Pisa, 15 febbraio, ultimo Venerdì di Carnevale, 1828)”[5].

 

Ma torniamo all’Eracle

Un aspetto della bellezza è la giovinezza.

La giovinezza è preferibile alla ricchezza, ed è bellissima tanto nella prosperità quanto nella povertà: “kallivsta me;n ejn o[lbw/, - kallivsta d j ejn peniva/”, Euripide, Eracle, vv. 647 - 648.

 

E più avanti: “Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi" - kai; sofiva) secondo i criteri umani donerebbero una doppia giovinezza (divdumon h{ban) come segno evidente di virtù a quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di nuovo nella luce del sole (eij" aujga" pavlin aJlivou), percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente ignobile avrebbe una sola possibilità di vita (Euripide, Eracle, vv.661 - 669).

 

Marziale afferma che l’uomo buono, privo di rimorsi, gode del frutto del suo passato e accresce lo spazio della propria esistenza: “ampliat aetatis spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita posse priore frui” (X 23, 7 - 8).

 

Concludo con Leopardi che considera i Greci “intendentissimi del bello”[6]e riconosce il fatto che la bellezza è associata alla bontà

nella kalokajgaqiva greca

 Quello dei Greci era: “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Operette moraliDetti memorabili di Filippo Ottonieri).

 

Bologna 18 gennaio 2021, ore 19, 35

giovanni ghiselli

 

p. s

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[1] Quando si vive fuori dal bello insomma la morte può essere una liberazione. E’ quanto afferma anche il quarto dei Gimnosofisti indiani cui Alessandro Magno aveva fatto domandare perché avesse indotto Sabba alla rivolta: “ajpekrivnato kalw'~ zh'n boulovmeno~ aujto;n h] kalw'~ ajpoqanei'n” (Plutarco, Vita di Alessandro, 64,6), volendo, rispose, che quello nobilmente vivesse o nobilmente morisse. La bellezza e la dignità della morte viene anteposta alla degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima discendente di Tolomeo Sotèr: lo capisce l'ancella Carmione la quale, al soldato che, vedendo il cadavere della regina, le ha domandato : "kala; tau'ta Cavrmion ;" è bello questo?, risponde con il suo ultimo fiato: "kavllista me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn" (Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà a una donna che discende da re tanto grandi. Lo stesso personaggio dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare, all'ottuso soldato che le ha posto la medesima domanda retorica, replica : "It is well done, and fitting for a princess - Descended of so many royal kings. Ah, soldier! (5, 2)", è ben fatto e adatto a una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!

[2] Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 25

[3] Paideia , 1, p. 27 e nota 4

[4] Callimaco vorrebbe spogliarsi delle vecchiaia che gli pesa addosso quanto l’isola tricuspide sul maledetto Encelado (Aitia fr. 1, vv. 35 - 36).

[5] Zibaldone, 4302

[6] Zibaldone 2546

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