Argomenti
Le
maldicenze di Aristofane sul conto di Euripide. Le critiche malevole del
commediografo al tragediografo verranno riproposte da A. W. Schlegel e da F.
Nietzsche.
Che
cosa è il “socratismo estetico” (La
nascita della tragedia)
Euripide nacque ad Atene verso il 485, ma
la tradizione che riuniva i tre drammaturghi del V secolo intorno all'anno 480,
faceva coincidere il suo giorno natale con quello della battaglia di Salamina
(verso la fine di settembre).
Una Vita anonima
afferma che il poeta era figlio di un "bottegaio" e di una
"erbivendola, e che aveva avuto due mogli infedeli, notizie ricavate
probabilmente dalle commedie di Aristofane[1] che fanno di Euripide uno dei loro
bersagli polemici. L'autore delle Baccanti sarebbe
stato discepolo di Anassagora e amico di Socrate, secondo una tradizione
critica che lo assimila ai filosofi contemporanei e lo considera il portavoce
della sofistica.
Ma nessuna sicurezza, quasi nessun punto
fermo è possibile trovare nelle sue tragedie, animate da eterni cercatori di
qualche cosa che non trovano. Euripide e alcuni suoi personaggi non hanno nemmeno
la certezza della vita e della morte.
Nel Frisso (fr.
833) e nel Poliido (fr.
638) compare una famosa questione: “tiv" d j oi\den eij to; zh'n mevn ejsti
katqanei'n, to; katqanei'n de; zh'n
kavtw nomivzetai;”,
chi sa se il vivere non sia essere morti,/ ed essere morti invece
laggiù non venga considerato vivere?
Sotto il segno della sofistica
Euripide aveva imparato a dubitare di tutto.
Anche la storia del sodalizio con Socrate e
addirittura della loro complicità , che Nietzsche considera foriera di morte
per la tragedia classica, parte da Aristofane
il quale nelle Rane [2] fa
dire al coro soddisfatto per la vittoria di Eschilo su Euripide:" bella
cosa è dunque non stare seduto a chiacchierare con Socrate disprezzando la
musica e trascurando la grandezza dell'arte tragica" (vv. 1492-1496).
Sentiamo la rielaborazione di Nietzsche:
“ Se abbiamo dunque riconosciuto che
Euripide non riuscì in genere a fondare il dramma soltanto sull’apollineo, che
anzi la sua tendenza antidionisiaca si sviò in una tendenza naturalistica e non
artistica, potremo ormai avvicinarci all’essenza del socratismo estetico, la cui legge
suprema suona a un dipresso: “Tutto deve essere razionale per essere bello”,
come proposizione parallela al socratico: “solo chi sa è virtuoso”.
Con questo canone alla mano Euripide misurò
ogni particolare, rettificandolo secondo tale legge: la lingua, i caratteri, la
costruzione drammaturgica, la musica corale. Ciò che noi sogliamo tanto spesso
imputare a Euripide come difetto e regresso poetico in confronto alla tragedia
sofoclea, è per lo più il prodotto di quell’incalzante processo critico, di quella
temeraria razionalità ( …) Euripide si accinse a mostrare al mondo, come anche
fece Platone, l’opposto del poeta “irragionevole”; il suo principio estetico
“tutto deve essere cosciente per essere bello” è, come ho detto, la
proposizione parallela al precetto socratico “tutto deve essere cosciente per
essere buono”. Per conseguenza Euripide può essere da noi considerato come il
poeta del socratismo estetico. Ma Socrate era quel secondo
spettatore che non capiva la tragedia antica e perciò non
l’apprezzava; in lega con lui Euripide osò essere l’araldo di una nuova
creazione artistica. Se a causa di essa la tragedia antica perì, il principio
micidiale fu dunque il socratismo estetico; in quanto peraltro la lotta era
rivolta contro il dionisiaco dell’arte antica, riconosciamo in Socrate
l’avversario di Dioniso, il nuovo Orfeo che si leva contro Dioniso e, benché
destinato a essere dilaniato dalle Menadi del tribunale ateniese, costringe
alla fuga lo stesso potentissimo dio. Quest’ultimo, come nel tempo in cui era
fuggito[3] di fronte al re degli Edoni Licurgo,
si salva nelle profondità del mare, cioè nei flutti mistici di un culto
segreto, che a poco a poco invaderà il mondo intero”[4].
giovanni ghiselli
[1] P. e.gli Acarnesi (del
425) dove il protagonista Diceopoli dice al personaggio Euripide:"dammi il
cerfoglio che ti ha lasciato la mamma" (v. 478).
[2] [2] Del
405 a. C.
[3] Invero Dioniso è una di quelle figure
mitiche e divine che assumono diversi aspetti. Arriano avverte che gli Ateniesi venerano
un altro Dioniso, rispetto a quello tebano figlio di Zeus e Semele. Il dio
ateniese è figlio di Zeus e di Core, e il canto Iacco dei misteri
viene intonato a questo , non a quello tebano (Anabasi
di Alessandro, 2, 16, 3). Anche Nietzsche riconosce questa
duplicità: “Dal sorriso di questo Dioniso sono nati gli dèi olimpici, dalle sue
lacrime gli uomini. In quell’esistenza in quanto dio smembrato Dioniso ha la
doppia natura di un demone crudele e selvagio e di un dominatore mite e dolce” (La
nascita della tragedia, p. 72)
Così forse si spiega la differenza tra
il Dioniso feroce delle Baccanti e
quello di Omero cui allude Nietzsche, un dio impaurito (Iliade,
6, 135 Diwvnuso"
de; fobhqeiv" ) e infantile,
che, minacciato da Licurgo, si getta in mare dove Tetide lo accolse in seno,
spaventato e tremante per le grida dell’uomo feroce. Poi c’è il
Dioniso pauroso e ridicolo delle Rane di
Aristofane. Questo dio fugge, terrorizzato da Empusa, tra le braccia
del suo sacerdote (v. 297), quindi viene apostrofato dal servo Xantia con:"
oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini!"(v. 486). Il dio se l'era voluta, cacandosi addosso dalla
paura (v. 479) n.d. r.
[4] F. Nietzsche, Die
Geburt der Tragödie, La
nascita della tragedia, capitolo 12
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