PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIMarie Spartali Stillman, Antigone
Argomenti
L’ironia tragica. La forza dei legami di sangue.
L’ironia tragica è un’altra caratteristica sofoclea: chi pronuncia le
parole intende dare loro un significato che arriva capovolto alle orecchie
dello spettatore, come attraverso un'eco rovesciata
“L'ironia
tragica potrà consistere nel mostrare come nel corso dell'azione l'eroe si
trovi letteralmente "preso in parola", una parola che si ritorce
contro di lui arrecandogli l'amara esperienza del senso ch'egli si ostinava a
non riconoscere[1]. Solamente al di sopra della testa
dei personaggi si allaccia tra l'autore e lo spettatore un altro dialogo ove la
lingua ricupera la sua capacità di comunicazione e per così dire la sua
trasparenza. Ma ciò che il messaggio trasmette, quando è compreso, è appunto
che nelle parole scambiate fra gli uomini esistono zone d'opacità e
d'incomunicabilità. Nel momento in cui vede sulla scena i protagonisti aderire esclusivamente
a un senso e, così acciecati, perdere se stessi o dilaniarsi a vicenda, lo
spettatore è portato a comprendere che esistono in realtà due sensi possibili,
o più. Il messaggio tragico gli diviene intelligibile nella misura in cui,
strappato alle sue certezze e alle sue limitazioni antiche, egli riconosce
l'ambiguità dei termini, dei valori, della condizione umana. Riconoscendo
l'universo come conflittuale, aprendosi a una visione problematica del mondo,
egli stesso si fa, attraverso lo spettacolo, coscienza tragica"[2].
Un esempio
molto chiaro di ironia tragica si trova nei versi del primo episodio 264 e 265
quando Edipo dice: io, invece dei figli che Laio non ha avuto, combatterò pe
lui come se fosse mio padre - “wjsperei; toumou` patrov", - uJpermacou`mai”. Gli spettatori sapevano che Laio
era davvero il padre di Edipo.
Un tema fondamentale dei drammi di Sofocle è quello della forza dei vincoli di sangue. Euripide invece dà più impotanza ai legami
affettivi, come già Solone
Antigone fin dal primo verso[3] sottolinea ed enfatizza questo vincolo che, a parer
suo, è il più
forte tra le persone, come chiarirà nel quarto episodio , dove spiega che un
parente pur stretto come uno sposo, ma acquisito, una volta morto si
può rimpiazzare, mentre un fratello, defunti i genitori, non è possibile che
nasca di nuovo[4].
Questa è una delle non poche posizioni[5] che accomunano il nostro autore a Erodoto il quale (in III, 119, 3 - 6)
esprime il medesimo punto di vista attraverso la moglie di Intaferne: la donna,
potendo salvare uno solo dei suoi familiari imprigionati dal grande re Dario,
scelse il fratello con la medesima argomentazione della ragazza sofoclea.
Questa scelta costituisce uno degli aspetti dell'arcaismo di Sofocle, il
quale, sostiene Hauser,"fin
da principio sacrifica l'idea dello stato popolare democratico agli ideali
dell'etica nobiliare; e, nella lotta fra il diritto familiare privato e il
potere assoluto ed egualitario dello Stato, parteggia risolutamente per l'idea
tribale"[6]. Il Nostro autore nuotò contro le onde della storia e delle mode
culturali. Del resto “solo i pesci
morti vanno con la corrente”[7].
Diversa è la posizione di Euripide il quale nell'Oreste[8] fa dire al protagonista, in lode dell'amicizia di
Pilade:"acquistate amici, non solo parenti:/poiché chiunque collimi nel
carattere, pur essendo un estraneo,/è un amico più caro ad aversi di mille
consanguinei (murivwn kreivsswn oJmaivmwn ajndri; kekth`sqai fivlo~)"(vv. 804 - 806).
Si può pensare del resto che già nell'Alcesti [9] il drammaturgo più giovane rappresenta una sposa la quale sacrifica
per il marito la propria vita dopo che il padre e la madre di lui si erano
rifiutati di donargli la loro.
Plutarco nella Vita di Solone racconta
che il legislatore ateniese permise a chi non aveva
figli di lasciare in eredità i propri beni anche fuori dalla famiglia in quanto
“filivan te suggeneiva~ ejtivmhse ma`llon kai; cavrin ajnavgkh~” (21, 3), valutò l’amicizia più della parentela e
l’affetto più dei vincoli di sangue.
giovanni ghiselli
[1]Nell'Antigone , al v.
481, Creonte condanna la giovane che ha trasgredito "i novmoi stabiliti". Verso la fine del
dramma, al v. 1113, preoccupato per le minacce di Tiresia, egli giura di
rispettare d'ora in poi "i novmoi stabiliti". Ma, da una formula
all'altra, novmos ha mutato senso. Al v. 481, Creonte l'adopera come
sinonimo di khvrugma, editto pubblico proclamato dal capo della città; al
v. 1113, il termine ha ritrovato, in bocca a Creonte, il senso che Antigone gli
dava all'inizio: legge religiosa, rituale funebre.
[2]J. P. Vernant, Ambiguità e
rovesciamento in Mito e tragedia nell'antica Grecia , pp. 89 -
90.
[3] " w\ koino;n
aujtavdelfon jIsmhvnh~ kavra” (Sofocle, Antigone, 1) o capo davvero fraterno di Ismene,
sangue mio.
[4] "Lo sposo, morto uno, ce
ne sarebbe stato una altro per me,/e un figlio, da un altro uomo, se avessi
perduto questo,/ma siccome il padre e la madre sono racchiusi nell'Ade,/non c'è
fratello che possa sbocciare mai più” (Antigone, vv. 909 - 912). Sentiamo su questi versi celeberrimi il commento di Hegel:"Agli occhi della sorella,
il fratello rappresenta in generale l'essenza quieta e uguale alla propria. La
sorella si riconosce nel fratello in modo puro, senza la commistione di un
rapporto naturale. Nella relazione fratello - sorella non sono date perciò
l'indifferenza e l'accidentalità etica della singolarità. Qui, piuttosto, può
affermare il proprio diritto il momento del Sé singolare che
riconosce e viene riconosciuto; questo Sé, infatti, è legato all'equilibrio del
sangue e al rapporto estraneo al desiderio. Ecco perché per la sorella la
perdita del fratello è insostituibile, e il suo dovere verso di lui è il dovere
supremo" Hegel, Fenomenologia
dello spirito , p. 33O.
Nella commedia di Ibsen Il piccolo Eyolf (del
1895) il letterato Alfred Allmers dice alla presunta sorellastra Asta che
l'amore fraterno "è il solo legame che sfugga alla legge della
trasformazione" ( atto II).
[5]In primis la venerazione dell'oracolo delfico
e il rifiuto della tirannide.
[6]A. Hauser, Storia sociale
dell'arte, vol. I, p. 122.
[7] S. Benni, Margherita
dolcevita, p. 143.
[8] Del 408 a. C.
[9] Del 438 a. C.
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