domenica 17 gennaio 2021

Euripide. 18

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Il problema del suicidio in Euripide, Sofocle, Leopardi

Euripide ebbe scarso successo da vivo in quanto poeta “inquietante”. Altrettanto Leopardi

 

Come abbiamo visto (vv. 1341 - 1346) il figlio di Alcmena manifesta il bisogno di una religione più pura, di dèi che non siano peggiori degli uomini per bene: buoni, generosi e leali come Teseo, un amico per il quale vale la pena di continuare a vivere: "Ho considerato, sebbene io sia nella sventura, che mi renderei colpevole di viltà, in un certo senso, lasciando la luce; infatti chi non sostiene le disgrazie, non potrebbe sostenere neppure le armi del nemico. Affronterò la vita con forza: verrò alla città tua, e provo gratitudine (cavrin e[cw) per gli innumerevoli doni"( Eracle, vv. 1347 - 1352).

 

L'Aiace di Sofocle, tornato in sé da una pazzia pur meno grave di quella di Eracle (il Telamonio ha ucciso solo degli animali), si suicida poiché, dice: " ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire. Hai ascoltato tutto"(vv.479 - 480).

Eracle invece trova che sia più coraggioso, e di stile più alto, sopravvivere.

 

Una scelta che suggerirà anche Leopardi nel Dialogo di Plotino e di Porfirio: "Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l'un l'altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita".

 

 Allora, è vero che i personaggi euripidei sono antieroi meschini, calcolatori, borghesi o pezzenti?

Spesso i mortali sono per moralità superiori agli dèi, numi privi di intelligenza e giustizia. Del resto Euripide non è un dogmatico e le sue ipotesi spesso sono prima formulate, poi negate.

 Murray lo definisce The veteran free - lance of thought[1], il vecchio libero professionista del pensiero.

 

“Alla base della sua indole curiosamente scettica e di quella cupa malinconia che conferisce alla sua arte un fascino così particolare, si trova un medesimo spirito di dissoluzione: quella stessa dissoluzione di ogni eticità positiva e di ogni dedizione e forma di rispetto, che si era realizzata con un’ampiezza così terribile nella vita del popolo ateniese e che gli ultimi drammi di Euripide raffigurano in tutte le sue atroci conseguenze coi tratti più vivaci” (Droysen, Aristofane, p. 220).

 

Euripide poeta inquietante

Questo atteggiamento sempre critico, spesso anche in maniera provocatoria, non piacque al pubblico di Atene che pospose Euripide a Sofocle. Lo trovava deinovteron, come il primo stasimo dell’Antigone di Sofocle qualifica l’essere umano (v. 333).

 Euripide era il più inquietante dei due. Deinov" significa tremendo e pure straordinario, stupefacente. Traduco “inquietante” influenzato Heidegger :"Noi concepiamo l'in - quietante (das Un - heimliche ) come quello che estromette dalla "tranquillità", ovverosia dal nostro elemento, dall'abituale, dal familiare, dalla sicurezza inconcussa"[2].

Altrettanto Leopardi: “ben ch’io sappia che obblio - preme chi troppo all’età popria increbbe” (La ginestra, 68 - 69).

Invero questi due poeti che “increbbero” a molti loro contemporanei da vivi, poi da morti ottennero maggiore considerazione di tanti altri celebrati e omaggiati da vivi.

 

Bologna 17 gennaio 2021, ore17, 20

 

giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Euripides and his age, p.188.

[2] Introduzione alla metafisica, trad. it. Mursia, milano, 1968 p. 157. Renata Colorni preferisce “perturbante”Con il titolo “Il perturbante” abbiamo reso in italiano un meraviglioso e importante scritto di Freud del 1919 intitolato “Das Unhheimliche”, parola tedesca formata da “un” cioè, non, che crea l’antitesi della parola “heimlich” , che a sua volta deriva da “Heim”, casa. “Heimat”, ricordiamolo, significa “Patria”. “Das Unheimliche” è perciò l’inquietante, l’insolito, se ammettiamo che il solito sia accogliente e confortante. E’ qualcosa di non familiare, inospitale, e dunque respingente. Suscita spavento proprio perché è la casa stessa a non accogliere” (“L’Espresso”, 17 gennaio 2021, pp. 73 - 74)

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