Su uno scalino poco sopra il
mio c’era la casta Isabella seduta in
maniera composta e dignitosa. Con le mani teneva la gonna, lunga e larga,
aderente ai polpacci. Se si fosse posizionata in maniera diversa avrei potuto
vederle cosce e mutande. Sarebbe stata una provocazione per la casta luna nel
cielo e, nel senso opposto, per la libidine mia sulla terra. La cascata di luce
le illuminava il volto bello e pulito. Le rivolsi un sorriso di stima e
simpatia. Quando mi ebbe visto, la corteggiai elogiando la sua pudicizia
elegante e rara. Sapevo che con gli elogi si possono sedurre anche le vestali.Seurat, Donna seduta in un prato
“Seduta così castamente - le dissi non senza un po’ di ironia - fai onore alla tua dignità di donna e rispetti il tuo uomo”. Invero cercavo di stuzzicarla. La casta rispose con un sorriso. Osservavo i suoi occhi lucenti nella girandola conclusiva dei fuochi. Attraverso lo sguardo di lei vedevo le profondità ancora pulite e non abissali dell’anima di quella ragazza: non era il fondo del mare insondabile, spesso latente anche perché coperto di sugna, ma la conca sassosa di un piccolo lago alpino, del tutto visibile per la limpidezza dell’acqua incontaminata e diafana al pari del cielo sopra le montagne dopo l’aurora di una giornata che si annuncia serena, quando il sole emergendo dalle pallide rocce le colora di rosa come fece il 30 luglio del’ 71 con gli alberi strani dell’orto botanico dell’Università di Debrecen, quando Elena cantava Summer time per significarmi che in quel momento vivere era facile e bello per noi due che ci amavamo, però avevamo poco tempo davanti e dovevamo assaporare quel momento, assimilarlo ai nostri corpi e alle anime nostre perché non sarebbe tornato mai più.
Come vedi ho raccolto l’invito Elena mia.
giovanni ghiselli
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