domenica 17 gennaio 2021

Euripide. 16

Fabrizio de Andrè

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Critiche agli dei nelle Troiane, nell’ Eracle, nell’Andromaca. Sofocle misura la morale con la religione, Euripide invece la religione con la morale.

 

Per quanto riguarda l’empietà di Euripide troppo spesso denunciata, è vero che il drammaturgo, fino alle Baccanti , critica la religione tradizionale, ma questo non toglie che in certi momenti, la consideri con nostalgia.

Questa però non ha la forza di portarlo alla fede nella bontà degli antichi dèi e nella giustizia cosmica, dopo quello che ha visto nella storia degli uomini: "Certo il pensiero degli dèi, quando mi entra nell'anima, allevia molto gli affanni; e sebbene trattenga con la speranza una qualche capacità di comprensione, ne vengo abbandonato quando volgo lo sguardo alle sorti e alle azioni dei mortali: tutto muta da una parte o da un’altra e cambia sempre la vita degli uomini in continuo movimento ", canta il semicoro dei cacciatori compagni di Ippolito che si alternano alle donne di Trezene nel terzo Stasimo dell'Ippolito (vv. 1102 - 1106).

 

Indubbiamente la sua religiosità è diversa da quella di Eschilo, e ancora più da quella di Sofocle che dei tre è il meno problematico dal punto di vista della devozione la quale impone, per esempio, di eseguire le prescrizioni di Apollo senza discutere. Infatti i fratelli matricidi della sua Elettra compiono gli ordini di Febo senza dubbi prima, né rimorsi dopo, mentre l'Oreste di Eschilo è perseguitato dalle Erinni come abbiamo visto, e quello di Euripide tra un accesso di dolore e un altro dice:" biasimo il dio tortuoso che dopo avermi indotto all'opera più maledetta che ci sia, con le parole mi confortò, con le azioni no ( Oreste , vv. 285 - 287). 

Più avanti comunque Oreste riconosce l’oggettiva sottomissione degli uomini a potenze che li sovrastano: "noi siamo asserviti agli dèi, qualsiasi cosa siano mai gli dèi" (Oreste, v. 418). Una dichiarazione di malinconica impotenza[1].

Non che gli uomini siano migliori del resto:" non vedi? siamo circondati da tutte le parti da guardie armate" (Oreste, v. 760[2]) replica Oreste a Pilade che lo esorta a fuggire.

Il sentimento etico di Euripide vorrebbe dèi e uomini diversi. C’è un frammento del Bellerofonte che sembra la conclusione di un sillogismo morale:"se gli dèi compiono iniquità, vuol dire che non sono dèi" (fr. 292).

 

Nelle Troiane lo stesso dio Poseidone che recita il prologo nota che"sono malate le cose che riguardano gli dèi" (nosei' ta; tw'n qew'n, v. 27). Il dio lamenta la decadenza del culto, ma Euripide suggerisce che malsano è anche il governo del mondo.

Alla fine della tragedia Ecuba smonta le onoranze funebri: per i morti fa poca differenza: dokw` de; toi`~ qanou`si diafevrein bracuv (v. 1248) se uno avrà un funerale pomposo. Il rito funebre è vano vanto dei vivi: “keno;n de; gauvrwm j ejsti; tw`n zwvntwn tovde (1250). Taltibio dà ordine ai soldati di appiccare il fuoco e alle donne di salire sulle navi. Ecuba vede il culmine dei suoi mali.

Invoca gli dèi, ma poi ricorda che non l’hanno ascoltata:

 “Ah dei! E perché invoco gli dèi?

Anche prima infatti non ascoltarono sebbene invocati

 ( ijw, qeoiv, kai; tiv tou;" qeou;" kalw` ; - kai; pri;n ga;r oujk h[kousan ajnakalouvmenoiTroiane, vv. 1280 - 1281).

 Cfr. Fabrizio de Andrè: Il testamento di Tito “davvero lo nominai invano”.

  

Il giudizio più aspro verso il dio supremo lo troviamo nell'Eracle, quando Anfitrione rimprovera Zeus ed afferma la propria superiorità morale sullo stesso padre degli dèi:" “Zeus, invano ti ebbi come marito collega, w\ zeu', mavthn a[r j oJmovgamovn s j ejkthsavmhn (339), e invano ti chiamavamo condivisore del figlio. Tu eri meno amico di quanto sembravi. Io che sono un mortale supero in virtù te che sei un dio grande - ajreth'/ se nikw' qeo;n mevgan (342): infatti i figli di Eracle non li ho traditi (pai'da" ga;r ouj prouvdwka tou;" jHeraklevou", 343).

Tu sapevi entrare di nascosto (kruvfio") nelle coltri (ej" eujnav"), prendendo i letti degli altri (tajllovtria levktra), sebbene nessuno te li desse, ma non sai salvare i tuoi figli. Sei un dio stupido, oppure non sei giusto ajmaqhv" ti" ei\ qeo;" h} divkaio" oujk e[fu" (344 - 347)

  

Un’altra critica si trova nell’Andromaca contro la pretaglia delfica e Apollo.

Invano Neottolemo, "il ragazzo di Achille"(Andromaca, v.1119) domanda:

"per quale ragione mi uccidete mentre percorro il cammino della pietà? per quale causa muoio? Nessuno di quelli, che erano migliaia e stavano vicini, mandò fuori la voce, ma gettavano pietre dalle mani"(vv. 1125 - 1128). Il clero non è estraneo a questo “crimine sacro”: a un certo punto, dai recessi dl tempio rimbombò una voce terribile e raccapricciante che aizzò quel manipolo e lo spinse a combattere (vv. 1146 - 1148). Il messo alla fine di questa rJh'si" accusa Apollo di essere w{sper a[nqrwpo" kakov" (v.1164), come un uomo malvagio, e domanda:"pw'" a]n ou\n ei[h sofov";" (v. 1165), come potrebbe essere saggio?

A questo proposito G. De Sanctis scrive:"Ora può darsi che Euripide osasse porre in così cattiva luce Apollo profittando del mal animo degli Ateniesi verso il dio che spartaneggiava in quegli anni come poi filippizzò"[3].

  

 “Sofocle misura la morale con la religione[4], Euripide invece la religione con la morale. C’è qui senza dubbio un elemento razionale, ma non è né preminente né decisivo, è invece il sentimento morale - aijdwv~ lo chiama il greco - che si rifiuta di attribuire agli dèi quelle azioni “che sono ignominiose per gli uomini”[5] … La convinzione che “ci sia qualcosa di corrotto” ( nosei`) nel modo in cui gli dèi governano il mondo[6] è espressa da Euripide in tanti passi…”[7].

 

Altrettanto fa il Pericle di Shakespeare quando Licorida gli annunzia la morte della moglie Taisa: “O you gods!/Why do you make us love your goodly gifts/And snatch them straight away? We here below/Recall not what we give, and therein may/Use honour with you” (Pericle, principe di Tiro, III, 1), Oh, voi dèi! Perché ci fate amare I vostri buoni doni, e subito ce li strappate via? Noi quaggiù non ci riprendiamo quello che diamo, e in questo possiamo competere in onore con voi.

 

giovanni ghiselli

 



[1] La ritroviamo accentuata ed esasperata nel Re Lear : “" As flies to wanton boys are we to the gods. They kill us for their sport "(IV, I), come mosche per ragazzi capricciosi siamo noi per gli dèi: ci ammazzano per loro passatempo.

[2] Un verso che ci consente di trovare una corrispondenza in "La Danimarca è una prigione" dell'Amleto (II, 2).

[3]Op. cit. , II vol., p. 331.

[4] Possiamo indicare una parentela spirituale tra Sofocle e Tolstoj che in Guerra e pace (p. 1607) scrive:" Per noi, con la misura del bene e del male dataci da Cristo, non esiste nulla di incommensurabile e non c'è grandezza là dove non c'è semplicità, bene, verità".

[5] Xenophan. fr. 11, 2.

[6] Iph. Taur. 1403; Troad. 27, 1042; Iph. Aul. 411.

[7] Nestle, Op. cit., p. 36.

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