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Argomenti
La presunta misoginia di Euripide. La vera misoginia del personaggio Ippolito. Modernità delle donne di Euripide. Una prima occhiata all’Ippolito e alla Ifigenia in Aulide
Euripide ha
ricevuto da Aristofane anche la reputazione di misogino:
nelle Tesmoforiazuse [1] che rappresenta le donne alla
festa di Demetra, una battuta attribuita al personaggio del tragediografo
manifesta il suo timore delle femmine umane decise a vendicarsi per tutte le
maldicenze, più o meno giustamente, subite : “mevllousi m j aiJ gunai'ke~
ajpolei'n thvmeron - toi'~ Qesmoforivoi~, o[ti kakw'~ aujta;~ levgw "(vv. 181 - 182), oggi alle
Tesmoforie le donne vogliono uccidermi poiché dico male di loro
Un parente
di Euripide si reca alla festa travestito da donna per difendere il
tragediografo e risponde all’accusatrice la quale lo rimprovera poiché fa il
paladino di un poeta che non ha rappresentato mai una Penelope, gunh; swvfrwn (Tesmoforiazuse, v. 548), una
signora per bene. Cito le parole di questa difesa :"io infatti conosco la
causa: ché, tra le donne di ora, non potresti menzionarmi una sola Penelope,
sono tutte Fedre, dalla prima all'ultima"( vv. 549 - 550). Con questo nome
si intende la moglie infedele, anzi sgualdrina come viene chiamata Fedra in
compagnia di Stenebea nelle Rane (v. 1043).
Ma Fedra è
un'altra cosa. Casomai donna favorevole ai facili costumi nell’Ippolito è la nutrice
di Fedra che cerca di favorire il soddisfacimento della libidine della sua
signora in varie maniere: prima spingendola a non curarsi dell'integrità
morale: "chi è nato per morire non deve passare la vita affaticandosi
troppo" (Ippolito, v. 467); quindi tentando di chiarirle di quale cosa
veramente necessiti:"tu non hai bisogno di parole piene di decoro, ma di
quell'uomo"(490 - 491). Infine la nutrice rivela quell'amore proibito a
Ippolito il quale, dedito principalmente a intrecciare ghirlande con fiori
colti da prati immacolati (vv.73 - 74) per donarle ad Artemide, una dea
vergine, dà in escandescenze, e si scaglia contro le femmine umane tutte,
biasimate in ogni possibile versione, tanto che per ciascuna viene auspicata
come naturale la convivenza con le bestie mute (v.646).
Leggiamo l’intera invettiva del casto e
misogino Ippolito:
"O Zeus
perché ponesti nella luce del sole le donne,
un male
ingannatore per gli uomini?
Se infatti
volevi seminare la stirpe mortale, non era necessario ottenere
questo dalle donne , ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi
templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero il seme dei figli, ciascuno
del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora
invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la
prosperità della casa. Con questo è chiaro che la donna è un gran malanno:
infatti il padre che l'ha generata e allevata, dopo avere aggiunto la dote la
colloca altrove, per liberarsi da un male. Quello che ha preso in casa la
pianta perniciosa invece, gode nel caricare di ornamenti belli l'idolo pessimo
e si affatica per i pepli, infelice, distruggendo la ricchezza della casa. Ma è
costretto al punto che, se si è imparentato bene, si tiene lieto un letto
amaro, mentre, se ha preso buoni letti ma parenti inutili stringe con il bene
una sciagura. E' più facile per quello con il quale si è messa in casa una
nullità, che del resto è una donna inutile per la stoltezza. La saccente poi la
detesto; che non stia in casa con me una donna la quale pensi più di quanto a
una donna convenga. Infatti l'operare malvagio Cipride lo fa nascere più nelle
saccenti; mentre una donna sprovveduta è sottratta alla pazzia dalla sua mente
corta. Bisognerebbe poi che dalla donna non andasse una serva ma che con loro
vivessero le mute bestie feroci tra i bruti, affinché non potessero parlare ad
alcuno né ricevessero a loro volta voce da quelle. Ma ora le scellerate che
sono in casa filano tele scellerate e le serve le portano fuori. Come anche tu,
certo, scellerata testa, sei venuta da me per trafficare il letto inviolabile
del padre, infamie che io ripulirò con acque correnti, versandole nelle
orecchie. Come dunque potrei essere cattivo io che avendo udito tali infamie
ritengo di essere impuro? Sappi bene o donna che ti salva la mia religiosità:
se infatti non fossi stato preso alla sprovvista da giuramenti sugli dèi, non
mi sarei mai trattenuto dal rilevare questo al padre. Ma ora me ne vado al
palazzo finché Teseo è lontano dalla regione, e terrò la bocca in silenzio.
Poi, tornato insieme con il piede del padre, osserverò come lo guarderai tu e
la tua padrona; e mi renderò conto, avendola assaggiata, della tua
sfrontatezza. Possiate morire! Non mi sazierò mai di odiare le donne, neppure
se uno dice che io lo ripeto sempre; infatti quelle appunto sono sempre
malvagie in una maniera o nell'altra. Dunque o qualuno insegna loro a essere
sagge, oppure lasci che io le calpesti sempre (Ippolito
vv. 616 - 668).
Modernità delle donne di Euripide
A. Hauser mette in rilievo la
modernità delle donne di Euripide che prefigurano quelle del dramma borghese
dell’Ottocento: “Francamente e liberamente, egli discute le relazioni fra i
sessi, il matrimonio, la condizione della donna e dello schiavo, e fa della
leggenda di Medea quasi un dramma borghese. La sua eroina in rivolta contro il
marito è forse più vicina alle donne di Hebbel e di Ibsen che alle eroine della
tragedia anteriore”[2].
“Once
we have acclimate ourselves to the special conventions which his theater
demanded we can recognize that his premises and objectives and even his modes
of expression are nearer our own world than are the Elizabethians. In his
program and outlooks he is actually quite close to Ibsen and Shaw”[3], una volta che ci siamo acclimatati con le
convenzioni particolari che il suo teatro ha richiesto, noi possiamo
riconoscere che le sue premesse e gli obiettivi e perfino i suoi modi
espressivi sono più vicini al nostro mondo di quanto lo siano gli Elisabettiani.
Nel suo programma e nei suoi modi di vedere egli è molto vicino a Ibsen e Shaw.
Hadas mostra come i personaggi eroici della
tradizione vengano demoliti da Euripide: “In
the Iphigenia at Aulis, for
example, Agamemnon an Menelaus are plainly pompous, ambitious, ineffectual
politicians, Achilles a braggart soldier, Clytemnestra a middle class matron.
The true heroine, whose selfless virtue makes the rest of the cast look
tarnished and vulgar, is the simple Iphigenia”[4], nell’Ifigenia
in Aulide, per esempio, Agamennone e Menelao sono chiaramente pomposi,
ambiziosi, incapaci politici, Achille è un soldato spaccone, Clitennestra una
matrona della classe media. La vera eroina, la cui altruistica virtù fa
sembrare il resto dei personaggi disonorato e volgare, è la semplice Ifigenia.
Non concordo del tutto con questa critica:
invero Achille è presentato come persona semplice e schietta (cfr. i vv. 926 - 927
che citerò più avanti). Il Pelide non è un miles
gloriosus ma un generoso che mette la popria vita a disposizione della
difesa di Ifigenia la quale però alla fine del dramma si convince di dover
morire per la Grecia
Quanto a Clitennestra è una mater dolorosa
e in buona parte giustificata da Euripide della futura uccisione di Agamennone
in seguito ai gravi torti subiti da lui
Giovanni ghiselli
[1] Del 411 a. C.
[2] Storia
sociale dell’arte p.120
[3] Moses Hadas and John McLean, with an introduction by Moses Hads, Ten plays by Euripides, Bantam Books, New York, 1966, p. VIII.
[4] Op. e p. citati sopra.
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