venerdì 15 gennaio 2021

Donne nelle guerre

Benin, donne guerriere
Argomenti

Le Tebane di Stazio. Le Germane di Plutarco. La britanna Budicca in Cassio Dione. Le Germane di Tacito. Le Persiane di Nicolao di Damasco. Le Sabine di Ovidio.

 

Nella Tebaide di Stazio le madri dei guerrieri tebani invitano gli uomini a combattere: illas cogit amor, nec habent extrema pudorem (570), i momenti estremi non hanno ritegno. Le donne porgono le armi agli uomini e ne rinfocolano l’ira.

 

Tacito racconta che le donne dei Germani rimisero in sesto schiere di guerrieri già vacillanti e sul punto di cedere, non solo con l'insistenza delle preghiere ma anche con l'opposizione dei petti, e con il mostrare la schiavitù vicina: "memoriae proditur quasdam acies inclinatas iam et labantes a feminis restitutas constantia precum et obiectu pectorum et monstrata comminus captivitate" (Germania, 8).

 

In  Plutarco le donne dei Germani compiono gesti estremi mentre assistono alla sconfitta dei loro uomini. Nella Vita di Mario l’autore racconta che nell’estate del 102 a. C. le donne dei Teutoni ad Aquae Sextiae (l’odierna Aix, a nord di Marsiglia) scesero in campo armate di spade e scuri e con grida terribili respinsero sia i loro uomini in fuga sia i Romani inseguitori. Mescolate ai combattenti strappavano le armi ai Romani, e, insensibili alle ferite, combattevano fino alla morte (19). 

 L’anno dopo (agosto 101 a. C.) le donne dei Cimbri sconfitti ai Campi Raudii (nel vercellese) ritte sopra i carri, vestite di nero, ammazzavano quelli che fuggivano, fossero essi i mariti, i fratelli o i padri. Strangolati con le loro mani i più teneri figlioletti, li gettavano sotto le ruote dei carri e gli zoccoli delle bestie, e infine si sgozzavano” (27).


Budicca era la regina degli Iceni, una popolazione della Britannia che, guidata da questa ribelle, nel 61 d. C. mise a sacco Londinium e Verulanium e uccise 80 mila persone tra Romani e alleati. Aveva un’intelligenza superiore a quella solita delle donne, racconta Cassio Dione: mei'zon h] kata; gunai'ka frovnhma e[cousa” (Cassio Dione Storia Romana,  62, 2, 2).

Anche l’aspetto non era usuale: era to; sw'ma megivsth, (62, 2, 3) grandissima di corpo, di aspetto terribile, di sguardo penetrante, e di voce aspra, aveva una chioma biondissima e foltissima che le scendeva fino alle natiche (mevcri tw'n gloutw'n, 62, 2, 4) e al collo portava una grossa collana d’oro. Si pensi all’ultima Elisabetta I cinematografica.

In questa occasione brandiva una lancia (tovte de; kai; lovgchn labou'sa) con la quale incuteva soggezione a tutti. Esortò i suoi Britanni sminuendo i Romani come effemminati e comandati da femmine: Messalina e Agrippina che dà ordini a Nerone il quale o[noma me;n ajndro;~ e[cei, e[rgw/ de; gunhv ejsti: shmei'on de;, a[/dei kai; kiqarivzei kai; kallwpivzetai (62, 6, 3), ha nome da uomo, ma di fatto è una donna: i segni sono il fatto che canta e suona la cetra e si imbelletta. Budicca invece regnava su uomini veri che non sanno coltivare la terra né produrre manufatti, ma conoscono l’arte della guerra e che considerano tutto bene comune, anche i bambini  le donne le quali proprio per questo hanno lo stesso valore dei maschi: “ th;n aujth;n toi'~ a[rresin ajrethvn[1].


Lo stesso dice Tacito delle donne dei Germani

Germania 18

Tuttavia là i matrimoni sono una cosa molto seria, e non potresti approvare di più alcun aspetto dei loro costumi. Infatti  quasi i soli tra i barbari si accontentano di una moglie a testa, eccetto pochissimi che, non per libidine ma per la nobiltà, sono richiesti con moltissime offerte matrimoniali. La dote non è la moglie che la porta al marito ma il marito alla moglie. Partecipano  i genitori e i parenti e apprezzano i doni, doni non scelti per i capricci delle donne, né tali che con essi la nuova sposa si acconci, ma dei buoi e un cavallo imbrigliato e uno scudo con lancia e spada. In cambio di questi doni si prende la moglie, ed ella stessa a sua volta porta qualche arma all'uomo: questo reputano il legame più saldo, questi i riti segreti, questi gli dei coniugali.

 Perché la donna non si consideri esente dai pensieri di valore e dalle vicende della guerra, è avvisata, dalla stessa cerimonia augurale del primo momento del matrimonio, che viene quale compagna di fatiche e di pericoli e che  accetterà le medesime condizioni in pace e correrà i medesimi rischi in guerra: questo significano i buoi aggiogati, questo il cavallo bardato, questo le armi donate.

 Così deve vivere, così morire; ella riceve una tradizione da trasmettere ai figli intatta e degna, che le nuore poi ricevano, e a loro volta consegnino alle nipoti.

Nel settimo capitolo Tacito racconta che lo stimolo particolare del coraggio è il fatto che non il caso o l'aggruppamento fortuito costituisce il drappello di cavalleria o la schiera  a cuneo di fanti, ma la vicinanza delle famiglie e delle parentele ossia dei pegni affettivi: combattono in luoghi  "unde feminarum ululatus audiri, unde vagitus infantium "(VII, 2), da dove sentono le grida delle donne, da dove il pianto dei bambini. Questi sono per ciascuno i testimoni più sacri, questi gli elogiatori cui tengono di più "ad matres, ad coniuges vulnera ferunt: nec illae numerare et exigere plagas pavent, cibosque et hortamina pugnantibus gestant ", alle madri, alle mogli portano le ferite, né quelle hanno paura nel contare ed esaminare i colpi, e portano ai combattenti cibo e incitamento.

 Finalmente donne, madri e perfino mogli, che non infliggono ferite ma anzi le curano.

 Nel capitolo successivo ( Germania VIII) Tacito racconta che alcune schiere già in ritirata e vacillanti furono rimesse in ordine dalle donne (a feminis restitutas) con l'insistenza delle preghiere e l'opposizione dei petti (constantia precum et obiectu pectorum ) e con lo spettro della schiavitù che, fatta vedere da vicino, temono con ansia molto maggiore per le loro donne. Anzi credono che nelle donne sia insito qualcosa di sacro e profetico (inesse quin etiam sanctum aliquid et providum putant ) e non ne disprezzano i consigli o trascurano i responsi.

Nel capitolo 20 della Germania Tacito scrive che i rapporti sessuali dei giovani non sono precoci: “sera iuvenum venus”, sicché la vitìilità non si indebolisce. “Nec virgines festinantur; eadem iuventam similis proceritas; pares validaeque miscentur, ac roboa parentum liberi referunt”, nemmeno alle ragazze si fa fretta; hanno il medesimo vigore giovanile, una statura similem si uniscono robuste come i maschi e i figli riportano il vigore dei genitori.


Donne in guerra con atteggiamenti diversi

Il motivo della sublata vestis , informa Mazzarino, è presente anche in Nicolao di Damasco[2], "storico dell'età di Augusto, secondo cui Ciro è figlio di un masnadiero mardo ed ha una fanciullezza da schiavo". I suoi racconti dipendono da  Ctesia[3]

Ebbene nella saga popolare "affioravano le matriarcali convinzioni, fossili di preistoria, per cui la vittoria in battaglia era ricondotta a esplosioni di femminilità che un moderno chiamerebbe "freudiane" (…) Anche il motivo della sublata vestis delle donne persiane, le quali così impediscono ai loro uomini la fuga, è di spiriti antico-matriarcali (Kornemann R. E. Supplb. VI 567): questi potevano sopravvivere solo in una saga popolare; e viceversa si adatterebbero assai meno ad un ambiente aristocratico "[4].  

Ovidio rappresenta le Sabine rapite che per mettere invece pace si interpongono tra i padri e i mariti in guerra tra loro, e tengono stretti al seno i bambini, pignora cara, cari pegni; quindi si misero in ginocchio;  allora gli infanti tendevano verso i nonni le piccole braccia come se capissero, quasi sentirent (Fasti, III, 215-222). 

 I bambini al seno impiegati in guerra come pegni affettivi  è dunque un altro tovpo" gestuale. In Ovidio prevale l'elemento antiquario, decorativo e patetico, in Tacito quello politico e polemico. Il motivo di fondo è comunque il nesso tra le donne e la vita, un vincolo che le guerre fatte dagli uomini tendono a sfilacciare.   

 

giovanni ghiselli

 



[1] Nota l’ allitterazione e la paronomasia o adnominatio.

[2] Nato a Damasco nel 64 a. C. compose, tra l'altro, una Storia universale in 144 libri di cui restano solo due epitomi e pochi estratti. Rimane qualche frammento di una Vita di Augusto.

[3] Nato a Cnido verso la metà del V secolo, visse alla corte di Artaserse II e scrisse Persikav, Vicende della Persia in 23 libri che partono dal re assiro Nino e arrivano al 398 a. C. Ne restano alcuni estratti conservati nella Biblioteca del patriarca bizantino Fozio (IX sec. d. C.). Ctesia scrisse pure un libro di notizie sull'India ( jIndikav).

[4] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 1, p. 170 e n. 161 di p. 580.

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