PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIDe Morgan, Deianira
Deianira: la moglie trascurata
Ora presento alcuni aspetti delle Trachinie[1], la tragedia della moglie che, trascurata e vilipesa, prova a difendersi con
un rimedio letale per se stessa e per il marito.
Deianira entra in scena nelle Trachinie dicendo: "esiste
un antico detto ("Lovgo" me;n e[st j ajrcai'o"") diffuso tra gli uomini: che non puoi conoscere la vita di un uomo
prima che uno sia defunto, né se per lui sia stata buona o cattiva" (Trachinie,
vv. 1 - 3)
La Nutrice della donna afferma addirittura che è sconsiderato (mavtaiovv"
ejstin), v. 945 chi conta su due giorni o anche più: infatti
non c'è il domani se prima uno non ha passato l'oggi[2].
Nelle Trachinie
Deianira è la moglie infelice, sposa dell'infedele Eracle. Sin da ragazza,
quando abitava con il padre, ebbe una dolorosissima paura delle nozze (v. 7 - 8).
Infatti ricorda: "Mnhsth;r ga;r h\n moi potamov", jAcelw'/on levgw" (v. 9), il mio pretendente
era un fiume, dico l'Acheloo. Insomma era corteggiata da un mostro.
"Deianira
appartiene ancora, in qualche modo, al regno dei mostri: è stata richiesta in
sposa da uno di essi, desiderata da un altro[3], che l'ha toccata, che si confida
con lei e ne fa una sua complice. E nella lotta contro Acheloo, Eracle ha
fattezze ferine. Da questo bestiario, che ha conservato in sé come orrore e
come fremito, Deianira non potrà uscire"[4]. La lotta da cui Eracle esce
vincente è un fragore di mani, di archi di corna taurine insieme confuse (Trachinie ,
vv. 517 - 518).
La
Deianira delle Heroides[5] di Ovidio, lontana da Eracle
occupato a inseguire terribili fiere, è ossessionata dal pensiero dei mostri
con i quali il marito deve lottare: "inter serpentes aprosque avidosque
leones/iactor et haesuros terna per ora canes " (IX, 39 - 40), mi
aggiro tra serpenti e cinghiali e leoni bramosi, e cani[6] pronti ad attaccarsi con tre
bocche. Senza contare gli amori con le straniere: "peregrinos addis
amores "(v. 49)
"Chi lotta coi mostri deve guardarsi dal diventare un mostro anche
lui. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare
dentro di te"[7].
All'inizio
del dramma , la moglie lasciata sola da quindici mesi, a Trachis, in Tessaglia,
lamenta l'assenteismo coniugale di Eracle il quale, come eroe, è
impegnatissimo, ma come marito si comporta alla pari di un colono che, avendo
preso un campo lontano (a[rouran e[ktopon labwvn, v. 32) va a vederlo solo un paio di volte all'anno,
una quando semina e una quando miete:"speivrwn movnon prosei'de kajxamw'n[8] a{pax" (v.33). Questa volta però
l’assenza è più lunga.
La donna
trascurata dunque si identifica con il campo e il marito con il contadino che
lo lavora e lo semina.
Può
essere interessante notare che Pascoli in Lavandare di Myricae usa
un simbolismo opposto: l'abbandonata paragona se stessa a "un aratro senza
buoi" che resta "nel campo mezzo grigio e mezzo nero" e
"pare/dimenticato, tra il vapor leggiero".
Anche qui
del resto un uomo si è dileguato lasciando la donna sola e
desolata:"quando partisti, come son rimasta!/come l'aratro in mezzo alla
maggese".
In
letteratura è ricorrente l'identificazione della donna con il campo arato da
una parte e dell'uomo con l’aratore e seminatore dall'altra: un tovpo" dunque che Pascoli ha
utilizzato ribaltandone i termini.
Pure
Eracle dunque è stato un pretendente (mnhsthvr) mostro almeno dal punto di vista
mentale, poiché ha dimenticato Deianira. Il mnhsthvr compiuto infatti deve essere
dotato di memoria, mnhvmh , che deriva dalla medesima radice mnh - /mna , come pure mnavomai, "penso", e quindi il
pretendente non può scordare la donna che corteggia, mentre l'eroe della stirpe
dorica utilizza la sua femmina come animale riproduttivo, anzi come a[roura, terra arabile , quindi la
dimentica. Pure Teseo è immemor [9] di Arianna nel carme 64 (v. 58) di Catullo e deve pagare cara
la sua smemoratezza.
M. Bettini fa
notare che sussiste un segreto legame "fra amnesia da un lato, e morte
dall'altro". Quindi fa l'esempio di Orfeo - Euridice e quello di Teseo - Arianna.
"Quando
Orfeo, uscendo dagli Inferi, si volge a guardare verso Euridice, violando così
la prescrizione di Proserpina, egli viene sopraffatto proprio da un accesso di
amnesia (immemor[10]). In quel preciso momento si ode
per tre volte rimbombare il lago Averno, ed Euridice è nuovamente inghiottita
dal regno degli inferi.
La
dimenticanza di Orfeo ha chiamato la morte dell'amata. E' come se Orfeo,
dimenticando, avesse resuscitato la condizione di perenne oblio in cui Euridice
giaceva fino al momento della sua insperata liberazione.
Anche il
racconto di Arianna abbandonata esplora, nel finale, la medesima connessione
simbolica fra amnesia e morte. Ormai sopraffatta dalla sua disgrazia, la
fanciulla chiede alle Eumenidi che, con la medesima mens con
cui Teseo l'ha lasciata sull'isola deserta, il giovane funesti anche se stesso
e i suoi[11]. Oscure minacce di una donna
tradita e prossima alla fine. Ma qual era mai questa mens, lo
"stato d'animo" con cui Teseo l'aveva abbandonata? L'oblio, la facile
dimenticanza del traditore[12]. Per questo sarà ancora la
dimenticanza a provocare la morte del vecchio Egeo, padre dell'eroe. Costui
aveva infatti chiesto al figlio di issare al suo ritorno la vela bianca, come
segno del successo dell'impresa e dello scampato pericolo. Ma Teseo, che fino a
quel momento aveva ricordato tutto ciò constanti mente, con
"solida memoria", adesso ha la mens "avvolta da
cieca caligine" e oblito (…)
pectore, "dimentico nell'animo" di issare la bianca vela, povoca
così la morte del vecchio, che si lascia cadere giù dalle rupi[13]. Di nuovo amnesia e morte si richiamano
tra loro"[14].
La Deianira di
Sofocle distingue la condizione della ragazza che nelle gioie solleva una vita
senza fatica ("hJdonai'" a[mocqon ejxaivrei bivon", v. 147), dalla donna
sposata, quell'essere infelice che stiamo trattando, che nelle notti si carica di affanni temendo per il marito o
per i figli (" [htoi pro;" ajndro;" h] tevknwn foboumevnh " , v. 150). Infatti, dormendo
sola nel letto coniugale, questa moglie desolata balza su dal sonno in preda
alla paura, tremante per il terrore (vv. 175 - 176).
Nella
Parodo, il Coro prega Elio, perché annunzi dove si trovi Eracle, invocandolo
con queste parole "kratisteuvwn kat j o[mma" (v. 102), tu che superi tutti con il tuo
sguardo, che lo scoliaste interpreta:" w\ nikw'n pavnta"
tou;" qeou;" kata; to; ojptikovn", tu che vinci tutti gli dèi nel potere visivo.
E’ una delle tante espressioni del culto del sole[15].
Nel secondo
episodio Deianira esprime un desiderio: "kaka;" de;
tovlma" mhvt j ejpistaivmhn ejgwv - mhvt' ejkmavqoimi, tav" te tolmwvsa"
stugw' "
(vv.582 - 583), audacie cattive non vorrei conoscerle, né impararle, le temerarie hanno il mio
odio.
Ella
tuttavia pensa al chitone intriso del sangue di Nesso che dovrebbe restituirle
l'amore di Eracle. Questo presunto rimedio è l'extrema ratio per sottrarre il
marito alla giovane, e vincente, rivale Iole con la quale la sposa matura deve
condividere il letto in attesa di un abbraccio (vv. 539 - 540). Deianira
esasperata ricorre a tale audacia poiché ha paura:" vedo una gioventù che
procede avanti, e una che tramonta: da quella l'occhio ama cogliere il fiore,
da questa ritira il piede. Io temo dunque che Eracle sia chiamato sposo mio, ma
l'uomo della più giovane (vv. 547 - 551).
Deianira
oramai “era un fiore di ieri”[16].
Il Coro
di donne di Trachis si augura di veder giungere Eracle panivvvvmero" (v. 660) pieno di desiderio grazie
all'unzione ricevuta.
Comunque le
audacie cattive non pagano: Deianira si uccide ed Eracle muore straziato dal
dono funesto.
“La cultura
razionalistica viene a contatto con la cultura magico - primitiva e ne resta
soccombente (Deianira nelle Trachinie di Sofocle)”[17].
Voglio
evidenziare alcuni particolari topici che possono colpire lo studente, o lo
spettatore del dramma.
Il primo è
che i mostri non muoiono mai del tutto; spesso anche dopo essere morti uccidono
i vivi. Se ne accorge Eracle quando muore per la tunica di Nesso: "ora
quella belva, il Centauro, come era stato predetto, così ha ammazzato, da
morto, me vivo" (Trachinie, vv. 1162 - 1163).
Un locus
analogo si trova nell’Oedipus di
Seneca dove Tebe soffre il flagello della peste, pur dopo la
sconfitta della Sfinge: “Ille, ille dirus callidi monstri cinis/in nos
rebellat; illa nunc Thebas lues/perempta perdit " (vv. 106 - 108), proprio quella cenere tremenda
del mostro scaltro riprende la guerra contro di noi: ora quella peste ammazzata
uccide Tebe, lamenta Edipo mentre Giocasta cerca di incoraggiarlo.
La luce del
sole disfa le cose cattive
La luce del
sole significa salvezza: un raggio solare distrugge il
bioccolo che, intriso di veleno, ha attoscato la tunica mandata in dono a
Eracle da Deianira (Trachinie,
vv. 697 sgg.). Il sole disfa le cose cattive.
Le azioni cattive degli uomini viceversa offendono la luce mentre la sua
fonte santa, il Sole immagine visibile della Mente dell’Universo si incupisce e
si abbuia.
Viceversa il
male che gli uomini fanno affligge il sole e la sua luce
A questo proposito cito i primi versi dell’Oedipus: “Iam
nocte Titan dubius expulsa redit,/et nube moestum squalida exoritur iubar,
/lumenque flamma triste luctifica gerens/prospiciet avida peste solatas
domos,/stragemque, quam nox fecit, ostendet dies " (vv. 1 - 5),
già, cacciata la notte, torna un Titano incerto, e il suo splendore spunta cupo
da una nuvola sporca, e, portando una luce afflitta con fiamma luttuosa,
osserverà le case desolate dall'avida peste, e la strage che la notte ha
compiuto la farà vedere il giorno.
Il sole incerto dallo splendore cupo (moestum iubar), la luce
afflitta (lumen triste) e la fiamma luttuosa (flamma luctifica)
significa il capovolgimento della natura. La luce che vivifica e rallegra è
capovolta a fiaccola mortuaria che mette in mostra una strage.
Infine metto in rilievo un aspetto nobile dell’umanità dolente di Deianira
la quale prova una compassione piena di spavento (oi\kto~
deinov" , v. 298) vedendo le ragazze di Ecalia porta te schiave da Eracle e pensando ai
mutamenti della sorte, anche della propria, certo, ma quella che suscita in lei
la pietà più grande è la splendidissima Iole poiché le sembra l'unica che abbia
coscienza del suo stato (vv. 311 - 312).
Anche Odisseo nell'Aiace prova compassione davanti alla rovina
del nemico poiché l'eroe impazzito è aggiogato da un cattivo acciecamento, e
perché il suo destino fa pensare a quello di tutti noi viventi, che siamo solo
fantasmi o muta ombra (vv. 121 - 126).
[1] Databile fra il 438 e il 429
[2] Cfr. la
scheda Imprevedibilità
della vita umana situata dopo il v. 1417 della Medea.
[3] Il centauro Nesso.
[4]U. Albini, Interpretazioni
teatrali , Le Monnier, Firenze, 1972, p. 59.
[5]Sono lettere d'amore. in distici
elegiaci,di donne amanti di eroi, e altre lettere di uomini a donne del mito
con le risposte. Il primo gruppo ( epistole I - XV) uscì secondo alcuni attorno
al 15 a. C. , fra la prima (20a. C.) e la seconda edizione degli Amores
(1 a. C.). Altri abbassano la data fino al 5 a. C. Il secondo gruppo di
epistole doppie ( XVI - XXI) fu composto poco prima dell'esilio (tra il 4 e l'8
d. C.). Il metro è il distico elegiaco.
[6]Come Cerbero, il cane di Ades, dal
ringhio metallico.
[7] Nietzsche, Di là dal
bene e dal male (del 1875), Aforismi e Interludi, 146
[8] Crasi di kai;
ejxamw'n.
[9] "La radice deriva
dall'indoeuropeo *mn - che ha dato come esito in greco mna - >mnh - , in latino men - …
Nel verbo mimnhvskw la radice mnh - presenta raddoppiamento" (G.
Ugolini, Lexis, p. 315:
[10] Virgilio, Georgica,
4, 488 sgg.
[11] Catullo, Carmina,
64, 200 sgg.
[12] Cfr. v. 248:"qualem
Minoidi luctum/obtulerat mente immemori".
[13] Ibid., vv. 208 sgg.
[14] M. Bettini, Le
orecchie di Hermes, p. 35.
[15] Cfr. la scheda successiva al
v. 352 della Medea.
[16] G. G. Márquez, L’amore
ai tempi del colera, p. 213.
[17] V. Di Benedetto (introduzione
di) Eschilo, Orestea, p. 12.
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