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Spunti presi da Paideia di Werner Jaeger e discussi.
Euripide fu davvero il poeta dell’illuminismo greco?
Procedo sviluppando alcuni spunti tratti da Paideia[1] di Werner
Jaeger . Il filologo grecista tedesco scrive che “ci si compiace di chiamare
Euripide il poeta dell'illuminismo greco"[2], in
quanto ha dato voce alla crisi dell'Atene maratonomaca (quella di Eschilo per
intenderci) e religiosa (quella di Sofocle). La filosofia sofistica, come
"una testa di Giano"[3] avrebbe
la faccia che parla dell'ideale umanistico rivolta verso Sofocle, e quella che
annuncia la crisi delle tradizioni girata verso Euripide il quale riflette, tra
l’altro, il predominio degli affari, del conteggiare, del calcolare, l'anarchia
del pensiero e l'individualismo sfrenato. Io credo che Sofocle si adoperi a
scrivere in senso antisofistico e lo stesso Jaeger riconosce che “l’elemento
sofistico non è che porzione limitata del suo spirito”[4]
Tutti i valori tradizionali[5] erano minati
dall'individualismo, mentre rimaneva assai alto il livello di cultura estetica
e intellettuale del popolo ateniese. Ce ne dà un esempio l'agone tra Eschilo ed
Euripide nelle Rane di Aristofane: esso presuppone una
comprensione, da parte della massa, di problemi ideologici e stilistici che
oggi interesserebbero solo gli intellettuali. Tale popolarità della cultura
alta è realizzabile solo in uno stato piccolo dov'è possibile lo scambio
continuo tra vita pubblica e intelligenza.
Intanto si accentuava la distinzione tra cultura cittadina e
abitudini di vita campagnola, e se Euripide , Aristofane e Senofonte,
tratteggiano con rispetto o con ammirazione il contadino[6],
Socrate non desidera andare in campagna poiché gli alberi non vogliono
insegnargli niente, ed egli, appassionato a imparare (filomaqhv~), apprende solo dagli uomini in città (Fedro, 230d).
Aristotele, due generazioni più tardi, contrapporrà l'uomo dei campi, il
rustico (ajgroi'ko~), a quello istruito (pepaideumevno~, Retorica III ,1408a). Un uomo ignorante e un uomo colto
non direbbero le stesse cose nello stesso modo.
Il suo scolaro Teofrasto nel quarto dei Caratteri ,
la Rusticità , descriverà il campagnolo come rozzo e ridicolo.
Euripide è uno dei rivelatori della mentalità cittadina, quale cultura
preborghese, che contrasta con l'antica educazione aristocratica. La cultura
borghese potrebbe essere definita in sintesi estrema come quella dominata
dall'idea dell'utile, un punto di vista idolatra secondo quello
religioso.
Nella Medea l’autore svela questa visione pragmatica e
utilitaristica, rappresentata da Giasone (o dalla nutrice di Fedra nell’Ippolito)
e ne denuncia il fallimento. D’altra parte non mancano gli slanci nobili di
ragazze eroiche come Ifigenia, o di spose ottime, come Alcesti .
Nell'opera di Euripide coesistono gli eroi disinteressati e i trafficoni
scaltri, consumate volpi, poiché la sua età vide lo scontro tra le forze della
tradizione e l'individualismo sofistico: una collisione che in un primo tempo
portò non piccoli successi al conservatorismo culturale, tanto che Anassagora
fu processato per empietà ( peri; ajsebeiva"), sebbene la polis democratica su altre questioni fosse tollerante al
punto che Platone la definì uno stato di anarchia intellettuale e morale[7].
Il fatto è che i nemici di Pericle volevano colpire in Anassagora lo stesso
stratego il quale lo proteggeva e gli era amico. Euripide dunque diede voce a
queste culture diverse, senza prendere una posizione netta, come fece Sofocle
che, oltre creare bellezza beninteso, utilizzò il palcoscenico come una tribuna
contro i fautori della sofistica i quali cercavano di occupare ogni campo,
compreso quello dell'urbanistica: Ippodamo di Mileto rifece la città del Pireo
disegnando le strade che si incrociano ad angolo retto secondo una concezione
razionalistica. Nella storiografia, Tucidide abbandona l'intelaiatura teologica
e il mito ancora presenti in Erodoto, lo storiografo parallelo a
Sofocle. L'autore ateniese che narra la storia della guerra del Peloponneso
cercandone le cause potrebbe invece essere avvicinato a Euripide. Ma mentre
Tucidide elimina to; muqw'de"[8], il drammaturgo lo conserva pur commisurandolo alla propria realtà,
correggendolo, e rendendolo problematico attraverso il conflitto tra l'uomo e
la divinità. Le forze attivate da Euripide per trasformare il mito furono,
secondo Jaeger, oltre il realismo borghese, anche la retorica e la filosofia[9].
L'imborghesirsi della vita del resto non esclude la proletarizzazione di
cui anzi Euripide si compiace quando presenta eroi cenciosi o principesse in
condizione di povertà. Gli aspetti che possono assimilare il dramma alla
filosofia, quella sofistica e quella socratica, confuse insieme da molti, sono
il mettere in discussione i luoghi comuni, il criticare e cercare di rompere i
ceppi che oramai sembrano artificiali. “Euripides was
always a rejecter of the Laws of the Herd”[10], Euripide è
sempre stato uno che rifiuta le leggi del gregge.
Euripide, lo vedremo assai da vicino, discute molto sul matrimonio ( Medea,
Alcesti ) e più in generale sulla relazione tra i sessi che, come ogni
cosa nella natura, è fatto anche di lotta. Nei rapporti umani, non tanto
diversamente da Tucidide, vede divulgarsi il diritto del più forte, anche se
non gli piace.
La Medea drammatizza il conflitto tra lo sconfinato egoismo
dell'uomo e l' immensa passione della donna.
A volte la tragedia prende aspetti comici o si avvicina alla commedia nel
lieto fine, come l'Oreste che termina con un doppio fidanzamento:
quello del protagonista con Ermione, e quello di Pilade con Elettra.
Il raffinato gusto letterario di Euripide si diletta di tale mescolanza di
opposti . Del resto
Socrate alla fine del Simposio platonico (223d) costringe il
tragediografo Agatone e il commediografo Aristofane ad ammettere che la stessa
persona deve saper comporre tragedie e commedie. La commistione dei generi è teorizzata come positiva anche negli esseri
umani dal sofista - oligarca Crizia:"diceva che è bellissimo nei maschi
l'aspetto femminile e nelle femmine il contrario" (in Dio Chrysost. 21, 3)
giovanni ghiselli
[1] Del
1933.
[2] W.
Jaeger, Paideia 1, capitolo quarto Euripide e l’età sua, p.
565. A proposito di critica contrastiva, più avanti vedremo che M. Pholenz
confuta questa asserzione. All'interno del percorso troveremo la confutazione
di B. Snell. Intanto riferisco questa affermazione di Nietzsche che riconosce
in Euripide interpretazioni nuove del mito derivate da Anassagora : “Nella
chiusa comunità dei seguaci ateniesi d’Anassagora la mitologia del volgo era
ancora consentita come un linguaggio simbolico; tutti i miti, tutti gli dèi,
tutti gli eroi erano quivi considerati unicamente come geroglifici di
un’interpretazione della natura, e persino l’epos omerico doveva essere il
canto canonico dell’imperio del nus e delle battaglie e leggi
della physis. Qualche voce di questa società d’eminenti spiriti
liberi penetrò qua e là nel popolo; e particolarmente il grande e sempre
ardimentoso Euripide, teso nei suoi pensieri al nuovo, osò far sentire in vari
modi la sua parola attraverso la maschera tragica, dicendo cose che come frecce
trapassavano i sensi della massa” La filosofia nell’età tragica dei
Greci, del 1876, p. 109.
[3] W.
Jaeger, Op. e p. citate sopra.
[4] W. Jaeger, Op. e p.
citate sopra.
[5] Tucidide nelle sue Storie (III, 82) ci parla di un
capovolgimento di tutti i valori passati, tale che si manifestò persino nella
lingua: vocaboli che significavano virtù presero connotazioni negative o di
biasimo, e anche viceversa: la temerarietà irriflessiva infatti (tovlma me;n
ga;r ajlovgisto") fu considerata coraggio a favore degli amici (ajndreiva
filevtairo"), l'indugio prudente (mevllhsi"
de; promhqhv") invece divenne viltà mascherata (deiliva
eujprephv"), la moderazione schermo della vigliaccheria (to; de; sw'fron
tou' ajnavndrou provschma) e l'assennatezza in tutto divenne inoperosità totale
(kai; to; pro;" a[pan xuneto;n ejpi; pa'n ajrgovn (III, 82, 4). Veniva
esaltato chi per primo commetteva il male e il legame più stretto era quello
della complicità nei delitti. Causa di questa degenerazione dei costumi, la
guerra, quella grande del Peloponneso e quella civile (stavsi") che erano fonti e maestre di violenza. Tucidide parla della stavsi~ di Corcira come della più
feroce e della prima fra tutte (III, 82, 1). Scoppiò nel 427 tra oligarchi e democratici che prevalsero con l'aiuto ateniese.
Seguì il massacro degli oligarchi. Lo storiografo racconta questo episodio
"con le espressioni e i toni della patologia" D. Musti, Storia greca ,
p. 411.
[6] Che è probo e onesto come Diceopoli, l’uomo giusto degli Acarnesi ,
e come quelli euripidei dell'Oreste e dell'Elettra.
[7] Platone
biasima la mancanza di serietà della democrazia, una politeiva piacevole, anarchica e
variopinta (hJdei'a kai; a[narco" kai; poikivlh, Repubblica 558c)
che non si dà pensiero delle abitudini morali da cui proviene chi entra alla
politica ma lo onora purché dica di essere amico del popolo.
[8] cfr to; mh; muqw'de" in
Tucidide I, 22, 4
[9] Cfr. Paideia 1,
p. 583.
[10] G. Murray, Euripides and
his age, p. 193.
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