venerdì 22 gennaio 2021

Euripide. 34

Afrodite accovacciata, Napoli Museo Nazionale
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Afrodite

I miti con lo Zeus donnaiolo vengono impiegati sofisticamente da alcuni autori per contestare l’adulterio.

Saffo invece non cerca scuse o giustificazioni, ma approva direttamente la predilezione di Elena per Paride: le piaceva più del marito.

 

Afrodite è la divinità del pantheon greco più diffusa. “La sua universalità in Grecia è adeguatamente descritta da lei stessa nei versi iniziali del prologo dell’Ippolito di Euripide (vv. 1 - 8). Zeus può avere santuari più pretenziosi - vengono in mente Olimpia o Dodona, al pari dei templi e dei santuari di Apollo - ma per la totale partecipazione popolare, attraverso rappresentazioni scultoree e pittoriche in templi che offrivano la performance rituale dell’atto sessuale (…) nessuna divinità era sua pari in Ellade. Come ogni altra divinità, simbolizzava il laicismo dello stile di vita greco - terreno e sensuale se giudicati con i criteri del credo e della dottrina giudaico - cristiana. L’Ellade non solo ammetteva il sesso e l’atto sessuale, ma si può dire (con termini nostri) che li facesse oggetto di culto (…) Era precisamente questa accettazione della realtà fisica che la cultura giudaico - cristiana rifiutava di riconoscere come dotata di valore religioso”[1].

 

 Ecco come si presenta Cipride entrando in scena all’inizio dell’Ippolito: “ Pollh; me;n ejn brotoi'" koujk ajnwvnumo" - qea; kevklhmai Kuvpri~, oujranou' t j e[sw ( vv. 1 - 2), grande e non oscura dea, sono chiamata Cipride, tra i mortali e nel cielo.

Nel primo episodio la nutrice di Fedra le attribuisce una forza d'urto ineluttabile:" Kuvpri" ga;r ouj forhto;n h]n pollh; rJuh'/" (v. 443), Cipride infatti non è sostenibile quando si avventa con tutta la forza.

 La potenza di Cipride viene celebrata anche all'inizio della Parodo delle Trachinie di Sofocle:"mevga ti sqevno" aJ Kuvpri" ejkfevretai - nivka" ajeiv" (vv. 497 - 498), Cipride porta con sé una grande potenza, sempre vittorie.

 

E' la tota ruens Venus dell'Ode I 19 per Glicera di Orazio.

Seguirà Properzio:"Illa potest magnas heroum infringere vires,/illa etiam duris mentibus esse dolor " (I, 14, 17 - 18), quella dea può spezzare grandi forze di eroi, ella può costituire un dolore anche per i cuori duri.

Nell’Ippolito di Euripide, Afrodite è la divinità più forte: “Zeus, non meno di Artemide, non ha voce in capitolo riguardo a ciò che Afrodite può fare, ed ha fatto. Il comitato o corporazione di divinità ha potere di vita e di morte su di “noi”, i mortali, ma tra loro questi poteri sono in competizione: essi operano in un “libero mercato”[2].

 

Elena nelle Troiane utilizza il paradigma mitico dello zeus donnaiolo per avallare la propria tesi.

Anche il discorso Ingiusto nelle Nuvole di Aristofane (vv. 904 - 905) impiega il gioco sofistico di coonestare le trasgressioni facendo l’esempio di Zeus. L’ [Adiko~ lovgo~ sostiene che giustizia non esiste nemmeno presso gli dèi, altrimenti Zeus che ha messo in catene suo padre sarebbe morto.

 

Ovidio nelle Metamorfosi accenna una critica alla dissolutezza di Zeus, il primo dongiovanni della civiltà occidentale. “non bene conveniunt nec in una sede morantur/maiestas et amor” (Metamorfosi, II, 846 - 847), non si accordano bene e non soggiornano insieme la maestà e l’amore.

 

Elena viene difesa ed elogiata dal sofista Gorgia con queste e con altre argomentazioni: la bella donna non deve essere considerata colpevole :" ella in ogni caso sfugge all'accusa poiché fu presa da amore, fu persuasa dalla parola, fu rapita con la violenza, e fu costretta da necessità divina"( Encomio di Elena, 20).

 

Altra difesa della maliarda figlia di Zeus farà l'allievo di Gorgia, Isocrate[3] che celebra la sua bellezza considerandola, tra l'altro, la causa della prima alleanza panellenica contro i barbari (Encomio di Elena, 67). Una giustificazione geopolitica.

 

Saffo approva Elena senza raccattare scuse e senza negare l’adulterio, come faranno Stesicoro nella Palinodia e pure Euripide nell’Elena e anche senza minimizzarlo come Isocrate nell’Elena.

La poetessa di Lesbo non ha bisogno, di sostenere che la bella donna in realtà rimase fedele a Menelao, siccome a Troia andò solo un fantasma, né adduce il motivo patriottico, come farà Isocrate.

 

Vediamo la traduzione, mia, dell’Ode in strofe saffiche solitamente chiamata “La cosa più bella” (fr. 27 D.)

 

"Alcuni una schiera di cavalieri, altri di fanti,

altri di navi dicono che sulla terra nera

sia la cosa più bella, io quello

che uno ama.

Ed è facile assai rendere questo

comprensibile a ognuno: infatti quella che di gran lunga superava

nella bellezza gli esseri umani, Elena, dopo avere lasciato

il marito che pure era il più valoroso di tutti

andò a Troia navigando

e non si ricordò per niente della figlia

né dei suoi genitori, ma Cipride la

trascinò, in preda all'amore.

Anche a me ora ha fatto ricordare

di Anattoria assente.

Di lei ora vorrei vedere l'amabile

passo e il fulgido scintillio del volto

piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti

che combattono nell'armatura".

 

giovanni ghiselli

 



[1] Havelock, Alle origini della filosofia greca, p. 137.

[2] Havelock, Op. cit., p. 146.

[3] 436 - 338 a. C.

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