PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIAfrodite accovacciata, Napoli Museo Nazionale
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Afrodite
I miti con lo Zeus donnaiolo vengono impiegati sofisticamente da alcuni
autori per contestare l’adulterio.
Saffo invece non cerca scuse o giustificazioni, ma approva
direttamente la predilezione di Elena per Paride: le piaceva più del marito.
Afrodite è la divinità del pantheon greco più diffusa. “La
sua universalità in Grecia è adeguatamente descritta da lei stessa nei versi
iniziali del prologo dell’Ippolito di Euripide (vv. 1 - 8).
Zeus può avere santuari più pretenziosi - vengono in mente Olimpia o Dodona, al
pari dei templi e dei santuari di Apollo - ma per la totale partecipazione
popolare, attraverso rappresentazioni scultoree e pittoriche in templi che
offrivano la performance rituale dell’atto sessuale (…) nessuna divinità era
sua pari in Ellade. Come ogni altra divinità, simbolizzava il laicismo dello
stile di vita greco - terreno e sensuale se giudicati con i criteri del credo e
della dottrina giudaico - cristiana. L’Ellade non solo ammetteva il sesso e
l’atto sessuale, ma si può dire (con termini nostri) che li facesse oggetto di
culto (…) Era precisamente questa accettazione della realtà fisica che la
cultura giudaico - cristiana rifiutava di riconoscere come dotata di valore
religioso”[1].
Ecco come si
presenta Cipride entrando in scena all’inizio dell’Ippolito: “ Pollh;
me;n ejn brotoi'" koujk ajnwvnumo" - qea; kevklhmai Kuvpri~,
oujranou' t j e[sw ( vv. 1 -
2), grande e non oscura dea, sono chiamata Cipride, tra i mortali e nel cielo.
Nel primo episodio la nutrice di Fedra le attribuisce una forza d'urto
ineluttabile:" Kuvpri" ga;r ouj forhto;n h]n pollh; rJuh'/" (v. 443), Cipride infatti non è sostenibile quando si avventa con
tutta la forza.
La potenza di Cipride viene
celebrata anche all'inizio della Parodo delle Trachinie di
Sofocle:"mevga ti sqevno" aJ Kuvpri" ejkfevretai - nivka" ajeiv" (vv. 497 - 498), Cipride
porta con sé una grande potenza, sempre vittorie.
E' la tota ruens Venus dell'Ode I 19 per Glicera
di Orazio.
Seguirà Properzio:"Illa potest magnas heroum infringere
vires,/illa etiam duris mentibus esse dolor " (I, 14, 17 - 18),
quella dea può spezzare grandi forze di eroi, ella può costituire un dolore
anche per i cuori duri.
Nell’Ippolito di Euripide, Afrodite è la divinità più forte:
“Zeus, non meno di Artemide, non ha voce in capitolo riguardo a ciò che
Afrodite può fare, ed ha fatto. Il comitato o corporazione di divinità ha
potere di vita e di morte su di “noi”, i mortali, ma tra loro questi poteri
sono in competizione: essi operano in un “libero mercato”[2].
Elena nelle Troiane utilizza il paradigma mitico dello
zeus donnaiolo per avallare la propria tesi.
Anche il discorso Ingiusto nelle Nuvole di Aristofane (vv.
904 - 905) impiega il gioco sofistico di coonestare le trasgressioni facendo
l’esempio di Zeus. L’ [Adiko~ lovgo~ sostiene
che giustizia non esiste nemmeno presso gli dèi, altrimenti Zeus che ha messo
in catene suo padre sarebbe morto.
Ovidio nelle Metamorfosi accenna una critica alla
dissolutezza di Zeus, il primo dongiovanni della civiltà occidentale. “non
bene conveniunt nec in una sede morantur/maiestas et amor” (Metamorfosi,
II, 846 - 847), non si accordano bene e non soggiornano insieme la maestà e
l’amore.
Elena viene difesa ed elogiata dal
sofista Gorgia con queste e con altre argomentazioni: la bella donna
non deve essere considerata colpevole :" ella in
ogni caso sfugge all'accusa poiché fu presa da amore, fu persuasa dalla parola,
fu rapita con la violenza, e fu costretta da necessità divina"( Encomio
di Elena, 20).
Altra difesa della maliarda figlia
di Zeus farà l'allievo di Gorgia, Isocrate[3] che celebra la sua bellezza
considerandola, tra l'altro, la causa della prima alleanza panellenica contro i
barbari (Encomio di Elena, 67). Una giustificazione
geopolitica.
Saffo approva Elena senza raccattare
scuse e senza negare l’adulterio, come faranno Stesicoro nella Palinodia e
pure Euripide nell’Elena e anche senza minimizzarlo come Isocrate
nell’Elena.
La poetessa di Lesbo non ha bisogno, di sostenere che la bella donna in
realtà rimase fedele a Menelao, siccome a Troia andò solo un fantasma, né adduce
il motivo patriottico, come farà Isocrate.
Vediamo la traduzione, mia, dell’Ode in strofe saffiche solitamente
chiamata “La cosa più bella” (fr. 27 D.)
"Alcuni una schiera di cavalieri, altri di fanti,
altri di navi dicono che sulla terra nera
sia la cosa più bella, io quello
che uno ama.
Ed è facile assai rendere questo
comprensibile a ognuno: infatti quella che di gran lunga superava
nella bellezza gli esseri umani, Elena, dopo avere lasciato
il marito che pure era il più valoroso di tutti
andò a Troia navigando
e non si ricordò per niente della figlia
né dei suoi genitori, ma Cipride la
trascinò, in preda all'amore.
Anche a me ora ha fatto ricordare
di Anattoria assente.
Di lei ora vorrei vedere l'amabile
passo e il fulgido scintillio del volto
piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti
che combattono nell'armatura".
giovanni ghiselli
[1] Havelock,
Alle origini della filosofia greca, p. 137.
[2] Havelock, Op. cit., p. 146.
[3] 436 - 338 a. C.
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