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Critiche a
Euripide molto diffuse, ma a loro vota criticabili almeno in parte. Aristofane,
Nietzsche, Vattimo
Riferisco una analisi di Gianni Vattimo su
La nascita della tragedia di Nietzsche. Concordo in gran parte ma non
del tutto con Vattimo, come chiarisco con un paio di note.
“Questa filosofia si era configurata, a
partire dal libro giovanile su La nascita della tragedia dallo spirito della
musica (1872), come
una critica della decadenza che, secondo Nietzsche, caratterizza la cultura
europea dalla fine dell’epoca tragica dei greci. Rovsciando quello che era
stato l’orientamento classicistico di quasi tutto il pensiero europeo del
Settecento (ma anche prima, dal Rinascimento) in poi, Nietzsche pensa che la
vera vitalità del mondo greco antico, il suo significato di modello per ogni
cultura successiva, vada riconosciuto nel periodo preclassico[1], che si chiude con la tragedia euripidea e
con l’insegnamento di Socrate.
La grande tragedia greca (Eschilo, Sofocle)
era infatti l’espressione di una civiltà ancora profondamente radicata nel
mito, che nelle storie degli dèi e degli eroi tragici costruiva una immagine
luminosa della vita umana la quale però aveva senso nella misura in cui
manteneva un sentimento profondamente pessimistico, tragico, del destino umano.
La tragedia, sosteneva Nietzsche, era
nata come sintesi di spirito (o elemento) apollineo - l’impulso alla forma
definita, che dà luogo per esempio all’arte della scultura[2]; e di spirito (o elemento) dionisiaco - che
è invece l’immediato sentirsi all’unisono con la vicenda incessante della vita
e della morte, dove i confini dell’individualità e della coscienza sono
travolti come da un fiume in piena.
Dionisiaca per eccellenza è la musica
(questo Nietzsche lo aveva imparato da Schopenhauer, per il quale, come si
ricorderà, la musica era oggettivazione immediata della volontà di vivere).
Con Euripide (il cui teatro è tutto
permeato di motivi razionalistici[3]) e soprattutto con Socrate, che oppone al
mito un’idea del mondo come ordine razionale in cui “non c’è nulla da temere” ,
purché ci si faccia guidare dalla ragione[4], l’equilibrio tra elemento apollineo e
elemento dionisiaco si rompe, a favore del primo. Succede un po’ quello
che, nel nostro secolo, pensatori profondamente influenzati da Nietzsche come
Horkheimer e Adorno chiameranno la “dialettica dell’illuminismo”: l’imporsi di
una visione razionale del mondo fa perdere il contatto con la vera realtà della
vita umana, e soprattutto uccide la capacità di creare, la libertà
dell’immaginazione poetica, in definitiva anche la libertà nel senso più pieno
della parola. Decadenza, per il Nietzsche del libro sulla tragedia, è
dunque la scienza che si sviluppa a partire dal razionalismo socratico, e che
si armonizza perfettamente con la morale cristiana, per la quale il mondo reale
con cui abbiamo da fare quotidianamente è solo provvisorio e apparente (come
erano le cose sensibili per Platone, solo immagini delle idee eterne[5]), e ha la sua autentica verità nel mondo
dell’aldilà promesso ai fedeli dopo la morte.
La decadenza della civiltà europea è un
effetto dell’atteggiamento ascetico che è imposto sia dal razionalismo
socratico - platonico sia dal cristianesimo[6]: ascesi è infatti lo sforzo del cristiano
di non lasciarsi dominare dalla passione per le cose di quaggiù, come ascesi è
lo sforzo dello scienziato di prescindere dalle immagini mobili delle cose
cercando la verità, cioè le leggi permanenti della natura, attraverso una messa
tra parentesi dei propri interessi e dei propri punti di vista “soggettivi” [7].
Su Socrate vicino ai sofisti non tace Leopardi: “E Socrate stesso, l'amico
del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri[8] e de' fuchi[9] e d'ogni ornamento ascitizio[10] e d'ogni affettazione, che altro era
ne' suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone,
3474). Questo accostamento è verosimile e accettabile solo relativamente ad
alcuni aspetti formali dei discorsi di Socrate, non a quelli sostanziali.
Euripide scrisse una novantina di drammi ma vinse il
concorso tragico solo quattro volte, molto meno di Sofocle e meno anche di
Eschilo.
Nietzsche sostiene che Euripide
era meno gradito di Sofocle al pubblico ateniese siccome non spronava la massa
con il superiore punto di vista dell'eroismo, ma portava sulla scena lo
spettatore, l'uomo medio, i tratti non riusciti della natura, il grechetto
scaltro e la mediocrità, facendo trionfare la scaltrezza, rendendo
paradigmatico il calcolo e l'intrallazzo dello schiavo immerso nella materia[11]. Invero la dimensione eroica è
presente in molti drammi di Euripide, e soprattutto nei personaggi femminili.
Anche questa critica, unilaterale e
malevola, parte da Aristofane che accusa Euripide di mettere in scena pezzenti
e malriusciti, personaggi in vario modo presi di mira dagli uomini o dalla
natura.
Possiamo ancora fare l’esempio degli Acarnesi , quando Diceopoli
si reca da Euripide per farsi prestare gli stracci [12] con i quali copriva i suoi personaggi
"cwlouv~” (v.411), zoppi, e “ptwcouv~ ”
(v.413), pitocchi.
“Un cenno a parte va riservato agli eroi
“mendicanti” del teatro euripideo. Essi sono bersaglio, com’è noto, della
feroce satira di Aristofane, che ce ne offre un vero e proprio catalogo (Ach.
414 ss.) e giunge a coniare per lo stesso Euripide l’epiteto di rJakiosurraptavdh~[13], “rammendatore di stracci”. Il testo del poeta
comico fa esplicito riferimento a tragedie andate perdute, sì che non possiamo
ben valutare quale fondamento abbiano le sue critiche. Di certo abbiamo vari
indizi che la rappresentazione del Telefo nel
439, in cui il re di Misia indossava le vesti di un pitocco, suscitò vibrato
imbarazzo e scalpore (…) La conclusione che se ne deve trarre è che, se pur è
indubbia la presenza nella mordace parodia di Aristofane di una rilevante
componente di detorsio,
sarebbe riduttivo interpretare tale parodia in chiave di gratuito gioco comico:
l’ipotesi più probabile è che anche in questo come in altri casi lo
sperimentalismo euripideo, almeno nelle sue parti più esasperate, abbia finito
con l’urtare la sensibilità degli spettatori, provocandone il risentimento e il
rigetto”[14].
Il fatto è che la produzione euripidea è
molto composita e vi si possono trovare idèe e toni diversi tra loro. Euripide
è un eterno cercatore
Per il tragediografo quale maestro di
scaltrezza ingenerosa, antieroica, possiamo tornare alle Rane quando il personaggio Euripide, in competizione con quello che
rappresenta Eschilo, si vanta di avere insegnato ", a pensare, a
osservare, capire, raggirare, amare, macchinare, sospettare il male,
considerare ogni cosa "(v.957 - 958). Insomma Euripide
procedeva:"portando sulla scena situazioni familiari e usuali"
(v.959), afferma questa caricatura inventata da Aristofane. La “commedia attica
nuova” [15] sarà il proseguimento di questo dramma già
borghese, afferma ancora Nietzsche.
“E così l’aristofanesco Euripide rileva a
sua lode di aver rappresentato la vita e la pratica comune, nota, quotidiana,
di cui ognuno era capace di giudicare (…) A una massa siffattamente preparata e
illuminata poteva rivolgersi ora la commedia nuova, per la quale Euripide è
divenuto in un certo senso l’istruttore del coro; questa volta però era il coro
degli spettatori che doveva impratichirsi. Non appena esso fu esercitato a cantare
nella tonalità euripidea, sorse quel genere di spettacolo di tipo scacchistico,
la commedia nuova, col suo continuo trionfo della furberia e della scaltrezza”[16].
giovanni ghiselli
[1] Il periodo preclassico a parer mio si
chiude caso mai con i presocratici. Sofocle costituisce l’apice del periodo
classico. Ndr
[2] Nietzsche mette l’accento anche
sull’epos omerico. Ndr.
[3] E pure irrazionalistici che in molti
personaggi non secondari come Medea e Fedra anzi prevalgono. Ndr
[4] Nemmeno Socrate rimane dentro i limiti
della ragione umana come spiegherò. Ndr.
[5] Socrate, Platone e il cristianesimo
non hanno niente a che vedere con il razionalismo. Ndr.
[6] L’ascetismo pagano è altra cosa
rispetto a quello cristiano.
[7] Gianni Vattimo, Dialogo
con Nietzsche, pp.244 - 245.
[8] Da calamistrum,
“ferro per arricciare i capelli” (ndr).
[9] Da fucus,
“tintura rossa” (ndr).
[10] Da ascisco, “annetto” (ndr).
[11] F. Nietzsche, La
nascita della tragedia, cap. 11. Ne citeremo alcune frasi nella parte introduttiva
alla Medea.
[12] "dov~ moi rJavkiovn ti”, dammi uno straccio!" lo prega (v. 415).
[13] Rane 842.
Ndr.
[14] Di Marco, Op. cit., p. 101.
[15] La nascita della tragedia, capitolo 11
[16] La nascita della tragedia, capitolo 11. Cfr. i vv. 67 - 68 della Medea e la scheda “Il mondo antieroico di Euripide”.
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