Sono più di settanta anni che ricordiamo i crimini nazisti e facciamo bene. Invece pecchiamo, almeno di omissione, tenendo nascosti i crimini nostri nei confronti degli Ultimi della terra, il meglio dell’umanità, come li chiamava don Lorenzo Milani, un prete sublime, un uomo umano.
Ora è Pontefice Jorge Bergoglio, un uomo umano che ci chiede di non ignorare né trascurare gli Ultimi. Papa Francesco ieri ha parlato di un nigeriano senza tetto morto di freddo a Roma.
Uno dei tanti lasciati morire abbandonati da tutti. La morte di ciascuno di loro, ha detto il vicario di Cristo, è come la morte di tutti noi e il basso impero di questa nostra società fondata sul profitto, sull’egoismo, sull’indifferenza, sull’gnoranza, sulla prepotenza nei confronti di chi non ha potere né denaro.
Mi sono dato allo studio dei Greci e dei Latini, gli ho dedicato il meglio delle mie forze mentali perché sentivo che questo impegno, dove ho umanamente impiegato le mie fatiche, chiarificava, verificava e potenziava le mie forze morali.
Potrei copiarvi qui sotto centinaia di esempi, ma forse molti di voi li hanno già sentiti dire da me, siccome costituiscono il mio rosario, e sicuramente i miei allievi sempre presenti li conoscono
Ne trascrivo solo alcuni per quanti ancora ne hanno bisogno. A dire il veo ne abbiamo bisogno tutti.
Esprimono quell’ amore per l’umanità, a partire dagli Ultimi, che già Omero insegnava a chi ascoltava i suoi canti accompagnati dalla “musica di Apollo che era architettura dorica in suoni, ma in suoni solo accennati, quali appartengono alla cetra”[1].
Sentiamo quello che dicono Nausicaa a Odisseo, poi di nuovo Eumeo a Odisseo.
La principessa dei Feaci, nel VI canto dell’Odissea (207-208), vuole aiutare Ulisse giunto naufrago nell’isola di Scheria e dice queste parole alle ancelle in fuga spaventate dall’aspetto del disgraziato malconcio : “ to;n nu`n crh; komevein: pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”, questo è un misero naufrago e dobbiamo curarcene: da Zeus infatti vengono tutti gli stranieri e i poveri, e un dono pur piccolo è caro
Le stesse parole (Odissea, XIV, 57-59) dice Eumeo, il guardiano dei porci di Itaca, quando Ulisse gli si presenta travestito da mendicante, irriconoscibile, e il porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare lo straniero (xei`non ajtimh`sai), nemmeno quando ne arriva uno kakivwn più malconcio di lui. Bisognerebbe che i classici venissero letti da tutti.
Non dissimile è la situazione di Edipo giunto a Colono cieco, vagabondo e per giunta malfamato. Teseo, il re di Atene, lo aiuta poiché, dice “so bene di essere uomo”(Edipo a Colono, v. 567).
Il sapere di essere uomo che cosa comporta?
Significa incontrare una creatura andata in rovina come è Edipo cieco, esule e mendico, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande, chiedendole di che cosa abbia bisogno: “kaiv s j oijktivsa"-qevlw jperevsqai, duvsmor j Oijdivpou, tivna-povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j e[cwn,-aujtov" te chj sh; duvsmoro" parastavti"", (Edipo a Colono, vv. 556-559), e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui, tu e l’infelice che ti aiuta. Antigone naturalmente.
Quindi vuol dire ascoltare, mettersi nei panni del supplice e comprenderlo con simpatia, condividendo le sue sofferenze, poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte.
" Fammi sapere-continua Teseo- infatti dovresti raccontarmi misfatti atroci perché mi sottraessi; poiché so che anche io sono stato allevato da straniero, come te, e in terra straniera ho affrontato più di ogni altro uomo lotte rischiose per la mia vita, sicché non rifuggirei dal salvare nessuno straniero, come ora sei tu, in quanto so bene di essere uomo (e[xoid j ajnh;r w[n, v. 567) e so che del domani nessun attimo appartiene più a me che a te"(vv.560-568).
A queste parole si può accostare l’homo sum di Terenzio : "Homo sum: humani nil a me alienum puto"2
Infine ricordo e cito le parole di Antigone a Creonte il quale ha decretato che deve rimanere insepolto Polinice in quanto oujcqrov" , il nemico, che non può essergli caro (fivlo", Antigone, v. 522).
Ebbene la ragazza, che è nipote di Creonte come suo fratello Polinice, ribatte : " ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", ( Sofocle, Antigone, v. 523), non sono certo nata per condividere l'odio, ma l'amore. Parole che le costeranno la vita ma le salvano l’identità di persona umana, una ragazza che costituisce un esempio per tutti noi umani e umanisti. Questo è l’umanesimo: amore per l’umanità.
Bologna, 24 gennaio 2020 ore 19, 10 giovanni ghiselli
p. s
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NOTE
[1] Nietzsche, la nascita della tragedia, capitolo 2.
2 Heautontimorumenos, 77.
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